Verso una nuova ripolarizzazione mondiale?
10 Febbraio 2023
Siamo ormai ad un anno dallo scoppio del conflitto sul territorio ucraino. 12 mesi nei quali città vengono quotidianamente bersagliate, dove ogni giorno si contano vittime da entrambe le parti in guerra.In questi 12 mesi molte cose sono cambiate anche per la “nostra” Europa, che vedeva la guerra come un brutto ricordo lontano e ora la trova di nuovo parte della sua quotidianità, con un Paese in guerra proprio alle porte dell’Unione.Diamo la parola per un’analisi di questo particolare momento storico al professor Georg Meyr, direttore del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Trieste.
Professore, a distanza di un anno dallo scoppio della guerra in Ucraina, quali le posizioni e le reazioni attualmente presenti in Europa?Nel complesso mi sento di dire che questa volta l’Unione Europea – coinvolgerei persino la Gran Bretagna, non più in UE ma che ha posizioni in questo molto simili a quelle dell’Unione – ha dato prova di una certa coerenza, ovvero c’è una certa condivisione piena del fatto che vada aiutata l’Ucraina e, probabilmente in misura ovvia e strettamente correlata, condannata l’aggressione da parte russa.Ovvio che, all’interno di questa generale comunità di intenti, emergono poi naturalmente – ed è inevitabile – delle posizioni che sono particolari.È evidente che l’Ungheria, che ha una sensibilità per una forte difesa dell’interesse nazionale, della sovranità nazionale, ha paura di farsi coinvolgere troppo rischiando di avere dei danni e cerca di avere una posizione in fondo più “dolce”, mitigata, verso la Russia di quanta ne abbia, ad esempio, la Polonia, che è “nemica” storica della Russia, ne è geograficamente più vicina rispetto altri Stati europei e teme che in qualche modo possa “travalicare”, ossia eventualmente assumere iniziative anche contro Paesi direttamente appartenenti all’Alleanza Atlantica.In questo quindi un fronte europeo si è persino consolidato e ha visto l’ingresso – sia pure ancora in corso, con delle difficoltà – nella NATO di Svezia e Finlandia: Paesi il cui ingresso era impensabile fino a poco tempo fa si sono invece schierati in maniera palese in contrasto alla Russia.Nel complesso quindi la posizione di un’Europa, intesa prima di tutto come Unione Europea ma senza dimenticare che ormai la gran parte dei Paesi componenti fanno parte anche dell’Alleanza Atlantica, ha dato prova di un’effettiva coesione nel contrasto, naturalmente con prudenze, con difficoltà, come ad esempio nel dibattito sulla fornitura di armi, senza naturalmente escludere particolarità di interessi e di attenzioni.È un discorso complesso ma siamo un tutt’uno: si è creato un sistema, dopo la II Guerra mondiale, che è quello Atlantico e dell’integrazione europea, quindi evidentemente dobbiamo agire e ragionare nella prospettiva di queste realtà ormai consolidate; il che non vuol dire non avere un dialogo – qualora sia possibile – con Mosca: il dialogo è inevitabile, senza non si va da nessuna parte, ma al momento il dialogo è anche estremamente difficile.
Poco fa accennava alla richiesta di accesso nella NATO di Svezia e Finlandia, una svolta epocale. Verso quale assetto geopolitico europeo ci dirigiamo?Il fatto che siano entrati i due Stati a nord è importante anche perché sono Paesi “piccoli” ma di straordinaria ricchezza e capacità tecnologico – militare. L’evoluzione geostrategica e geopolitica è immensa.Mi permetto di richiamare il concetto di quella che è quasi una nuova Guerra Fredda, perché alla base della posizione della Russia c’è probabilmente il rifiuto del predominio statunitense. Si ha quindi l’idea di essere di fronte una Guerra Fredda che ripolarizza il mondo, un mondo depolarizzato dopo il 1991 su base non più ideologica. Il che, devo essere sincero, non è che nobiliti il tutto.Paradossalmente, il fatto che fosse uno scontro tra due modelli di sviluppo – quello del liberismo da un lato, tipico degli USA, e il modello del socialismo reale – legittimava la Guerra Fredda. Ora, essendoci sostanzialmente tutti Stati capitalisti, ci si trova di fronte uno scontro che non ha niente di ideologico ma di puro potere nazionale, di pura supremazia degli Stati, che si sta riproponendo e appunto ripolarizza.Sia pure con estrema prudenza, qualcuno sta a guardare, a vedere se la cosa funziona: la Cina si trova su una posizione di prudentissimo sostegno alla Russia, piace l’idea che si ripolarizzi e si rimetta in discussione il monopolio americano, ma con grande prudenza, senza assolutamente esporsi.La Cina non ha nessuna voglia di confronti militari, anche perché gli affari, com’è noto, si fanno con la pace.Ci sono anche altri Paesi molto attenti, mi sembra di capire che il Sud Africa non sia così lontano, sull’India invece non ho indicazioni precise da dare; del resto va tenuto presente che ormai è diventata il Paese più popoloso al mondo, avrà un ruolo sicuramente enorme ma non credo che in questo momento abbia interessi. Teniamo poi presente anche la storia: l’India è uno dei colossi del movimento dei Paesi Non Allineati.Nella mia visione siamo quindi di fronte a una ripolarizzazione, ossia di nuovo 2 schieramenti, uno consolidato con a capo gli USA e noi Occidentali, l’altro, cui non si pensava forse più, è la rinata Russia.Con chi? Per questo bisognerà attendere gli esiti di questo conflitto.Pensavamo chiuso un capitolo di mondo bipolare e in realtà così non è.Si ripresenta senza le ideologie ma secondo me ciò lo rende ancora più brutale per certi aspetti e meno giustificato, perché è proprio una questione di potere, di politica di potenza allo stato puro.
Faceva riferimento poco fa agli esiti del conflitto. Quali sono a suo avviso i presupposti per giungere a una risoluzione?Mi sento di dire che si può andare a trattative serie di pace, quando tutte e due le parti si rendono conto che non hanno più nulla da trarre di buono da una guerra. Questo sarebbe l’ideale. Senza queste condizioni non si va da nessuna parte, perché o c’è lo sfacelo di una delle due parti – allora però non si ha una pace giusta, condivisibile, avviene una prevaricazione totale e questa non porta a nulla di buono – o ci vuole la convinzione di entrambi che non si va più da nessuna parte.Tuttavia non vedo al momento la minima possibilità per questo.Ammetto che non condivido il pensiero di chi dice di non fornire più armi agli ucraini perché ciò allontana la pace; trovo molto cinico non dare più armi agli ucraini, perché ciò significa che in tempi brevi ci sarà una pace sì, ma completamente alle condizioni dei russi. Alimentare le aggressioni, dare corda all’aggressore, è pericolosissimo.Noi occidentali abbiamo però anche un obbligo responsabile di contenimento del conflitto, quindi sì assolutamente ad aiutare l’aggredito ma evitando di far precipitare la situazione (ad esempio fornendo missili a lunga gittata: questi farebbero passare da difesa a offesa).Quindi al momento, analizzando le due posizioni, sono tutto sommato entrambe convinte di poter avere ancora dei vantaggi sul campo di battaglia.Nessuno dei due può permettersi un affondo decisivo – gli ucraini perché probabilmente non ne hanno la capacità militare, non sono nelle condizioni di una facile vittoria veloce; i russi, pur con le loro difficoltà ma con una capacità militare nel complesso più strutturata, non se lo possono permettere perché ci sono ormai dei limiti politici alle guerre, ci muoviamo in un mondo che ti “stronca” se esageri -.La conseguenza naturale di tutto ciò è che la guerra proseguirà a lungo.Viene da pensare che si andrà avanti con anni di logorio, in cui la martoriata area dell’oriente ucraino, il Donbass, verrà conteso palmo a palmo dagli eserciti delle parti belligeranti senza chiari successi o insuccessi. Anche Alleanza Atlantica e singoli Paesi sono attentissimi a non affondare la provocazione. Il perché è molto semplice: dopo il 1945 la presenza di armi di distruzione di massa rende un confronto pieno tra le parti in causa completamente non accettabile, non sopportabile.Quindi bisogna chiaramente stare attenti a centellinare l’azione militare, perché nessuno vince una guerra nucleare.
Il proseguimento di tutto questo, a livello economico, a che squilibri può portare?Non sono un economista ma temo che l’economia – che ha la straordinaria capacità, dove c’è di nuovo la possibilità di fare affari, di farli velocemente – possa riprendersi in maniera abbastanza veloce. Ciò che mi fa più paura sono i danni di rapporto, di dialogo, di immagine.È per esempio difficile immaginare un dialogo tra Russia e Ucraina anche in tempi piuttosto lunghi; il dialogo della Russia con tutti i popoli limitrofi è estremamente compromesso.Ci possono essere dei mutamenti di lungo periodo – almeno io li intravedo – sul grande riorientamento di alcuni flussi: è evidente che noi europei occidentali stiamo orientando il nostro rifornimento energetico da altre parti, creando nuove dipendenze; questi sono gli effetti.Probabilmente ci sarà una ripresa, nemmeno troppo lenta, di un dialogo economico tra Occidente e la stessa Russia: loro hanno bisogno dei “nostri” prodotti, noi abbiamo bisogno anche dei loro e di vendere a loro i nostri prodotti. Lì quindi ci sarà la ripresa.Il problema è che si riesca a ricreare un clima di serenità e di amicizia, di dialogo realistico e serio. L’impossibilità e la sfiducia del dialogo erano tipici della Guerra Fredda, la non accettazione delle posizioni dell’altra parte.In qualche maniera sembrava di averla superata con la fine dell’URSS ma adesso siamo punto e a capo.Il momento di rottura è proprio quello in cui si decide di agire militarmente: quello, nel nostro mondo, non dovrebbe più essere concepibile.La guerra per la definizione del controllo sui territori, è qualcosa che francamente è “vecchio”: ha dominato il mondo ma bisognerebbe aver la forza di bandirla veramente; i russi hanno perdite che sembra siano tutt’altro che simboliche, gli ucraini hanno danni, morti e distruzione.Non è così che si risolvono le cose, è un problema di modernità, la guerra come soluzione di controversie fa stare male tutti.
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