L’uomo senza colpa: dalla rabbia al perdono

“Il film che tutta Monfalcone dovrebbe vedere” si legge sui manifesti affissi in città, a pubblicizzare l’uscita de “L’uomo senza colpa” di Ivan Gergolet, dedicato alle vittime dell’amianto e ai loro familiari. Gremita era la sala del Kinemax, il 31 marzo scorso, per la prima proiezione in loco della pellicola, che già è valsa all’autore monfalconese il Premio Miglior Regia al Bifest di Bari.Il film affronta, con toni noir, il tema dell’elaborazione del lutto per la morte di un caro provocata dall’esposizione all’amianto. Angela (Valentina Carnelutti), che la famigerata polvere ha reso vedova di Andrea, è assediata dagli incubi notturni, tra l’indignazione per la mancata giustizia processuale, il rapporto problematico con la figlia e il senso di impotenza di fronte ad una patologia che continua a colpire i suoi affetti, non lasciando scampo agli amici Sandro ed Elena (Rossana Mortara). Caso vuole che, nell’ospedale dove la donna opera come infermiera, venga ricoverato per un ictus Francesco Gorian (Branko Zavrsan), capo dell’impresa di costruzioni per la quale aveva lavorato, finendo intossicato, il marito di Angela. Dopo l’esitazione iniziale, costei accetta la proposta del figlio di Francesco di fare da badante al padre, rimasto paralizzato e senza l’uso della parola. La paradossale decisione si spiega con la volontà della donna di capire più che di vendicarsi, di guardare a distanza ravvicinata Francesco, che non poteva non sapere, che nell’allucinata scena d’apertura, in un’aula di tribunale contaminata dalla polvere mortifera, vediamo gettare via dalla giacca blu i bianchi pulviscoli. È lui l’uomo senza colpa, l’imputato uscito assolto dal giudizio, la cui solitudine riottosa incontra quella bruciante di Angela, in un duello fisico ed emotivo che costringe entrambi a misurarsi con la verità dei sentimenti, a volte più veritiera di quella giudiziale, alla quale la donna non rinuncia. Senza celare la rabbia che cova dentro di sé, Angela si prende cura del suo antagonista, un uomo menomato, dallo sguardo provocatorio e dai silenzi inquietanti, assistendolo in una riabilitazione che non è solo delle funzioni fisiologiche, giacché porta alla luce, dal sottosuolo della coscienza, responsabilità e rimorsi da ultimo insostenibili.La regia ha il merito di fondere piano reale e simbolico, alla ricerca delle opacità dell’animo, impenetrabili dal documentario, come sa bene Gergolet, che quel genere ha praticato. A sostenere la tensione narrativa concorrono la  straniante colonna sonora di Luca Ciut e le potenti musiche corali di Patrick Quaggiato. Il film deve molto alle intensissime interpretazioni dei protagonisti, al loro parossistico corpo a corpo, che deflagra nella reciproca rivelazione. Nella luce livida della villa di Francesco, affacciata sul golfo triestino, cui si contrappone la calda distesa del mare, metafora di un orizzonte possibile, capace di liberare Angela dal rancore aprendo un varco al perdono. Che non si dona senza una trasformazione sofferta né si può accogliere senza la consapevolezza del male compiuto.