La profezia sull’Isonzo di Simon Gregorčič
9 Maggio 2023
La poesia vera può scaturire solo dal profondo creativo di una persona.Ciò che non sgorga da questa profondità autentica, non è vera poesia. Il fondo creativo dell’uomo è aperto e orientato verso la vita, lo permea con la sua infinità, ineffabilità, con la sua tempesta abissale, con il suo silenzio inafferrabile, ora in questo modo, ora in un altro”. Queste parole di Vladimir Truhlar, goriziano e poeta pure lui, possono essere riferite anche a Simon Gregorčič.Truhlar fra l’altro divenne sacerdote ed insegnò all’Istituto di Spiritualità (fondato da lui) dell’Università Gregoriana di Roma negli anni sessanta e settanta.Simon Gregorčič, denominato Goriški slavček (L’usignolo goriziano) non è solo uno dei più grandi poeti lirici dell’Ottocento sloveno per la sua indole estremamente sensibile e nello stesso tempo fiera, sebbene soffusa di una nota di tristezza e di pessimismo, e per la melodiosità e la nitidezza della sua espressione, ma è anche uno degli autori più amati dalla gente comune.Nato nel 1844 a Vrsno, in un piccolo villaggio di montagna, situato sotto le cime del Monte Nero, non lontano da Caporetto, conseguì a Gorizia prima il diploma al ginnasio e poi continuò gli studi al seminario vescovile e divenne sacerdote. Ottenne l’incarico di cappellano prima a Kobarid, poi a Rihenberk e infine a Gradiš¤e presso Prva¤ina. I poveri contadini delle valli isontine sentirono di avere in lui un vero amico, capace di amarli e di comprenderli sentendosi lui pure uno di loro, di umilissime origini, povero e infelice attraverso tutta la sua esistenza; tutta la nazione slovena, ma in particolare i suoi contemporanei, gente di confine, trovarono nei suoi versi l’espressione più genuina dei propri sentimenti di amore, amore della natura e desiderio di libertà e giustizia.Leggendo la poetica di Gregorčič si capisce che il destino del poeta è vivere in uno spazio permeato di illimitatezza.Spesso gli appare il destino crudele, ma il poeta trova il suo posto non nella superficialità di una vita consumistica, dove tutto è superficiale, tutto insipido, senza orizzonti. In questo senso la più celebre delle sue poesie, universalmente nota non solo in Slovenia, è la poesia dedicata all’Isonzo (Soči, 1879), in cui il poeta-vate descrive con visione profetica “l’orrendo massacro” che insanguinerà la sua terra, una strage e una rovina per le nostre terre: con tale espressione e vera ispirazione profetica Gregorčič già nella seconda metà del 19° secolo prelude alla prima guerra mondiale quando la sua valle, il suo Isonzo e i suoi monti saranno invasi dallo straniero “avido” e per qualche decennio privati della libertà a causa della dominazione straniera.Durante gli anni del sacerdozio a Gradišče, comprò anche un terreno e lì si costruì la casa, ma a causa di problemi economici (debiti a causa dell’acquisto), dovette vendere la proprietà e trasferirsi a Gorizia.Le difficoltà e le lotte per la vita hanno fatto nascere nelle sue poesie amare confessioni come per esempio in človeka nikar! (Nessun uomo!), Moj črni plašč (Il mio mantello nero), che furono anche causa del suo pessimismo.Anche le dure critiche ed i rimproveri di Jože Mahni¤, storico letterario e professore universitario e liceale a Gorizia, lo hanno molto addolorato. Successivamente passò sempre più da una poesia intima e personale a testi più patriottici o alla poesia riflessiva e occasionale.Per sette anni rinunciò all’attività poetica e sono gli anni, in cui si è messo a tradurre, principalmente opere letterarie dal russo e dal greco e dall’ebraico testi biblici (Giobbe e Salmi).Nel novembre del 1806 durante la messa crollò a terra a causa di un ictus. La notizia della morte del poeta balenò in tutto il Goriziano.Una folla enorme al suo funerale, che è rimasta fino ai nostri giorni impressa nella memoria collettiva, di sloveni, ma anche italiani e friulani, lo accompagnò da Piazza Vittoria attraverso la Valle dell’Isonzo fino a Sv. Lovrenc vicino a Kobarid, dove è tuttora sepolto.I suoi versi hanno un timbro così melodioso, per cui gran parte delle sue poesie furono messe in musica e trascritte per il coro.
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