Posto fisso o figo?

È surreale, sarcastico, kafkiano che la Presidenza del Consiglio dei Ministri abbia sentito l’esigenza di confezionare uno spot televisivo per attrarre le nuove generazioni a lavorare nel pubblico impiego. Si chiama “più che un posto fisso, un posto figo!” (trasmesso su tutti i canali) e rappresenta motivati lavoratori, tutti ventenni – trentenni, che non vedono l’ora di partecipare ad una riunione o prestare un servizio di scuolabus.Muove del disagio questo spot, non solo perché oggigiorno pare che un giovane vada pregato a lavorare nel pubblico (mentre sino agli inizi degli anni 2000 ai concorsi si presentavano almeno il quintuplo dei candidati rispetto ai posti messi a concorso), ma anche perché mostra un mondo fatto da ragazzi che in realtà non esistono. Dall’architetto al guidatore di scuolabus, trovare un lavoratore che abbia meno di 35 anni è praticamente impossibile. L’età media del pubblico impiego (almeno negli uffici civili) è alta, anzi altissima se si considera che per quasi un decennio, tra l’altro, vi è stato il blocco delle assunzioni creando così di fatto una forbice insanabile fra “giovani” e “anziani” e, parallelamente, fra un privato che attrae menti fresche, fiduciose e ambiziose e il pubblico, quelle più stanche.Ma dove è precipitato tutto?Quando si sono incrinate quelle certezze che per anni sono state alla base delle convinzioni dei nostri padri e dei nostri nonni nel desiderare il posto fisso?La riflessione deve necessariamente partire dall’interno del sistema pubblico amministrativo che ora scopre, dopo decenni che ha tirato la corda con opinabili favoritismi, una burocrazia autoreferenziale e obiettivi fantasma, che quella corda l’ha spezzata e dove la paga, tra l’altro, di 1500€ al mese di media, compensa poco e male la sopportazione di un lavoro spesso ripetitivo, dequalificante e allontanatosi troppo dalla realtà. D’altronde se è vero che la burocrazia italiana è troppa e spesso affligge le libere iniziative è anche vero che ci sono plotoni di impiegati assunti per celebrare quella burocrazia con un effetto, evidentemente, mortificante anche per gli stessi, vittime, in prima persona, di cavilli e protocolli che non assomigliano più all’umano, al supportare la crescita della propria terra. Anzi, l’opposto. I giovani, ovviamente, con la loro velocità mentale e la forza della fiducia nel futuro, tentano altro.Sovente ripiegano sul lavoro pubblico solo ad un’età molto più matura e se delusi dal mercato del lavoro privato ma, in quel caso, arrivando al pubblico con la voglia di parcheggiarsi, di stare al sicuro, al riparo da un mondo estremamente feroce e competitivo nascondendosi fra le carte, testimoni inetti (e spesso frustrati) di dinamiche dalla dubbia qualità ed efficienza.Se poi a questo ci sommiamo l’inquisizione che per quasi un decennio ha inseguito i lavoratori pubblici, macchiati dal peccato originario della “nullafacenza” (trend sarcastico spesso cavalcato anche dai Governi succedutesi), comprendiamo perché ci sia stata, e tutt’ora, una generale e consolidata disaffezione ad un mestiere che nessuno più sceglie.Se non dopo. Forse.