Un santuario oltre i confini: Santa Maria di Cortevecchia

Un poeta friulano, Antonio Chiaruttini, di San Vito al Torre, scrisse e musicò una poesia per ogni giorno del mese di maggio. Una di esse la intitolò “Peregrinantium comes”, compagna di chi va.Quando si passa davanti al santuario della B. V. di Santa Maria di Cortevecchia (Curviere), a Castions delle Mura, capita di provare questa sensazione. Emerge dalla pianura circostante; troneggia in maniera caleidoscopica, a seconda delle stagioni e delle ore del giorno.Albe diafane e rossi tramonti la valorizzano.Nuvolaglia temporalesca e bianca luce notturna sembrano accarezzarla perfino quando il tempo fa paura.Punto d’approdo, presenza rassicurante, sfidando i secoli. Il simulacro della Vergine comparve per tre volte a una donna del popolo, e ripeté una richiesta ormai classica per farsi costruire una chiesa. Attraversando il tempo, due gliene costruirono, in collaborazione fra potenti e umili.Questo divenne il santuario degli Strassoldo, e gli stemmi di famiglia si trovano fin sugli stalli del coro. Poderosi furono gli interventi finanziari di Giuseppe Antonio, nella costruzione della seconda chiesa, ma gli Strassoldo già c’erano nella prima, dalla quale arrivarono due lapidi: in latino, ben tornito, raccontavano di imprese guerresche da cui uscirono indenni. Il terzo ex voto è un quadro con San Carlo Borromeo, la Madonna con Bambino, San Marco col libro e il suo leone: Strassoldo era veneta, Castions era veneta. Gli Strassoldo militavano di qua e di là: con Venezia e con Vienna; la fedeltà era, anche giuridicamente, un dato personale, non era legato allo stato. Da qui, nel 1672, Carlo di Strassoldo aveva militato con Vienna, sfuggendo ai pericoli di guerra in Ungheria. La scritta è latina, per la grammatica, forse alterata da riscritture di chi al latino non era avvezzo.Ma si capisce che ai pericoli sfuggì, Carlo, e volle rappresentare nel quadro di che cosa si trattava: in basso, è dipinta, quasi a miniatura, una scena di guerra. La mano che ha dipinto è di un pittore di fama: Gian Giuseppe Cosattini (1625-1699), udinese, canonico di Aquileia, ritrattista alla corte di Vienna, allievo del Padovanino. E il simulacro della Vergine?La cronaca parrocchiale di Castions non versa lacrime, ma la statua (Madonna con Bambino) fu venduta a un antiquario: dev’essere stata “brutta”; si capiva poco di lei, dev’essere stata medievale. La attuale, una bella statua collocata in un solenne altar maggiore a marmi policromi, fu sistemata in una nicchia; la vecchia statua “era conveste di panno non atta a portarsi in processione”, nel 1901 sarebbe stata fattarealizzare una nuova Assunta dai fratelli udinesi Luigi e Giuseppe Filipponi,”alla quale fu applicata la testa della statua [lignea] scolpita nel 1874. Per la veccia, sii trattava, evidentemente, di una “madonna vestita”, ove, di scolpito erano, per lo più, capo, mani e piedi. Poche di esse sono rimaste, non godevano dei favori delle alte sfere; giustamente si temeva il feticismo…Ma la funzione di santuario “Le Madone dal barassâr”, “La Madonna del rovo”, come la volle chiamare una tradizione antica, ce l’ha, con certezza.Dal primo Cinquecento: vi pellegrinava la pieve di Trivignano, che comprendeva Clauiano, Jalmicco, Merlana, Mellarolo, Medeuzza, Chiopris e Viscone. Vi pellegrinavano (ora, soltanto la comunità di Felettis) la pieve di Aiello (con San Vito e Crauglio) e comunità di una cintura poco lungi dal santuario. Più che per l’Assunta, in tempi successivi, prese piede la devozione per Santa Filomena, santa discussa, addirittura per l’esistenza, ed espunta dal calendario, ma rimasta nel cuore di tante persone.Di Lei c’è una statua inserita in un altare laterale illuminato da una luce del tutto particolare.Ex voto antichi, pellegrinaggi, ma c’è financo un altro elemento della tradizione che parla dei miracoli.Conferma la vocazione santuariale della chiesa una amplissima lapide posta sulla sua facciata a conclusione del rifacimento settecentesco.In essa, infatti, si ricorda che, da tempo immemore (“ab immemorabili”), la Beata Vergine di Cortevecchia era divenuta celebre per i molti miracoli (“innumerisque… prodigijs”). Non era un qualcosa di quel mondo mirabolante che alimentava credenze sempre nuove; nella pietra, era ricordata la consacrazione avvenuta nel 1757 da Girolamo Gradenigo, primo arcivescovo di Udine dopo la soppressione del patriarcato.Tradizione, pellegrinaggi, riconoscimento da parte episcopale, il santuario era nel cuore della gente. Lo si deduce da un affollato quadro del 1753, parzialmente non leggibile nella parte didascalica, che racconta uno di queste manifestazioni di pietà popolare, superficie di contatto fra la Chiesa e il popolo. La scena è movimentata: arriva la processione, il sagrestano si affretta alle porte del santuario (dipinto nelle parti essenziali coi due campanili) con le chiavi in mano. Emerge il parroco col quadrato (bireta) in testa, e in cotta e stola; seguono popolani e nobili, popolane e nobili; emerge un personaggio con la funzione di guida nelle processioni. Ha in mano un elemento che, cosa rarissima, a Castions si è conservato: è il “pareomps”, un bastone riccamente ornato che veniva usato per mettere ordine nelle processioni.Per volontà popolare, di recente, sono stati restaurati numerosi ex voto: alcuni ingenuamente dipinti che ricordano disgrazie del quotidiano ed esiti di guerra.Nel fluire degli anni, perdono in qualità ed evidenziano il carattere seriale delle composizioni, sempre dominate dal classico PGR (Per Grazia Ricevuta). Supplisce alle immagini qualche annotazione sul retro, perlopiù la grazia del ritorno nell’”ultima” guerra. In paese, ci tengono al santuario, curato in ogni particolare ancorché minimo. Da non molto, è stato pubblicato un libro sulle vicende di questa chiesa, che, nel corso dei secoli, ha riunito plebi di comunità divise da confini politici, ma unite dalla medesima fede.