“Siamo al nostro meglio quando serviamo gli altri”
24 Aprile 2023
“Recentemente mi è capitato di leggere sui social un interessante racconto – spiega il diacono Renato Nucera, direttore di Caritas diocesana di Gorizia -, che iniziava da una fantomatica domanda che uno studente pose all’antropologa Margaret Mead. Il giovane domandò quale riteneva fosse il primo segno di civiltà in una cultura. Si attendeva che parlasse di manufatti e scoperte dell’uomo ma la risposta fu sorprendente: Mead disse che il primo segno di civiltà in una cultura antica era un femore rotto e poi guarito. Tra gli animali, se ti rompi una zampa, vieni lasciato morire, non puoi scappare dal pericolo, diventi carne per i predatori e non puoi nemmeno procacciarti il cibo.Nessun animale sopravvive a una zampa fratturata abbastanza a lungo perché l’osso guarisca. “Un femore rotto che è guarito è la prova che qualcuno si è preso il tempo di stare con colui che è caduto, ne ha bendato la ferita, lo ha portato in un luogo sicuro e lo ha aiutato a guarire – disse l’antropologa -; aiutare qualcun altro nelle difficoltà è il momento preciso in cui la civiltà inizia. Noi siamo al nostro meglio quando serviamo gli altri. Essere civili è questo”.È un argomento sul quale non avevo mai riflettuto e mi porta a domandarmi quale sia il punto in cui si trova la nostra società, se ancora crede che il “prendersi cura” sia un valore fondante per una comunità umana. L’impressione è quella che si stia perdendo di vista l’importanza di una solidarietà sociale, sia privata che pubblica (esempi ne sono le tematiche pensionistiche, sanitarie…)”.Non vorremmo trovare anche noi qualcuno che ci stia accanto nella difficoltà, disposto a sostenerci e aiutarci a trovare delle soluzioni insieme? Proprio per questo Caritas – uno degli strumenti di cui le nostre comunità dispongono proprio per “prendersi cura” – tra le sue svariate attività compiute attraverso i volontari e la rete sociale, conta anche sull’Housing First, un approccio di sostegno alle persone senza dimora in cui viene offerto un alloggio: in questo modo possono dedicare le proprie energie e risorse nel ricercare una propria autonomia personale, accompagnati da persone esperte, perché il problema della casa è stato risolto.In particolare la Caritas diocesana di Gorizia, grazie al sostegno dei Fondi 8xmille della Chiesa Cattolica, ha attivato dal 2019 il progetto “Riparto da casa”, che mette in campo non sono gli alloggi ma anche e soprattutto l’accompagnamento personalizzato dei beneficiari, offerto da un’equipe professionale.Tra le tante persone che hanno trovato una vita autonoma anche Sergio (nome di fantasia per rispettare la sua privacy) di cui vi raccontiamo la sua storia.
La storia di Sergio“Ad un tratto la mia vita è come se si fosse interrotta: ho perso la famiglia, gli amici e il lavoro – ci racconta -.Non avevo più un punto di riferimento su cui contare: ero rimasto solo. Ho preso l’auto e ho iniziato a vagare di città in città nel Nord Italia, fino a quando mi trovai per caso a Gorizia, città in cui non ero mai stato prima. Dormivo in auto e mi lavavo in una fontana vicino all’Isonzo”.È proprio a Gorizia che Sergio viene a contatto con le prime misure di assistenza: “venni a sapere che i Padri Cappuccini, ogni giorno alle 11.30, offrono a chiunque si metta in fila la possibilità di poter consumare un pranzo completo.Non sapete cosa significhi poter trovare un luogo accogliente, dove ti offrono un pranzo ottimo e abbondante, per chi non mangia da giorni e giorni! Lì mi confidai con uno dei padri cappuccini, cui raccontai la mia situazione; mi suggerì di rivolgermi alla Caritas diocesana di Gorizia.Trovai subito qualcuno disposto ad ascoltarmi e a comprendere le mie difficoltà”.Da quel primo approccio con la Caritas diocesana, la vita di Sergio inizia pian piano a risalire: “la sera stessa potei avere un letto dove dormire, presso il dormitorio della città, e una doccia calda per curare la mia igiene personale.Mi sembrava di sognare dopo tante notti passate nel rigido e angusto sedile di un’automobile, lavandomi in una gelida fontana pubblica in riva ad un fiume!Avevo ritrovato dei punti di riferimento nella mia quotidianità”.Ed è proprio questo il senso di essere una comunità: offrire punti di riferimento, affinché nessuno sia smarrito.Come raccontato da Sergio “alla sera trovavo volti amici nei volontari e negli altri ospiti, persone con cui potevo scambiare quattro chiacchere e condividere le preoccupazioni.Ero felice non tanto per aver trovato un luogo dignitoso dove trascorrere le notti ma soprattutto perché avevo – ed ho – trovato delle persone che mi ascoltavano e comprendevano”.Dopo un paio di mesi, proprio grazie al progetto “Riparto da casa” la Caritas diocesana è stata in grado di offrire a Sergio la possibilità di entrare in un appartamento: “condividevo gli spazi con altre persone che si sono trovate come me, per diverse vicissitudini, senza una dimora.Erano brave persone con cui ho fatto subito amicizia e grazie a questa esperienza di co – abitazione ho riscoperto il valore della condivisione.Il progetto “Riparto da casa” mi ha offerto anche la possibilità di avere l’aiuto di uno psicologo: avevo proprio bisogno di una persona qualificata che mi seguisse nel mio percorso di riscatto, perché chi nella vita perde i propri punti di riferimento, perde un po’ anche sé stesso”.
Una nuova vitaUna ritrovata stabilità e l’aiuto di professionisti e di una comunità che lo ha accolto, ha permesso a Sergio di iniziare un nuovo percorso: “poter contare su una dimora mi ha dato modo di trovare delle nuove occasioni di lavoro.Gli operatori della Cooperativa Sociale Murice – che gestiscono per conto della Caritas diocesana il progetto “Riparto da casa” – mi hanno da subito sostenuto nella ricerca di un’occupazione, riuscendo ad inserirmi in un lavoro di portierato, grazie al Fondo Famiglie in Salita dell’Arcidiocesi, che ha coperto il costo dell’assunzione.Mi sentivo finalmente di nuovo utile alla società e non più un peso e quell’impiego è stato il trampolino di lancio per rilanciare la mia vita professionale: una persona che ho conosciuto proprio lì, mi ha proposto un impiego nell’ambito scolastico. Inizialmente ero un po’ perplesso ma mi resi conto che avevo un diploma abilitante all’insegnamento.È così iniziata un’esperienza lavorativa totalmente nuova nell’ambito dell’istruzione: oggi sono tre anni che lavoro nel mondo della scuola e ciò mi ha reso ancora più felice. Studio molto ogni giorno per dare il meglio di me agli alunni che mi sono affidati.E proprio a scuola ho conosciuto una collega docente con cui ho instaurato una relazione; erano quindici anni che non avevo una relazione: se ti cade il mondo addosso, non vuoi proprio saperne di una compagna con cui condividere una vita fatta di difficoltà”.”Nella mia vita ho perso la salute, la famiglia e il lavoro, i tre pilastri più importanti.Mi reputo comunque fortunato, perché ho incontrato sulla mia strada la Caritas diocesana e tante persone che si sono prese cura di me e questi pilastri si sono ricostruiti.A coloro che, come me, hanno perso affetti, salute, casa, lavoro, voglio dire di non aver paura di chiedere aiuto, perché ci sono tante persone che desiderano e sono pronte ad aiutarti, senza chiedere nulla in cambio”.
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Riparto da Casa, alcuni numeriAttivo dal 2019, in questi 4 anni “Riparto da casa” – il progetto di Housing First della Caritas diocesana attivo nell’Arcidiocesi di Gorizia – ha offerto ospitalità a 15 nuclei familiari unipersonali e monoparentali, per un totale di 19 persone.Ben 7 famiglie accolte hanno trovato oggi una vita autonoma.
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