Sinodo: vivere nella Chiesa come in una famiglia

Con noi ormai da tre anni nell’ambito del percorso di Collaborazione tra Chiese, don Modeste Muragijimana dalla Diocesi di Nyundo in Rwanda, sta completando il suo percorso di studi in Teologia Pastorale a Padova; al contempo presta il suo servizio all’interno dell’Unità Pastorale “Bassa Friulana”, ospite della parrocchia di Cervignano.Un esempio quello della Collaborazione tra Chiese, che in qualche modo percorre e ricalca i passi che la Chiesa universale ci chiede di compiere verso il Sinodo. Abbiamo raggiunto don Modeste e con lui abbiamo parlato proprio di Sinodo, della sua preparazione tanto sul territorio diocesano, quanto nella sua Diocesi d’origine.

Don Modeste, siamo in cammino come Chiesa universale verso il Sinodo, un percorso che ha molto rimarcato il tema dell’Ascolto. Che cosa significa oggi, dal tuo punto di vista, mettersi in ascolto?La prima cosa che io stesso mi chiedo è: in questo tempo, chi dobbiamo ascoltare? Secondo me, come Chiesa che cammina, siamo in primo luogo invitati ad ascoltare Dio, perché è lo Spirito Santo che guida la Chiesa e che ispira i suoi figli.Siamo poi chiamati ad ascoltare l’altro, perché siamo tutti fratelli e sorelle, pertanto dobbiamo sentirci come in una famiglia, dove si parla, si ascolta, dove si può condividere tutto senza nascondere niente.Per fare questo esercizio di ascolto, dal mio punto di vista, bisogna trovare il tempo per l’altro ed essere disposti ad ascoltarlo (perché uno può anche avere tempo ma essere distratto). Ci vuole un ascolto non passivo e indifferente, ma un ascolto attivo, che fa vedere la buona volontà di accettare ciò che l’altro ha da offrirmi, quello che lo Spirito Santo ispira attraverso il mio fratello o sorella.

Da quanto hai visto attraverso il tuo “occhio attento” di sacerdote, a cosa è più difficile per noi fedeli dare ascolto?Nella mia esperienza ho visto che spesso si fa fatica a mettersi in ascolto dell’altro, perché qualche volta abbiamo anche dei pregiudizi che rendono difficile ascoltare come si deve.In questo tempo che stiamo vivendo vedo poi che siamo sempre di fretta, diventa pertanto complicato trovare del tempo per ascoltare l’altro – quante volte diciamo “non ho tempo”? -. Vedo poi che, a volte, ci dimentichiamo di dare valore all’altro, ingabbiati nell’individualismo.Caino a Dio rispose “Non sono il custode di mio fratello”; oggi, nel nostro modo di vivere, a volte siamo come Caino che non si interessa e non vuole interessarsi al fratello. Ecco quindi che, come cristiani, non dobbiamo, non possiamo, dare questa risposta ma essere interessati ai nostri fratelli e sorelle.

Quali sono secondo te le realtà che, in questo momento, hanno più bisogno di essere ascoltate? Come si può fare per raggiungerle, come porsi nei loro confronti?Credo che spesso ascoltiamo le persone che vengono da noi, ma questo non basta. Dobbiamo entrare nella visione di “Chiesa in uscita”, come ci invita papa Francesco: siamo chiamati ad uscire, non a rimanere nelle strutture, nella parrocchia, nella chiesa ma tentare di “andare fuori”. Possiamo avere paura per qualcosa di nuovo, di diverso, ma dobbiamo provare anche questo, per ascoltare quelle persone che non vengono da noi ma che noi possiamo andare a trovare.Possiamo andare a far visita a una famiglia a casa, possiamo provare, perché no, a passare al bar, o ancora in ospedale dove c’è la sofferenza… sono tante le realtà che possiamo ascoltare ma bisogna cambiare la nostra mentalità, non fermarci esclusivamente nelle nostre strutture ma provare ad uscire, a trovare la gente con atteggiamento di accoglienza verso tutti, mostrando che si è interessati a quello che l’altro sta vivendo, che non si va da lui per imporre ciò che si pensa ma ad incontrare la persona per ascoltarla e perché si è interessati a ciò che lui o lei sta vivendo.Gesù andava sempre in giro, andava dove c’era la gente; anche noi possiamo provare un atteggiamento simile, con un cuore aperto a tutti.

Quello verso il Sinodo è, come dicevamo, un cammino che la Chiesa universale sta compiendo. Sei in contatto con la tua Chiesa e altri fedeli in Rwanda? Se sì, come stanno preparando e vivendo questo cammino?Sì, sono in contatto con la mia Diocesi e cerco anche di seguire quanto avviene a livello ecclesiastico in Rwanda.Il percorso della Chiesa universale è stato accolto anche nella Diocesi di Nyundo e sta proseguendo il cammino. Da quel 17 ottobre 2021, quando il percorso verso il Sinodo è partito, molte sono le iniziative messe in atto.Si è provveduto a distribuire una preghiera comune per il Sinodo in tutte le parrocchie della Diocesi, da leggere all’avvio di ogni Santa messa in quella domenica, utile per preparare la mente delle persone e pensare al cammino che la Chiesa stava iniziando.Il nostro vescovo ha poi costituito un Consiglio diocesano per il Sinodo e, nelle singole parrocchie, si sono creati dei “sotto consigli” per poter fare la sintesi di tutto quello che sarebbe provenuto e che proverrà dalle più piccole comunità.Tutti sono stati coinvolti nel percorso: il vescovo con i sacerdoti, i consacrati e le consacrate nelle loro comunità… un gruppo che è stato molto prezioso è quello delle Comunità ecclesiali di base, da noi molto utili perché è lì che comincia la vita della nostra Chiesa. Sono comunità costruite da piccoli gruppi di famiglie (dalle 15 alle 30), che condividono la Parola e la preghiera. Sono stati poi coinvolti le tante associazioni, i Gruppi di Preghiera, i cori parrocchiali e non è mancato il coinvolgimento dei giovani nei loro momenti di incontro.Anche il mondo delle Scuole cattoliche è stato coinvolto nel cammino Sinodale, grazie alla collaborazione con gli insegnanti, così anche gli studenti hanno potuto dare il proprio punto di vista.Coinvolto poi anche il mondo della Salute: nella nostra Diocesi abbiamo la presenza di un polo ambulatoriale e anche lì le persone cattoliche che vi lavorano hanno potuto incontrarsi per momenti di preghiera e di condivisione e hanno potuto fare esperienza di cammino sinodale.Importante il ruolo dei media, anche a livello nazionale: Radio Maria Rwanda aiuta quotidianamente a ricordare il percorso che la Chiesa sta vivendo, così come Pacis TV, un canale televisivo, e il periodico della Chiesa cattolica in Rwanda, che spesso propone approfondimenti e richiami.Insomma il Sinodo viene vissuto a tutti i livelli, coinvolgendo quante più persone possibili proprio dove queste si incontrano.

Da quanto hai visto finora, come ti sembra che questo percorso sia vissuto invece nella comunità in cui ti trovi ora, a Cervignano?A causa dei miei impegni di studio, che spesso mi trattengono a Padova, non ho potuto sempre partecipare ai momenti di incontro ma ho seguito tutto quello che è stato realizzato.È stato fatto un incontro tra sacerdoti del Decanato e insieme abbiamo potuto riflettere su questo cammino, ci sono state iniziative nei Consigli pastorali, sono stati coinvolti poi in momenti di condivisione anche i ragazzi che si preparano alla Cresima, insieme alle loro famiglie, un’esperienza bella, molto partecipata.Anche l’Oratorio San Michele ha organizzato, attraverso gli animatori, delle iniziative per coinvolgere anche i più giovani.Un’esperienza che ho vissuto anch’io insieme alle comunità dell’Unità Pastorale e che ricordo con gioia si è tenuta una domenica, dopo l’omelia, quando abbiamo chiesto ai fedeli presenti di condividere con il proprio vicino la propria risposta, i propri pensieri, riguardo una domanda che avevamo posto loro la domenica precedente. Abbiamo dato 3 minuti di pura condivisione: una vera e bella esperienza! Le comunità hanno realizzato poi una sintesi con tutte le risposte, creando così una serie di documenti molto preziosi.

Come sacerdote, cosa ti aspetti al termine di questo percorso sinodale?Mi aspetto tante cose ma soprattutto 3, che erano emerse già all’inizio del cammino: favorire la comunione, la partecipazione e la missione.La comunione prima di tutto, perché se siamo una Chiesa, siamo una famiglia. In una famiglia dove non c’è comunione, dove non ci si parla, dove non c’è coordinamento, tutto va male. Quindi quando parlo di Chiesa come comunione parlo di una Chiesa che ascolta tutti e che dà valore ad ogni singolo elemento della comunità. Quando ci amiamo, quando viviamo la comunione, questa è una Chiesa voluta da Dio.C’è poi l’aspetto della partecipazione: vedo che qui non è molto sentita; tanti fedeli vengono a Messa ma solo per assistere, poi vanno via. In una famiglia – riprendendo l’immagine di una Chiesa come tale – i membri condividono i ruoli; anche nella nostra Chiesa dobbiamo provare a far partecipare tutti, abbiamo i doni dello Spirito Santo che devono essere messi a servizio di tutti, proprio partecipando ai servizi o ministeri di cui la nostra Chiesa ha bisogno.Infine la missione, che è quella di annunciare il regno di Dio, non solo con le parole ma anche vivendo il messaggio evangelico, testimoniando con la nostra vita, che a volte può parlare più e meglio di tante parole.

Quest’estate hai avuto modo di prendere parte alla Summer School promossa nella missione triveneta in Thailandia. Ci racconti un po’ di quest’esperienza?È stata la mia prima volta in Asia ed ero molto interessato a scoprire e conoscere com’è la vita delle persone e la vita della Chiesa in quel continente, soprattutto dopo aver conosciuto il contesto della Chiesa africana e aver potuto conoscere qui in Italia il contesto europeo.Abbiamo visitato i missionari italiani che si trovano in Thailandia. La Chiesa in questo Paese vive una vita difficile: i cristiani cattolici sono innanzitutto una minoranza e viene considerata la “religione dello straniero”. La maggioranza è rappresentata dai buddhisti, molto radicati nella loro cultura e religione – è difficile trovare conversioni -; ho però imparato molto anche da loro, soprattutto il saper dialogare, l’ascolto dell’altro. Abbiamo vissuto insieme momenti di incontro e conferenze e ho visto come nel mondo, soprattutto quando abbiamo religioni diverse, quello che importa è ascoltarsi e imparare dall’altro.Così è stato: noi abbiamo potuto cogliere qualcosa da loro e loro ci hanno detto di aver imparato qualcosa da noi. Quando c’è ascolto, c’è sempre una crescita per entrambe le parti.Colgo l’occasione per ringraziare il Centro Missionario diocesano che mi ha aiutato nel fare questa bella esperienza.

Un’ultima domanda sul tuo percorso personale. Sono circa 3 anni che collabori con la realtà di Cervignano. Un bilancio di questa tua esperienza e cosa desidereresti dopo questo tempo?Il bilancio è assolutamente positivo, i 3 anni che ho vissuto qui in Diocesi mi hanno arricchito dal punto di vista umano, intellettuale e pastorale.Ho incontrato tante persone, ognuna diversa, con i propri pensieri, la propria cultura e questo per me è stato una vera esperienza dal punto di vista umano. Cambiare poi luogo ha significato tanto: sono nato in Rwanda, ho vissuto e studiato in Rwanda, cambiare e venire a vivere in Italia è stata anche questa una grande esperienza a livello umano. A volte si ha paura di lasciare la propria terra ma se trovi amici, persone che ti accompagnano e ti accolgono, con le quali puoi condividere la vita e l’esperienza di ogni giorno, questo aiuta moltissimo dal punto di vista umano.C’è stato poi un arricchimento intellettuale, attraverso gli studi che sto compiendo ho potuto riflettere su tante pratiche che vedo nella mia Chiesa d’origine e credo che quanto ho appreso sarà un grande aiuto per la mia Diocesi e per il mio ministero.Infine dal punto di vista pastorale, il trovarmi in una realtà diversa dalla Diocesi di Nyundo mi ha aiutato a pensare e a comprendere come ogni Chiesa ha il suo modo di vivere, con i suoi mezzi, la sua cultura, ma lo scopo è lo stesso: annunciare il Vangelo e il regno di Dio.Dopo questa bella esperienza in Italia, nella mia mente ho 2 idee. Sono arrivato qui all’interno dei progetti di Collaborazione tra le Chiese. Collaborazione secondo me significa anche “scambio”: qualcuno, come ho fatto io, viene dal Rwanda e fa la sua esperienza qui in Italia, nella Diocesi di Gorizia; sarebbe bello ci potesse essere anche il movimento inverso, qualcuno che da Gorizia volesse venire a vivere un’esperienza in Rwanda.Ad esempio a Monfalcone una famiglia – marito, moglie e 2 figli – ha vissuto un’esperienza nel mio Paese: erano in contatto con don Jean Baptiste, che aveva vissuto diverso tempo a Monfalcone; avevano desiderio di andare a trovarlo e vedere, conoscere la realtà in cui vive. Si è così recata in Rwanda dove ha vissuto 10 giorni e, al rientro, hanno desiderato incontrarmi e condividere con me quanto vissuto. Un’esperienza che li ha entusiasmati, perché hanno potuto conoscere qualcosa che prima avevano vissuto solo attraverso i racconti.Ecco, sarebbe bello creare una collaborazione di questo tipo, con degli scambi di conoscenza. Ci sono per esempio strutture che sono uguali tra le due Diocesi (Caritas, Seminario…): sarebbe bello, se ci fosse la possibilità di fare uno scambio tra le diverse ma simili realtà che abbiamo nelle nostre Chiese.

(in foto: don Modeste a destra, con l’arcivescovo Carlo e don Joseph)