Intelligenza Artificiale: il virtuale diventa realtà
19 Ottobre 2023
L’Intelligenza Artificiale ormai non è più solo un discorso teorico o irrealistico: foto, testi, pubblicità, film ma anche scienza, medicina e molto altro ancora, fanno sempre più largo utilizzo di queste tecnologie digitali, sempre più realistiche e precise.Quali sono i vantaggi ma allo stesso tempo anche i rischi da non sottovalutare in questo processo evolutivo? Alcune professioni rischiano di sparire? E il mondo della Chiesa, come si colloca in questo cammino, ci sono spazi di fruizione? Ne parliamo con Andrea Tomasi, professore associato presso il Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’Università di Pisa.
Professore, l’Intelligenza Artificiale (I.A.) è un argomento decisamente d’attualità, se ne parla sostanzialmente ovunque. Nella pratica però, quanto c’è di nuovo? Da quanto trova applicazione e come mai proprio ora è così “in voga”?È una disciplina che parte già negli anni ’50 del Novecento e che ha poi avuto una fase di sviluppo negli anni ’80, su due linee alternative: quella della programmazione logica e quella delle reti neurali – che è sostanzialmente quella che sta ancora reggendo attualmente -.Di nuovo c’è che, con la disponibilità di un’enorme potenza di calcolo, è stato possibile mettere a punto delle tecniche di apprendimento automatico – il cosiddetto “machine learning” -; questo fa sì che, dando “in pasto” agli algoritmi delle reti neurali delle grandi quantità di dati, tali algoritmi possono affinare il loro funzionamento e ottenere maggiore precisione nel dare risposte alle domande. In realtà, questo è l’aspetto più vistoso dell’I.A., dovuto anche al fatto che, dall’anno scorso, da quando è stata messa a disposizione del pubblico Chat GPT, c’è stato un grande risalto anche pubblicitario.Chat GPT ha avuto, attraverso la disponibilità al pubblico, una serie di risultati utili. In primo luogo per l’azienda che l’ha promosso (Open A.I.), che ha guadagnato un primato d’immagine giocando d’anticipo rispetto Google e Microsoft. L’intuizione è stata poi quella di mettere in circolo dati e algoritmi di funzionamento da milioni di utilizzatori, moltiplicando il vantaggio sostanzialmente senza avere la necessità di fare investimenti su questo.Ci sono poi altri aspetti un po’ più nascosti, o meglio, discutibili o discussi, come per esempio quelli che permettono il riconoscimento delle immagini o il funzionamento in maniera autonoma di dispositivi di vario genere (autonoma in questo caso significa pilotata dagli algoritmi nella fase di funzionamento, senza la necessità di una supervisione umana).
Accennava poco fa al riconoscimento di immagini. Quanto è sicura la nostra privacy in tutto questo? Molte persone ne sono spaventate…Questo è un grosso tema che, in qualche modo, abbiamo già vissuto negli anni scorsi con il controllo rispetto all’isolamento per il Covid 19: in Cina e Korea il controllo sugli spostamenti delle persone è stato fatto in larghissima misura con riprese di telecamere e riconoscimento facciale.Non è un caso che, tra le regole che l’Unione Europea si è data riguardo l’I.A., ci sia la raccomandazione di non usare il riconoscimento facciale come ultimativo nell’identificare persone. Questo perché ci sono due problemi: il primo è che il riconoscimento facciale non è così efficiente come si possa pensare e c’è un margine di errore abbastanza consistente. L’altro problema è che, in caso di indagini, questo può essere giustificato ma, esteso in maniera indiscriminata (per esempio a tutte le persone che passano in una piazza) può rappresentare una notevole violazione della privacy. C’è da dire che, parlando di I.A. come anche di Metaverso, per certi aspetti il confine tra quello che può essere effettivamente fatto e quello che si induce nell’opinione pubblica a pensare che possa essere fatto, magari anche in tempi brevi, sono in realtà due cose diverse, perfettamente chiare per chi ha una competenza tecnica ma che rischiano di essere fuorvianti per l’opinione pubblica.
Recentemente la premier Meloni in un suo intervento ha fatto riferimento all’I.A. sottolineandone rischi e preoccupazioni (“incapacità di governare gli effetti del processo tecnologico che rischia di sostituire le capacità umane”, “l’intelletto rischia di essere sovrastato”). Ma è effettivamente così pericolosa quest’Intelligenza Artificiale? Quali sono i passi per usarla in maniera, mi permetta il gioco di parole, intelligente?È un problema estremamente complesso, perché ci si immagina che il problema dell’I.A. sia quello di dare delle regole etiche, in base alle quali utilizzare determinate tecniche e, successivamente, trasformarle in regole tecniche per determinare un controllo su algoritmi, gestione dei dati e così via. Non basta tuttavia fare una regolamentazione apposita, per avere in qualche modo un quadro di riferimento certo. Per esempio Geoffrey Hinton, salito alla ribalta qualche mese fa per aver lasciato Google, dove guidava il gruppo di sviluppo di Bard, prodotto simile a Chat GPT, ha detto una cosa che mi ha colpito: la sua preoccupazione infatti è che, sostanzialmente, non è possibile vedere un modo per impedire a chi voglia fare un uso malintenzionato dell’I.A. di farlo effettivamente.Questo è il punto: non tanto controllare ciò che positivamente si può fare ma mettere in atto correttivi che impediscano di farne un uso malintenzionato e tali meccanismi ancora non ci sono.Il problema è come affrontare queste cose, tenendo conto che non ci si può fermare o uscire da questo processo. A mio avviso va determinato, prima di fissare delle regole di comportamento tecniche, che tipo di visione dell’uomo vogliamo avere. Se l’uomo immagina di sfruttare la tecnologia per superare ogni possibile limite della natura, se l’uomo pensa di avere a disposizione la tecnologia e per questo stesso fatto di utilizzarla come se non ci fosse nessuna implicazione morale, come se fosse neutra, questo non è più vero. Io dico che la tecnologia è ambigua, nel senso che il semplice fatto di usarla ci condiziona in qualche modo. Se noi non abbiamo una visione antropologica, in cui il centro deve essere l’uomo e non la tecnologia, è difficile affrontare questi problemi.Per esempio si pensa che possa risolvere qualsiasi problema e un domani sostituire medici, magistrati, fare giustizia in maniera più rigorosa e corretta, vincere tutti i problemi ambientali ma non ci si rende conto pienamente delle contraddizioni. Per esempio oggi, per mettere a punto un algoritmo di I.A., i computer consumano energia e di conseguenza emettono CO2 molto più che le automobili mentre viceversa l’uomo viene visto quasi come un abusivo nel mondo, come causa di danni, a volte che non dipendono nemmeno dal comportamento umano.Aspettarsi troppo dalla tecnologia e svalutare troppo l’uomo porta a uno sdoppiamento: c’è chi ha un atteggiamento evolutivo e ritiene che l’uomo in questo modo diventerà creatore e potrà fare ciò che vorrà con la tecnologia; dall’altro lato c’è invece l’uomo che si spaventa del potere della tecnologia, che gli sfugge di mano e rischia di dominarlo.
Come relazionare queste tecnologie al mondo della scuola e degli studi? Non si corre forse il rischio che diventino un espediente per scolari e studenti per realizzare relazioni, temi, ricerche che non escono dal proprio impegno?Quello della cultura e degli aspetti educativi è un tema fondamentale, secondo me ancora non messo bene a fuoco in questo senso. In soli 10 anni è cambiato completamente il modo di ragionare e di apprendere, di pensare e di prendere decisioni. C’è una frattura generazionale di cui ci rendiamo ancora poco conto, cresciuti in un mondo in cui non c’era l’”invasione” di tecnologia che c’è ora.Il problema è che, effettivamente, cambia il modo di pensare, studiare, anche il tipo di valori che una persona assume. Lo scrittore e studioso Marc Prensky sostiene di abituare i ragazzi ad usare il PC per sostituire l’uomo in tutte quelle cose su cui può essere più in difficoltà. Io credo invece che dovremmo salvare dell’apprendimento e dell’educazione proprio quegli aspetti che potenziano le attitudini umane: memoria, pensiero, riflessione. Si dovrebbero abituare le persone a muoversi indipendentemente dalla tecnologia, altrimenti si rischia che alcune attitudini vadano perse ma esse fanno parte della costruzione dell’identità personale.La memoria inoltre ha la funzione di filtrare i ricordi, che sono parte importante dell’identità personale: noi ci qualifichiamo non solo per come funzioniamo biologicamente ma anche perché facciamo parte di una storia, di una cultura, di relazioni con gli altri che ci rimangono dentro, in funzione esattamente di come le ricordiamo.Ci sono poi aspetti legati alla creatività e allo spirito critico: la prima ci insegna a stare “un passo avanti” rispetto la tecnologia, il secondo ci insegna la capacità di mettere a confronto punti di vista diversi e a riconoscere le fonti.
A che punto, secondo lei in Italia si è pronti per accogliere le possibilità messe in atto dall’I. A.?Per quanto riguarda sviluppo scientifico e controllo dell’I.A., direi che siamo ad un ottimo punto – c’è un documento del 2022, redatto da un gruppo di esperti per conto del Ministero dello Sviluppo economico, sulla governance dell’I.A. fatto molto bene e indica anche una serie di rischi interni ed esterni legati ad essa -.Dal punto di vista dell’utilizzo, c’è una prevalenza di giocosità nella fruizione di queste tecnologie ma non è il migliore. L’utilizzo utile vede grossissimi investimenti ma gli investimenti, se devono essere equivalenti, si indirizzano su ciò che dà il maggiore ritorno.Riguardo il Metaverso, già da qualche anno ci sono tecniche di chirurgia e diagnosi con macchinari che creano ricostruzioni 3D accuratissime, che possono mettere in evidenza gli aspetti più utili e trovare le soluzioni migliori. La differenza è che queste macchine di solito hanno il loro ambiente di apprendimento, calato sulla specificità. Il Metaverso farebbe immaginare che queste cose possano essere messe in una piattaforma di accesso pubblico ma evidentemente è ancora molto irrealistica.
Come cambierà il mondo dell’informazione con l’Intelligenza Artificiale? Noi giornalisti dobbiamo temere di essere soppiantati da essa, stiamo andando verso la fine della nostra professione?È un dibattito in corso, con interventi significativi anche da parte di Avvenire, dell’Ucsi e della Fisc. L’idea è che c’è un’attività di “macchina” del giornalista, quale la raccolta delle notizie, l’indagine tra le Agenzie di Stampa e il Web, per capire cosa c’è di interessante. Evidentemente, se si tratta solo di mettere insieme cose di questo genere, quello spazio sarà facilmente coperto da strumenti come Chat GPT.Ciò che questi strumenti non riusciranno mai a fare è il vero giornalismo d’inchiesta, gli editoriali di riflessione, le opinioni e i commenti… Tutte parti che poi saranno utilizzate secondariamente da strumenti come Chat GPT, che creano una sintesi tra le opinioni, i documenti e le notizie di cui hanno disponibilità; si tratta però di un angolo molto ristretto in realtà e il rischio è di prendere per universale ciò che invece è molto limitato.Il giornalista che abbia passione e che non si accontenti della prima cosa che esce nella ricerca, ha spazio e può sfruttare utilmente queste piattaforme come materiale di partenza, per poi sviluppare le sue personali riflessioni.
La Chiesa in tutto questo processo come si colloca? Il Metaverso potrebbe essere anche per il mondo ecclesiastico uno strumento da utilizzare? In caso di risposta affermativa, in che modo?Proprio negli scorsi giorni ho preso parte a un convegno, di taglio ecumenico, dell’European Christian Internet Conference a Colonia. Il tema della Chiesa nel digitale è un tema che ovviamente sta sul piano dell’inculturazione della fede, in questa cultura digitale radicalmente diversa nei modi e nei linguaggi. Certamente si possono usare questi strumenti, va capito se sono corretti nel trasmettere i contenuti della fede.In questo convegno è emerso chiaramente come alcune riflessioni riguardo il digitale fossero particolarmente pertinenti pensando a una religione basata sulla Parola; se riteniamo invece che l’essenza del cattolicesimo sia una Chiesa che vive, celebra e testimonia i Sacramenti, in particolare l’Eucarestia, il discorso cambia notevolmente.Va benissimo quindi il Metaverso, la digitalizzazione, anche la realizzazione di espressioni tramite piattaforme di gaming, ma questo restando sul piano, per esempio, della conoscenza biblica, della catechesi, delle vite dei Santi…Trasmettere l’idea di una presenza nell’Eucarestia o la “Confessione virtuale”, ecco ritengo che queste siano tematiche dove la tecnologia rischia di essere fuorviante perché c’è all’essenza una divergenza. In molte delle Letture di queste ultime domeniche ritorna il tema fondamentale della Vita eterna, inserito in un discorso di antropologia cristiana che si può sintetizzare in tre battute: l’uomo è creato da Dio, è redento da Gesù Cristo e destinato alla Vita eterna in Dio. Se quest’ultima è qualcosa che ottengo con la tecnologia, se con la tecnologia posso modificare la natura e manipolare la vita stessa dell’uomo, allora a cosa corrispondono e che senso hanno l’incarnazione e la redenzione? Vengono meno i fondamenti della fede ed è più difficile trasmettere il messaggio fondamentale a persone abituate a parametri tipici dell’ambiente virtuale e della tecnologia.Questa è, credo, la sfida per la catechesi del futuro.
(foto Siciliani-Gennari/Sir)
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