“Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono”

Gorizia si appresta ad affiancare NovaGorica dal 1° gennaio 2025 nell’esperienza della capitale europea della cultura: un’occasione preziosa per poter anche rileggere la storia complessa che le terre bagnate dall’Isonzo hanno vissuto nell’ultimo secolo. Se ne è fatto interprete l’arcivescovo Carlo, giovedì 16 marzo nel corso della solenne liturgia presieduta in cattedrale in occasione della festa dei Santi Ilario e Taziano, martiri aquileiesi, e patroni della città di Gorizia. Al rito – concelebrato dai sacerdoti in servizio pastorale in città mentre il servizio liturgico è stato prestato dai seminaristi del Seminario interdiocesano di Castellerio – hanno partecipato le autorità civili e militari della città (oltre ad una rappresentanza della municipalità di Nova Gorica ed alcuni sacerdoti del vicino decanato sloveno) assieme a numerosi fedeli.Mons. Redaelli ha voluto avviare una riflessione su cosa abbia favorito la situazione di conflitto che ha portato allo scoppio delle due guerre mondiale nel secolo scorso ma anche su cosa, al contrario, abbia fatto crescere percorsi di pace e riconciliazione e di superamento delle contrapposizioni.Il punto di partenza va ricercato senz’altro nella diffusione delle ideologie: quelle più strutturate – da cui ha avuto origine un vero e proprio sistema di pensiero e di azione – e quelle che sono poco più di slogan efficaci. Tutte, però, contengono “pure degli elementi di verità, anche se estremizzati” come è facilmente rilevabile nell’ideologia nazionalista. L’arcivescovo – rifacendosi anche ad un passo dell’Enciclica “Fratelli tutti” – ha sottolineato come “La nazione è un valore e non un disvalore ed anche preoccuparsi per essa è un bene, anzi un dovere” mentre quando a prendere il sopravvento è l’ideologia nazionalistica “è inevitabile cadere prima o poi in un conflitto, attivando processi perversi di polarizzazione”. Quando tutto ciò avviene è inevitabile alla fine “per opporsi agli effetti devastanti di un’ideologia schierarsi con quella contrapposta” anche se pure questa presenta molti aspetti negativi. Una realtà vissuta drammaticamente dalle popolazioni della diocesi di Gorizia, ma non solo, alla fine del secondo conflitto mondiale.Un passo della sua omelia, mons. Redaelli l’ha voluto significativamente dedicare alla propaganda “sorella e serva dell’ideologia che strumentalizza e spesso nasconde la verità, che contemporaneamente semplifica e assolutizza le informazioni, che sfrutta abilmente le reazioni della gente estremizzandole e ponendole a servizio dei potenti”. Il riferimento biblico è andato all’Apocalisse dove il drago, attore del male del mondo, è accompagnato da due bestie: la forza militare, responsabile della guerra contro i giusti, e la propaganda che è a servizio della prima. Ma il conflitto è favorito anche da una serie di mancanze: innanzitutto (come avvenuto nella dissoluzione dell’Impero austro-ungarico all’inizio del secolo scorso) “l’incapacità di costruire e mantenere una struttura giuridico-amministrativa capace di custodire e promuovere l’unità nella diversità, nel rispetto della dignità e dei diritti di tutti, singoli e comunità. A ciò si affianca “il non essere in grado di soddisfare i bisogni primari della gente, di gestire e superare le crisi economiche, di offrire delle prospettive ai giovani” ma anche “il non rispetto dei diritti fondamentali, la coercizione delle libertà democratiche, la sottomissione della cultura all’ideologia dominante…”.La parte finale del suo intervento, l’arcivescovo lo ha dedicato ad alcune delle esperienze vissute dalla Chiesa goriziana e dall’Isontino nell’ultimo secolo sulla strada della positività.Per presentare la prima mons. Redaelli ha preso spunto da un passaggio del Messaggio di San Giovanni Paolo II nel Messaggio per la Giornata mondiale della pace del 2002: “Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono”. La realtà umana non è mai bianca o nera e giustizia ed ingiustizia non sono mai di una sola parte: “Nessuno è soltanto Abele, tutti – chi più chi meno – siamo anche Caino”. È giusto chiedere la giustizia e pretendere che chi ha sbagliato paghi ma dove “la ricerca di una presunta giustizia porta inevitabilmente a riaprire ferite, a suscitare emozioni pericolose, a offrire spunti a derive ideologiche, a mettere in discussione confini ingiusti palesemente ma ormai approvati internazionalmente” l’unica strada percorribile è quella del perdonare e chiedere perdono, avviando percorsi di riconciliazione per ripartire con fiducia e coraggio. L’evento del 2025, inoltre, evidenzia come per giungere alla pace sia importante “attivare tutte quelle iniziative che portano a conoscersi, a capirsi anche tra lingue e culture diverse, a lavorare insieme per qualcosa di grande e di bello” che possa offrire ai giovani “una visione piena di speranza” divenendo capaci di accoglienza anche verso chi proviene da altri Paesi, valorizzando la cultura e la storia comune per creare un tessuto sociale e economico integrato.Una strada percorsa con coraggio e profezia da tanti uomini e donne di buona volontà negli ultimi cento anni in questa parte d’Europa e che la Chiesa di Gorizia, insieme alle Chiese sorelle che riconoscono in Aquileia le proprie radici, intendono affrontare per portare misericordia e perdono.Ed a conclusione della sua omelia, l’arcivescovo Carlo ha richiamato l’appello rivolto alle parti in guerra in Ucraina da papa Francesco nell’Udienza generale in piazza San Pietro di mercoledì 15 marzo perché siano rispettati tutti i luoghi religiosi: “anche la religione può diventare ideologia, può fare propaganda e può promuovere la divisione… ma se si rimane attaccati al Vangelo la fede diventa un riferimento ad un Assoluto che aiuta a relativizzare le ideologie e l’azione dello Spirito permette di apprezzare la ricchezza della diversità nell’unità” ricordandoci in ogni momento che “Gesù è il Dio che agisce nella storia umana ed è l’incarnazione della pace”.