La celebrazione della visibilità, del successo e dei soldi

I recenti fatti di Casal Palocco, nei quali ha perso la vita il piccolo Manuel di soli 5 anni, hanno aperto un ampio dibattito all’interno dell’opinione pubblica, portando alla luce un fenomeno che in realtà spopola sul Web ormai già da qualche anno: quello della “sfida”.I ragazzi che hanno causato l’incidente con l’autovettura nella quale si trovava il bambino, stavano infatti registrando una puntata per il loro canale YouTube, all’interno della quale “dimostravano” di poter stare al volante di una Lamborghini per 50 ore consecutive, senza mai sostare.Di sfide come queste, non solo sul loro canale ma su moltissimi altri e di vari tipi, la Rete ne è piena e denota un fenomeno, a livello comunicativo, decisamente e purtroppo figlio del nostro tempo.Abbiamo coinvolto in questa discussione il professor Nicola Strizzolo, docente di Sociologia alla Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Teramo, e a lui abbiamo chiesto alcune riflessioni e un’analisi su questo dilagante fenomeno, dai risvolti in questo caso, purtroppo, tragici.

Professore, la conflittualità sui social: prima Facebook che si trasforma in un covo di “lingue lunghe”, rendendo il clima sempre più teso sotto ogni post; nell’arco di poco, la stessa sorte tocca anche Instagram. Viene da domandarsi quando toccherà anche agli altri social più in voga… Da cosa nasce secondo lei questa astiosità, quando ci siamo incattiviti così?Gli insulti online, come i mascheramenti, appartengono alla storia stessa degli strumenti di comunicazione telematica: anche prima dei Social, adolescenti rancorosi si scagliavano contro persone o gruppi, non sempre e non solo protetti dall’anonimato ma anche facilitati dalla distanza, per la quale era più difficile percepire le possibili conseguenze sull’altro degli attacchi e delle contumelie.Dietro non solo vi sono attitudini umane, ma anche la mancata consapevolezza dell’investimento che altre persone collocano nel loro profilo digitale, della “Net etichetta” (l’etichetta da mantenere in Rete) ma anche che quella piccola finestra di testo che si apre sul display, bianca e apparentemente innocua, sia uno spazio tendenzialmente pubblico, e siamo responsabili, anche di fronte alla legge, di quello che vi inseriamo.Così purtroppo mature signore, neofite del Web, hanno scritto, con un linguaggio esplicito, quello che pensavano di importanti cariche dello Stato e si sono, con stupore e incredulità, trovate indagate per “odio online”.

Il recente caso degli Youtubers a Casal Palocco ha portato, purtroppo con conseguenze estreme, sotto gli occhi di tutti quello che è un fenomeno dilagante tra i social, ovvero la “sfida” come caratteristica comunicativa. Questo è un caso, come abbiamo detto, estremo ma scorrendo i vari social, in primis YouTube, di video “sfida” se ne trovano a migliaia (basti pensare ai famosi “Me contro Te” che pubblicano contenuti per bambini…). Che lettura da lei di questo fenomeno? La domanda, che a sua volta ne racchiude tantissime, è soprattutto un grande stimolo a riflettere, su componenti costanti, nella storia sociale umana, ma anche sulle peculiarità culturali di quest’epoca, che può o meno amplificare alcune caratteristiche e ridurre altre sotto traccia, e infine la sospinta mediatizzazione della società.Partiamo dalla prima: le sfide. La sfida, con conseguenze devianti e criminose è sempre esistita.La prima cosa che mi è venuta in mente alle prime notizie di quanto accaduto a Casal Palocco, è stata la trama di “Gioventù bruciata”, uscito in Italia nel 1955.Nel film, il disagio giovanile trovava sfogo in sfide automobilistiche, nelle quali ci si scagliava a tutta velocità verso un burrone con la macchina; vinceva chi frenava o abbandonava il veicolo per ultimo. C’era chi perdeva così la vita e chi l’avrebbe invece persa in successivi contesti violenti – non uso intenzionalmente l’aggettivo “criminali” -. Una delle cause: l’incomunicabilità o inadeguatezza genitoriale.Vi sono anche molte differenze però, che aiutano a capire la nostra epoca: il business – quella degli influencer non è un’azione gratuita e disinteressata -; la diffusione e spettacolarizzazione nei social; la presenza dei genitori, apparentemente – quello che vediamo e sappiamo è a sua volta rappresentato – pedagogicamente impropria secondo un orizzonte di valori di crescita e responsabilità comunitaria.

I social erano nati come luogo virtuale di ritrovo, amicizia… quanto siamo lontani dalla loro funzione originaria e verso cosa ci stiamo dirigendo?I “The borderline” (nome del gruppo di influencer coinvolto nell’incidente a Casal Palocco) non erano gli sbruffoni in classe per fare colpo su quella del terzo banco ma erano un’impresa di produzione e condivisione di contenuto monetizzato sulla base della visibilità: tanta. Questo corrisponde a tanti soldi, che a sua volta facilitano l’esibizione di una vita di lusso, emblema di successo: visibilità, successo e soldi. Valori questi oggi molto celebrati, che stanno portando a livello di impatto – a sua volta medialmente celebrato – molti giovani verso scelte che per le generazioni precedenti rappresentavano degli stigma ma anche, secondo molti psicologi, tutt’ora non facilmente sostenibili: la vendita del proprio corpo all’industria pornografica. Meccanismo che processa e spettacolarizza tutto ciò che gli sta intorno, anche se gli si oppone: la sofferenza, simulata o meno, di un genitore, in questi giorni, sta venendo tritata dai media e rivenduta, come nell’ultimo anno è avvenuto per le risposte di dirigenti scolastici, datori di lavoro di servizi per le famiglie, che hanno trovato inappropriato l’occupazione delle giovani attrici del porno fai da te in piattaforme a pagamento, come anche l’assenso di madri tolleranti o complici.Non si tratta di numeri elevati: sono poche le persone che scelgono questa strada, almeno quelle che emergono e che conosciamo per la presenza nei diversi canali. Ma sono tantissime le persone che fruiscono di queste piattaforme e altissima la risonanza e visibilità che ottengono su diversi mezzi, amplificando a modello quel circuito sopra enunciato: visibilità, successo e soldi.

Ovviamente a tutti questi fenomeni una risposta educativa va data in famiglia, ma anche le altre reti sociali che i ragazzi frequentano non possono tirarsi indietro, prima tra tutte la scuola dove i più giovani trascorrono gran parte della loro giornata e dell’anno. Cosa potrebbe essere messo in moto dal mondo scolastico per affrontare la problematica? Quale “cambio di rotta” per parlare il loro linguaggio?Che cosa può fare la Scuola? Forse dovremmo iniziare a chiederci che cosa può fare lo Stato e tutti noi per la Scuola. Apprezzare, gratificare e pagare di più i laureati che vi insegnano. Se le figure che dovrebbero essere emblema di studio e impegno, sono bistrattate, sfruttate e sottopagate, ai giovani si testimonia che questo non ha valore. Costruire insieme, e non divisi, una società unita, che non distingua e discrimini chi ha meno visibilità, successo e soldi.Insegnare la bellezza delle piccole cose e che in queste si può dischiudere un’immensità che non può essere rappresentata nei social e non deve per forza trovare spazio in qualche talk show, che può essere condivisa, come azione e testimonianza con chi sta attorno, con la comunità, anche senza like.

A cosa risponde questo bisogno di “sfida”? Solo moda o è veramente successo qualcosa a livello comunicativo?La sfida uno contro uno, uno contro tutti, vincere, essere il migliore sugli altri, affondarli: la colpa sicuramente non è dei giovani, hanno portato nel loro mondo quello che fanno i grandi nei loro.Da quant’è che un dibattito televisivo, pacato, senza insulti o sopraffazioni verbali raggiunge un alto numero di pubblico e con questo aumentano di valore i suoi spazi pubblicitari e così l’ingaggio dei conduttori? Sempre lo stesso ingranaggio: visibilità, successo, soldi…Michel Houellebecq, scrittore del quale i protagonisti sembrano naufraghi sopravvissuti a un disastro morale planetario, senza valori e con pochi obiettivi, se non l’assuefazione a droghe, alcool, sesso e altre dipendenze, per assuefarsi all’esistenza stessa, declina in diversi contesti narrativi un concetto sintetizzato nel suo primo romanzo di successo, l’”Estensione del dominio della lotta”, che trova un manifesto più esteso nel voluminoso “Particelle elementari”: il neoliberalismo ha colonizzato ogni ambito della vita, non solo quelli professionali, ma anche quelli più intimi, producendo un’estesa e diffusa competizione, per far prevalere i propri interessi, sulla base della forza e delle risorse. Il risultato corrisponde all’”Io minimo” di Cristopher Lasch: individui sotto assedio, sempre più soli, senza relazioni vere e prospettive comunitarie partecipative.Quando vedo trasmissioni, dove i giovani vengono messi uno contro l’altro, altri format dove “sopravvive” un solo concorrente, e poi rivedo situazioni analoghe, per contenuti, forme e linguaggi, nei social, credo che la prima sfida che abbiamo perso, nelle rappresentazioni culturali che alimentano l’immaginario e orientano l’azione, sia quella della fratellanza, contendenti nelle infinite sfide che alimentano audience e incassi.