Amo il lavoro
28 Aprile 2023
“Il 90% delle persone che lavora, non ama quello che fa” così sintetizzava il noto psichiatra Paolo Crepet nel suo libro “Impara ad essere felice”, Einaudi Editore, nel 2013, molti anni prima cioè dell’ondata Covid che pare aver determinato un incremento delle aspettative qualitative lavorative dopo la scoperta, tra le altre, del tempo libero e dello smart working.Una percentuale altissima (e gravissima) che pareva fotografare solo un certo generico atteggiamento psicologico ma che, ora, quasi dieci anni dopo, analizzata dall’Audit Report Deloitte Italy, mostra più concretamente che ancora il 64% delle persone nel mondo del lavoro sarebbe disposto a dimettersi nel caso in cui l’azienda modificasse le condizioni di lavoro (come il rientro full time in ufficio) e 2 persone su 5 hanno già rifiutato un’occupazione perché non in linea con i propri valori.Quasi a dire che un malessere generale, sempre esistito sottotraccia, ora si è prepotentemente consolidato.Qualcosa evidentemente è irrevocabilmente cambiato e la frustrazione di non amare quello che si fa, o come lo si fa, è diventato un problema non più assecondabile o compensabile con qualche marginale benefit (che oggi pare più un vecchio retaggio delle trattative degli anni ’80). In una parola i lavoratori non cercano più “il posto fisso”, pubblico o privato, ma il giusto “benessere lavorativo” inteso come qualità di conciliazione casa lavoro da un lato e appagamento professionale dall’altro. La Regione Friuli Venezia Giulia a tutto ciò non è estranea forte anche, e soprattutto, di un tasso di occupazione generale pari al 68,5% che la pone dopo le piazze lavorative più prospere della Penisola Italiana e addirittura prima della Lombardia e del Veneto.D’altronde, la ricerca di una maggiore qualità lavorativa non è conseguenza di uno stato di disoccupazione bensì l’opposto, di un’occupazione stabile e duratura (ma di scarsa qualità) ed in tal senso i numeri della Regione sono chiari e del tutto positivi: nel 2022 sono stati 357.378 gli occupati a tempo indeterminato e 65.138 quelli a tempo determinato (comprese quelle occupazioni di pe sé stagionali).Da un tanto deriva una prima fondamentale considerazione: il “benessere lavorativo”, che a livello mondiale è all’origine della Great Resination (le “dimissioni di massa”: oltre 10 milioni di dimissionari in tutto il mondo nel 2021-2022), presuppone una condizione di benstare di base intesa come garanzia di occupazione ove chi ha rassegnato le proprie dimissioni non l’ha fatto con la prospettiva di disoccupazione bensì confortato da una certa probabilità di rioccupazione.Questo è un passaggio importante per la comprensione di questo macro-fenomeno perché circoscrive la platea dei soggetti interessati non ai disoccupati e agli inoccupati bensì a chi un lavoro ce l’ha.Nasce così una sottocategoria fra gli occupati che fin’ora non era mai stata presa in considerazione dalle statistiche ufficiali (ma solo, appunto, da analisi psicologiche di massa e report sociali): gli occupati che, nonostante il proprio lavoro “sicuro”, si ritrovano impoveriti di diritti, di stimoli, visioni e fiducia: l’”infelicità da lavoro” (sempre esistita ma anche sino ad oggi sempre sopportata e ritenuta quasi “normale” nel mondo del lavoro) ora diventa una voce imperante che le parti datoriali devono tenere da conto se non vogliono perdere le proprie risorse umane.Secondariamente stupisce che la via per il generale riscatto verso il “benessere lavorativo” passi dalla stessa strada (sempre agognata ed invano elemosinata) dalle donne lavoratrici: flessibilità, conciliazione casa lavoro, etc. a dimostrare che quando una causa è chiesta solo da una parte della platea (dalle donne) è quella stessa parte a diventare il problema, mentre quando a chiederla lo fa tutta la platea insieme (tutto il mondo del lavoro a prescindere dal genere) è il problema ad emergere.Una presa d’atto preziosissima per chi si occupa di discriminazioni sociali e lavorative delle donne che le vede ancora, anche nella Regione Friuli Venezia Giulia, dietro all’occupazione maschile di oltre 5 punti percentuali. Ad maiora.(si ringrazia per i dati sull’occupazione nella Regione Friuli Venezia Giulia, l’ufficio Osservatorio Regionale del Lavoro dell’Amministrazione Regionale)
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