“Mi sta a cuore”: un anno di servizio alla scoperta del proprio posto nel mondo

Nell’ottobre 2022 è partita la prima edizione del progetto “Mi sta a cuore”, promosso da Caritas italiana. Per cinque giovani un anno nel quale poter vivere un’esperienza concreta di servizio, vivendo tutti insieme, con la possibilità di conoscere, crescere e valorizzare i propri talenti. Il tutto a Roma, città tanto meravigliosa quanto carica di fragilità e contraddizioni.Tra i candidati selezionati anche Angela Montagner, giovane da Jesolo ma goriziana “d’adozione” (nella nostra città ha vissuto alcuni anni per svolgere i suoi studi magistrali al DAMS e qui ha anche trovato il ragazzo). Nel corso della sua pausa estiva dalle attività di “Mi sta a cuore”, l’abbiamo raggiunta telefonicamente e ci siamo fatti raccontare proprio da lei che cosa significhi “mettere in campo” un anno della propria vita a servizio degli altri.

“Mi sta a cuore” si definisce come “un anno della propria vita a servizio degli altri”. Come è maturata in te la scelta di presentarti per aderire a questo progetto?Non è stata una scelta casuale, è un’esperienza che ho cercato.Dopo la laurea magistrale, che ho ottenuto a Gorizia, e successivamente al periodo della pandemia, molto duro e che personalmente ho un po’ sofferto, cercavo un’esperienza che mi aiutasse nel mio bisogno di creare relazioni umane, a sperimentare ancora l’umanità, sia in un luogo di lavoro, che a contatto con le persone, anche più fragili, perché anche io mi sono sentita molto fragile durante il periodo del Covid. Ho quindi iniziato a guardarmi intorno, per dare un po’ di aiuto agli altri ma anche per aiutare me stessa.In quel periodo mi stavo guardando intorno e stavo valutando alcune possibilità come il Servizio Civile; è stato parlando con don Nicola Ban di questo mio desiderio di fare un’esperienza nuova, che mi è stato proposto il bando per prendere parte a “Mi sta a cuore”.Inizialmente ero scettica – un anno a Roma mi dava dei pensieri – ma al contempo continuavo a pensarci, a rileggere il bando, a cercare di comprendere se fosse quella l’esperienza che faceva per me. Così ho presentato la mia candidatura, proponendo come motivazione delle parole semplici, ossia che dopo un periodo difficile, nel quale tra l’altro ho avuto un grave lutto in famiglia, cercavo un’esperienza che mi aiutasse a uscire e che mi rendesse utile per qualcun’altro.Sono stata ricontattata per il colloquio a Roma, molto particolare: è durato due giorni, è stato molto intenso. Il progetto prevede infatti la vita comunitaria e il colloquio è stato sia individuale, che di gruppo, per “testare” come noi candidati ci relazionavamo tra noi, come si era capaci di lavorare in gruppo… Ci sono stati poi i giorni dell’attesa finché, dopo qualche settimana, ho avuto la comunicazione che ero stata selezionata assieme ad altri 5 ragazzi e ragazze.

Una selezione che ha portato ad un’esperienza comune per cinque giovani da tutta Italia. Cos’hai provato, come ti sei sentita quando hai saputo di essere stata scelta per questo rilevante progetto?Ho provato tanto entusiasmo ma al contempo anche la “paura” di trasferirsi, di andare a vivere con persone sconosciute, di trovare un ambiente completamente nuovo… ma ero da subito tanto felice – anche perché ho anche sempre desiderato provare la vita a Roma per un periodo della mia vita, è una città che mi ha sempre affascinato -. Così sono poi partita per quest’”avventura”.Dei momenti in cui ho ricevuto la comunicazione che la mia candidatura era stata scelta, ricordo che è stata proprio Benedetta Ferroni – responsabile del progetto – ad avermelo comunicato con una telefonata; ero molto tesa, questo è innegabile, ma come dicevo anche molto felice per essere stata scelta per un’esperienza così importante. Ho subito chiamato mia mamma, il mio ragazzo, ho condiviso con gli affetti più cari questa bella notizia.Quando poi sono arrivata a Roma ho realizzato che stava accadendo tutto veramente, prima non mi sembrava quasi vero!

Come si svolge una “giornata tipo” nel progetto “Mi sta a cuore”? Tu e i tuoi compagni e colleghi cosa siete chiamati a fare? In particolare tu di cosa ti occupi?Ci svegliamo – ognuno di noi ha la sua stanza personale presso l’istituto delle suore Figlie della Carità di San Vincenzo de Paoli, dove risediamo; è davvero una bellissima struttura, siamo dei privilegiati! (ride) – colazione e andiamo quindi nella sede di Caritas italiana, dove siamo stati assegnati a degli specifici Uffici. Ad ognuno di noi è stato assegnato un ruolo all’interno degli uffici, a seconda delle proprie competenze, degli studi compiuti e delle attitudini.Io, avendo studiato Tecnologie multimediali prima e avendo svolto poi la Laurea Magistrale al DAMS – Discipline delle Arti, Musica e Spettacolo, avevo espresso già durante ai colloqui, nel caso in cui fossi stata selezionata, la richiesta di poter essere inserita nell’Ufficio Comunicazione. Opero quindi lì con tanti “bei” colleghi, che devo dire mi hanno e mi stanno insegnando veramente tantissimo – Paolo Valente, Ferruccio Ferrante, Danilo Angelelli, Francesco Spagnolo e Chiara Bottazzi -. Un bellissimo team di lavoro con il quale, una volta alla settimana, svolgiamo un briefing di gruppo, per rimanere aggiornati sulle necessità, sui lavori che vanno realizzati, a che punto ci si trova e anche come ci sentiamo.Svolgo il mio servizio in Ufficio fino ad ora di pranzo, quindi pranziamo tutti insieme. Alcuni pomeriggi a settimana svolgiamo un servizio di prossimità e ognuno ha scelto il proprio: chi con le persone immigrate, chi con le mamme sole, chi con gli anziani soli (il servizio che ho scelto io).Il percorso si chiama “Assistenza domiciliare leggera”: vado a casa di alcune persone anziane, sole, per far loro un po’ di compagnia, svolgere qualche piccola commissione per conto loro o aiutarli nei lavoretti domestici. A Roma – ma non solo, ormai è un problema diffuso in tutto il Paese – c’è una vera emergenza “anziani soli”. Queste sono persone indipendenti, hanno una casa e sono autonome, ma non hanno parenti in vita o vicini a loro che li possano seguire e accompagnare.Svolgo questo servizio in particolare con la signora Maria Luisa, di 86 anni, con la quale ho instaurato un bellissimo rapporto nel quale non so se sono io che aiuto lei, o lei che aiuta me, perché veramente ho compreso come, mettendoti a servizio, ricevi veramente tanto.Insomma è un anno bello intensivo!Una volta alla settimana viviamo anche un incontro di comunità, dove ci ritroviamo tutti insieme come gruppo “Mi sta a cuore”, con Benedetta, la nostra responsabile, suor Lorella e don Antonio, gli altri responsabili che ci seguono nella nostra crescita e nel nostro percorso. Ci ritroviamo a “casa” nostra, solitamente facciamo una cena, quindi i nostri responsabili – o anche noi stessi – propongono un argomento, oppure parliamo di qualche dinamica, risoluzione dei conflitti… È un bel modo non solo per parlarsi e confrontarsi ma anche per trovarsi, perché gli impegni spesso ci portano in luoghi distanti tra loro pur essendo nella stessa città ed è difficile trovarsi tutti insieme, fermarsi, ascoltarsi, parlarsi: è fondamentale nel percorso di “Mi sta a cuore”, dove uno degli obiettivi è anche comprendere il proprio “posto nel mondo”.

Il vostro anno di servizio tra non moltissimo giungerà al termine. Quali sono le esperienze che più ti hanno colpito? Cosa porterai con te quando cederai il testimone ad altri candidati?Vero, ci avviamo verso la conclusione, l’esperienza terminerà il 14 ottobreÈ una domanda complicata, perché ci sono diverse cose che conserverò. Credo in particolare i tanti incontri che ho avuto: con i colleghi, per come mi hanno accolto all’inizio, come mi sono stati accanto anche nel mio spaesamento iniziale – perché ammetto di essere arrivata completamente spaesata e il primo periodo è stato il più difficile – per essersi posti come dei mentori per me; poi l’incontro con Maria Luisa e con Benedetta Ferrone; accanto a questi tanti altri incontri, che sicuramente porterò sempre nel cuore.Mi rimarrà nel cuore anche la quotidianità della vita a Roma, del vivere in una città così bella ma al contempo così complessa; penso sia un’esperienza davvero molto formativa – e per uno che non viene da una realtà come quella della Capitale, non è sempre facile -.Mi mancheranno la quotidianità dell’uscire, il recarmi in Caritas, camminare per il centro, tutte le relazioni che ho instaurato durante quest’anno…

Come hai detto tu, è un’esperienza davvero molto formativa. Ti sta indirizzando verso qualcosa in particolare che vorresti progettare dopo?Ecco questa è la domanda più difficile! (ride) È sicuramente un’esperienza che mi ha reso anche un po’ più sicura delle mie competenze e mi ha dato più sicurezza su me e sul percorso che ho compiuto fino a qui.Ho capito che ho delle competenze e mi piacerebbe metterle a frutto nell’ambito della Comunicazione per il Sociale e nel Terzo Settore in particolare, perché ho compreso che lavorare nella Comunicazione, nella Multimedialità, nel Cinema… non ha senso per me se non è fatto per qualcosa in cui credo. Vorrei poter lavorare nella Comunicazione per aiutare le persone a livello concreto: a donare, per esempio, o anche semplicemente per far conoscere una determinata realtà; trovo sia una cosa in primis utile, successivamente anche gratificante. Ora mi sto guardando intorno per questo.Quest’anno ho preso parte a qualcosa di veramente unico e sono contenta di averlo fatto. Ora è giusto che finisca, perché comunque un anno è passato, ma mi mancherà molto tutto questo e me ne sono resa conto proprio in questo periodo di vacanza: è bello essere a casa, dalla propria famiglia e dai propri affetti ma mi accorgo che mi manca anche Roma, la vita in Caritas, i colleghi in questo progetto… È giusto finisca ma mi mancherà molto.

Parlando anche della tua pausa estiva, recentemente hai preso parte con il gruppo diocesano alla Giornata Mondiale dei Giovani a Lisbona. Era la tua prima GMG o avevi già vissuto quest’esperienza? Come l’hai trovata e vissuta?Era la mia primissima GMG e posso dire che è stato incredibile vedere tanta gente, tanti giovani, tutti insieme, qualcosa di mai visto in vita mia.La GMG è un’esperienza faticosa, va detto: i ritmi sono molto serrati, si va a dormire tardi e ci si sveglia presto ma al contempo c’è talmente tanta gioia, tanta vitalità, tanta energia, che si è ricaricati continuamente. Si canta, si balla, ci si conosce tra persone provenienti veramente da tutto il mondo, è un’esperienza molto “spartana” ma al contempo bellissima e ci si rende conto di star prendendo parte a qualcosa di unico.Trovo se ne sia parlato un po’ poco al di fuori dei media cattolici ed è un vero peccato, perché un evento così grande, mondiale, capace di radunare migliaia di giovani, è veramente sorprendente e fa credere nel futuro della Chiesa e del cattolicesimo, che a volte sembra non essere così scontato. Eventi come questo fanno capire che c’è ancora voglia di credere, di stare insieme uniti in Gesù e dà tanta speranza.

Proprio parlando di comunicazione, questa GMG è stata segnata anche da una grande apertura ai nuovi media: influencer cattolici, dj set, eventi in streaming… Come valuti, da comunicatrice, tutto questo?C’è stata effettivamente una grandissima apertura a livello comunicativo nel cercare di raggiungere i giovani. Papa Francesco punta molto su questo, sulla Comunicazione e su un nuovo modo di “arrivare” alle persone, perché il messaggio della Chiesa è sempre lo stesso ma i modi per comunicarlo cambiano, si evolvono, quindi il Santo Padre stesso ma anche i giovani sacerdoti puntano sul trovare nuovi mezzi per comunicare il Vangelo, come possono essere i Social, i video su TikTok, i podcast, la musica che piace a noi giovani…Penso sia giusto che la Chiesa si rinnovi a livello comunicativo, trovando nuovi metodi per comunicare tutto quello che ha da dire e giustamente papa Francesco insiste molto su ciò. Trovo sia una cosa giusta e intelligente da fare in questo preciso momento storico.