365 giorni di conflitto: la risposta dell’Unione Europea

Lo scoppio della guerra in Ucraina, che perdura ormai da un anno, ha riportato nel continente europeo l’incubo del conflitto armato, “piaga” che si credeva ormai debellata dopo la II Guerra Mondiale.Il conflitto, che si sta svolgendo proprio nel cuore del continente, non ha mancato ovviamente di portare con sé numerose conseguenze anche tra gli Stati membri dell’Unione Europea, che si sono visti – più o meno improvvisamente – coinvolti in problematiche economiche, energetiche, diplomatiche.Assieme al giornalista Gianni Borsa, corrispondente per l’agenzia di stampa SIR da Bruxelles, esperto di Unione Europea e politiche comunitarie e presidente dell’Azione Cattolica dell’Arcidiocesi di Milano, abbiamo cercato di dare una lettura di quali siano stati, in questi 365 giorni, i riflessi della guerra sull’Unione Europea, cercando di comprendere anche quali necessità la stessa Unione si troverà, d’ora in poi, a dover affrontare.

Gianni, è passato un anno dallo scoppio del conflitto in Ucraina (conflitto che, inizialmente, mai si sarebbe pensato sarebbe durato così a lungo). A distanza quindi di 365 giorni, come possiamo dire abbiano reagito l’Europa – intesa geograficamente – e l’Unione Europea a tale scossone?In primo luogo c’è stata senz’altro una risposta sul versante della solidarietà, con l’invio di aiuti umanitari, finanziari e ancor più con l’accoglienza dei profughi; su questo nessuno si è tirato indietro.Seconda operazione è stata quella riguardante gli aiuti militari, che ancora oggi “tormenta” parte dell’opinione pubblica, e giustamente: mentre si riconosce il diritto alla legittima difesa, ci si domanda se sia solo affidandosi alle armi che si risolverà il conflitto con la Russia.Occorre quindi certamente insistere, o meglio tornare ad insistere, sul ruolo della politica e della diplomazia.Qualcuno ci sta provando convintamente, qualcun altro meno; certamente questa è la strada che preferiscono le istituzioni europee.La guerra poi ha di fatto coinvolto tutta l’Europa, anche al di là dell’Unione dei 27, soprattutto su tre versanti: quelli della crisi energetica, della crisi economica che ne è derivata – perché si sono interrotte relazioni commerciali e produttive – e della crisi alimentare, che ha toccato in parte l’Europa con il blocco dell’importazione di cereali dall’Ucraina, ma sta gravando soprattutto sull’Africa – molti Paesi africani comprano o compravano cereali e granaglie dal Paese -.Credo inoltre di poter affermare che, sostanzialmente, ci sia stata una convergenza di tutti i 27 Paesi rispetto alla minaccia russa; ci sono stati magari dei piccoli tentennamenti da parte di qualche Governo ma sostanzialmente ci si è accorti che l’imperialismo di Putin, oltre che a fare del male al suo stesso Paese, fa male all’Ucraina e fa male a tutta l’Europa.Sono convintissimo che la guerra si interromperà, almeno nella parte militare, quando politica e diplomazia torneranno ad avere voce; ma sono anche certo che prima si supererà il “problema Putin”, meglio sarà.

Poco fa accennavi a “piccoli tentennamenti da parte di qualche Governo”. Nei mesi sono evidentemente emerse alcune differenze tra i vari Stati, forse più legate ad interessi interni, come ad esempio è il caso dell’Ungheria. Che lettura dare a questo fenomeno e quale potrebbe essere il suo evolversi?Innanzitutto direi che non vedo quale Governo possa non essere allarmato dalla minaccia militare che proviene da una qualsiasi forza esterna e da un’eventuale guerra che, oltre al danno umano e materiale, con morti, vittime e distruzioni, genera sempre altri problemi gravissimi, tra i quali appunto crisi economiche, energetiche, relazioni diplomatiche interrotte, minore tutela dei diritti delle persone. Non vedo come si possa non intendere questo rischio, questo gravissimo problema.Nel lungo periodo la risposta si chiama appunto Unione Europea, il che vuol dire rendersi conto di come, in questo mondo di attori globali, giganteschi sotto ogni punto di vista – economico, politico, militare -, non si può che rimanere uniti all’interno dell’Europa e semmai domandarsi come, al più presto, costruire una Politica estera e di Difesa comune.Per far questo occorre ciò che David Sassoli più volte aveva invocato, ossia il superamento del voto all’unanimità su alcuni temi all’interno del Consiglio dell’Unione Europea.

Quali potrebbero essere quindi, proprio a livello di Unione, i prossimi passi? Può essere una forza capace di “disegnare” una strada verso la pace?Sì, questo è proprio il compito storico e attualissimo dell’Unione Europea, nata nel secondo dopoguerra esattamente per riportare la pace nel continente.Il primo obiettivo della costruzione della “Casa Comune” è proprio la pace, attraverso i criteri della solidarietà. Quindi l’Unione Europea deve ogni giorno richiamare i contendenti a mettersi attorno al tavolo a dialogare.Ora, è chiaro che per la Russia di Putin l’Unione Europea oggi è un nemico, perché sta sostenendo l’Ucraina; però è anche vero che l’Unione Europea, assieme alle Nazioni Unite, è l’unica istituzione a livello planetario che possa dirsi in grado di invocare un tavolo di trattative, innanzitutto di tregua e poi di pace duratura.Una terza figura mondiale che lo può fare, non è un’istituzione ma è una figura riconosciuta a sua volta a livello mondiale, ed è papa Francesco.

A tal proposito, che ruolo può oggi avere “l’istituzione Chiesa” nella risoluzione di questo conflitto? Come collocarla all’interno dello “scacchiere” internazionale?L’istituzione Chiesa può ritenersi, in questo momento, in una posizione un po’ delicata, perché anche tra Ucraina e Russia ci sono divergenze a livello di comunità religiose – in questo caso si tratta soprattutto del mondo ortodosso – ma a livello di visione, di “volto” di pace internazionale, più che la Chiesa cattolica è proprio papa Francesco che può davvero dire una parola di altissimo livello.È poi altrettanto vero che anche che la diplomazia vaticana, impersonata dal cardinal Pietro Parolin, potrebbe svolgere certamente un ruolo di snodo e di incontro: una sorta di sede terza, storicamente dedita e vocata alla pace, che può rimettere al tavolo i contendenti e far comprendere loro che dalla guerra nessuno esce mai vincitore e che dunque occorre trovare un modo per stare insieme, per convivere e stare in pace.Tutto questo lo si può fare senza però dimenticare quanto accaduto, cioè le responsabilità della Russia di Putin in una guerra di aggressione tragica, una guerra nemmeno dichiarata, combattuta da un esercito soprattutto contro dei civili.La Russia dovrà quindi farsi anche carico della ricostruzione del Paese: i morti non ritroveranno la vita ma un Paese può tornare a vivere e questo costo se lo deve accollare la Russia di Putin.Senza trascurare ovviamente gli aiuti che l’Unione Europea ha già promesso di mettere in campo per la ricostruzione.

Credi che la situazione bellica in atto potrà accelerare in qualche modo il processo di ingresso nell’Unione dell’Ucraina?Nel breve termine no, perché ci sono dei passaggi istituzionali necessari, riforme che l’Ucraina deve affrontare per soddisfare i Criteri di Copenaghen, che sono quelli necessari per far parte dell’Unione Europea.Quindi direi nessuna fretta, anche perché il percorso di avvicinamento all’Unione Europea, verso l’adesione, è utilissimo ai Paesi che ne fanno domanda proprio per attuare le proprie riforme, per ammodernarsi nel campo della Pubblica Amministrazione, della legislazione interna, del rispetto dei diritti umani e delle minoranze, della costruzione del libero mercato, della lotta alla corruzione…Quindi non bisogna assolutamente accelerare.Certamente deve essere chiaro che la prospettiva per l’Ucraina è l’adesione all’Unione Europea: questo è il tracciato disegnato e questo deve essere.

Parlando sempre di adesione all’Unione, quest’anno di conflitto a tuo vedere ha allontanato, o meglio rallentato, l’ingresso nella stessa dei Paesi appartenenti all’area dei Balcani?Non mi sembra sia successo, anche perché sarebbe ingiusto che i Paesi Balcanici pagassero lo scotto di una guerra voluta da altri. Quindi i negoziati per l’adesione di quei Paesi proseguono, semmai non corrono velocissimi perché tali Stati presentano delle difficoltà nelle loro riforme, necessarie per adeguarsi ai Criteri di Copenaghen. In particolare c’è la situazione interna della Bosnia – Erzegovina, che a sua volta ha ancora bisogno di pacificazione, e c’è poi la questione serbo – kosovara che deve assolutamente essere risolta affinché i due Paesi possano proseguire i negoziati verso l’adesione.Semmai una criticità che la Serbia deve assolutamente evitare è quella di dimostrarsi “amica” della Russia di Putin: la Serbia tradizionalmente ha una vicinanza alla Russia ma oggi deve dichiararsi dalla parte dell’Europa e dell’Unione Europea. Su questo non ci possono essere fraintendimenti.

Quando questa situazione bellica finalmente troverà la strada verso una risoluzione, quale sarà stata a tuo vedere la “lezione” anche per l’Unione?Sicuramente c’è una lezione che riguarda tutto il mondo e che riprende quanto dicevamo anche prima: ossia che le guerre non vanno fatte, che dalle guerre nessuno esce vincitore, che di armi ne abbiamo fin troppe e che non bisogna produrne né venderne più, salvo quelle che necessariamente occorrono alle Forze di Sicurezza e di Polizia dei singoli Paesi, questo è comprensibilissimo; però gli eserciti non servono al bene dei popoli di questa terra.L’Unione Europea deve poi imparare varie lezioni, la prima appunto a “serrare i ranghi”, nel senso di dare un’accelerazione, a un’integrazione delle sue Politiche, non solo quella di Difesa comune ma su tutte quelle che hanno mostrato punti deboli, vale a dire Politica estera, la stessa Politica energetica e collegate a queste il senso di una responsabilità mondiale: l’Unione Europea, in diverse parti del mondo, è ancora vista come un’isola di democrazia e di diritti e deve dimostrare di essere tale.Non ci possono essere quindi né fraintendimenti né debolezze, nemmeno passi indietro verso democrazie illiberali; non ci possono essere fraintendimenti o passi indietro verso il rispetto dei diritti umani e delle minoranze; ci deve essere la capacità di essere forza di Pace nel mondo quindi, qualora si esca dai confini dell’Unione Europea, lo si deve fare solo per portare Cooperazione allo Sviluppo e semmai operazioni di peacekeeping laddove la gente muore per colpa di conflitti locali, dichiarati o meno.Questo deve fare l’Unione Europea e questa è una lezione da imparare.