Parità ridotta

È dall’Assemblea Costituente del dopo guerra che si parla, con dovizia istituzionale, di parità di genere; ancora un ventennio è sarà celebrato il primo centenario ufficiale di lotte sociali, normative, politiche per le donne del nostro Paese.Ciò nonostante, probabilmente per la prima volta in tutto questo arco temporale, “migliorare” la condizione femminile non pare essere più la priorità che si è trasformata in “non peggiorarla”: non indietreggiare rispetto ai diritti acquisiti perdendo quelle quote di rispetto che parevano essere state stabilmente acquisite.Mai come ultimamente (una triste parentesi decadimentale dell’ultimo quinquennio almeno), si è tornati a discriminare le donne sancendo, ad esempio, che la violenza su una donna nasce “perché lei se l’è andata a cercare” (sentenza contro il fidanzato assassino di Carol Maltesi derubricata da ergastolo a termine perché “lei, disinibita, lo aveva ferito” o, altra, di Genova del 2018, che ha ufficialmente fatto esordire l’attenuazione della pena per “illusione”) o a vestire la molestia di leggerezza e scherno (il bidello assolto perché, seppur ha palpeggiato le parti intime di una studentessa, l’intento era scherzoso o, sentenza di Ancona del 2022, i presunti stupratori assolti perché lei “era così mascolina da essere instuprabile”).Ma anche il lessico comune è tornato a vestirsi pubblicamente di volgarità verbali lì dove la televisione di Stato ha trasmesso, seppur per errore, commenti sessisti di giornalisti ai campionati mondiali di nuoto sincronizzato femminile (luglio 2023). La Rai ovviamente li ha sospesi in tronco ma la loro difesa, pubblicamente molto condivisa dai lettori, passa dalla rivendicazione maschile di poter essere abietti in privato ma pubblicamente retti. Una sorta di Caino che però in pubblico non ammazza e che, nel nostro caso, si aspetta davvero, nonostante la verbale umiliazione dei corpi delle donne, di essere ancora assegnato al commento di altre gare sportive femminili. Anche la nostra Premier è finita sulle prime pagine dei media in costume da bagno con lo scherno sessista della sua mise en forme da parte di chi, evidentemente cresciuto a pane e Miss Italia, non è capace di discernere donne di Stato dalle ragazze “cin – cin” e neppure, a quanto pare, notizie da prima pagina da notizie inopportune. Per non parlare, purtroppo e infine, di tante recenti campagne politiche locali che trasudavano di testosterone dove la parità è chiaramente stata intesa come una seccatura, un peso rappresentativo, una carta appiccicosa incollata alla scarpa, seccante, noiosa un po’ come nella concezione mediana giornalistica ove argomenti di cultura della parità di genere fanno notizia solo se sensazionalistici o altrimenti cassati, ignorati, relegati all’ultima pagina insieme ai necrologi cittadini. E allora diciamolo a gran voce: la parità di genere non piace agli uomini e spesso infastidisce anche molte donne, questa è la verità che fa i conti ogni giorno con un quotidiano distratto e girato dall’altra parte (che poi cade in gaffe, errori o vere e proprie violazioni) forse perché rispecchia una comunità contemporanea dall’eticità sporca, compromessa e fraccomoda.A comune discolpa vi è che per troppi anni la parità è stata faziosamente tramutata in una contrapposizione di generi nel perseguimento di obiettivi marginali e poco condivisi. Niente a che fare con i movimenti femministi degli anni 70 le cui lotte sono state salvifiche e rivoluzionarie per tutte le donne del nostro Paese. Nell’ultimo cinquantennio, invece, le donne hanno perso tanti pezzi delle loro battaglie di cui, sicuramente il primo, è stato la necessità, l’urgenza, il bisogno della coesione fra loro relegando così, di fatto, la parità di genere ad una elite di poche, un capriccio di classe, circoscritto, solitario quasi a dare solo un marchio di riconoscibilità di alcune rispetto ad altre.Niente di più sbagliato. Allora giù le mani dalla parità che, mai come ora, si riscopre esigenza primaria di educazione sociale e diritti non più procrastinabile per tutta la nostra Comunità.