Parlare con il cuore

Proseguendo nella stesura di un suo ideale “manuale del buon comunicatore”, papa Francesco sofferma la sua attenzione nel Messaggio per la Giornata delle comunicazioni sociali su un altro degli atteggiamenti che dovrebbero segnare la quotidianità di quanti operano nel mondo dei mass-media. Il “parlare con il cuore. Secondo la verità nella carità” si aggiunge, così, all’”andare a vedere” (2021) ed “ascoltare” (2022) da cui era partita la riflessione gli scorsi anni: un appello che “interpella radicalmente il nostro tempo, così propenso all’indifferenza ed all’indignazione, a volte anche sulla base della disinformazione, che falsifica e strumentalizza la verità”. Francesco sollecita ad aprirsi ad una cordialità che permette di andare oltre l’indifferenza e gli stereotipi, facendosi anche intendere da chi, apparentemente, è incapace di ascoltare e parlare “raggiungendo anche i cuori più induriti”: l’esempio indicato nel testo è quello significativo del rapporto di San Francesco di Sales con il sordomuto Martino.Percorrendo questa strada, il testo cessa di essere un monologo unidirezionale ma diventa dialogo che vuole parlare da cuore a cuore; l’articolo, cartaceo o digitale, non rimane uno strumento statico ma nella sua dinamicità testimonia come la comunicazione sia davvero, prima di tutto, comunione. Ad oltre mezzo secolo dalla sua stesura, risuona, quindi, più che mai attuale l’auspicio dell’Istruzione pastorale “Communio et Progressio” pubblicata nel 1971 “per disposizione del Concilio ecumenico Vaticano II” dalla Pontificia Commissione per le comunicazioni sociali: “La comunicazione, per la quale gli uomini divengono prossimi tra di loro, si trasformi davvero in comunione”.Anche nell’era del Web 4.0, dinanzi alle sfide che il Metaverso già propone all’intero sistema globale massmediale – con ChatGpt che si propone come il redattore del futuro – Papa Francesco ci richiama ad una verità profonda: “Tutti siamo chiamati a cercare e a dire la verità ed a farlo con carità” e questo comporta una comunicazione “dal cuore e dalle braccia aperte”.Rendendosene conto, il giornalista non scrive più per un lettore generico, estraneo ed indistinto ma deve considerare il lettore come “un compagno di strada”, conscio che le sue parole, i suoi articoli influiranno sulla vita di chi li ascolta.

Un atteggiamento che lo deve portare a non “fomentare un livore che esaspera, genera rabbia e porta allo scontro”, aiutando, piuttosto, “le persone a riflettere pacatamente, a decifrare con spirito cristico e sempre rispettoso, la realtà in cui vivono”. Il richiamo ad un linguaggio “non-ostile” si contrappone, fra l’altro, alla sempre più incontrollata diffusione di fake-news e all’hate speech, particolarmente nel mondo dell’informazione digitale.Il papa, poi, sottolinea come i comunicatori possano davvero diventare costruttori di pace e questo, in un periodo come l’attuale, assume una valenza del tutto particolare.Francesco ci ricorda che la fine delle violenze e delle guerre può dipendere anche dal nostro modo di raccontare quanto avviene: “abbiamo bisogno di comunicatori disponibili a dialogare, coinvolti nel favorire un disarmo integrale e impegnati a smontare la psicosi bellica che si annida nei nostri cuori”. Un giornalismo “coinvolto” e “coinvolgente”, schierato, però, non con una delle parti in conflitto ma con quanti credono ancora che la strada per la risoluzione dei conflitti passi attraverso la ricerca della pace e non solo con l’uso delle armi; un giornalismo che parla e scrive con il cuore perché “partecipe alle gioie ed alle paure, alle speranze ed alle sofferenze delle donne e degli uomini del nostro tempo”.E leggendo queste espressioni, sentiamo risuonare attualizzate le parole che i Padri del Concilio Vaticano II ci affidarono donandoci la Gaudium et Spes: un impegno per un giornalismo di profezia nella certezza che essere profeti non è prevedere il futuro ma impegnarsi perché esso possa essere migliore.