Dove sono sparite le tradizioni?

Quella che oggi si chiama Halloween nel lontano passato era la festa del Capodanno celtico di Samhain e aveva un valore religioso e folcloristico, accompagnata da rituali, racconti e leggende vissuti in famiglia.
Il mondo cristiano ha cercato di cancellare i riti pagani che però perduravano per il loro profondo legame con la popolazione e quindi giunse a spostare la festa di Ognissanti da maggio al 1° di novembre per volere di papa Gregorio III.
Dall’Irlanda a Roma, la Festa di Ognissanti è documentata il 13 Maggio del 609 d.C., in occasione della consacrazione del Pantheon alla Vergine Maria e dalla sua origine in primavera, venne spostata in autunno proprio per cercare di unificare le diverse tradizioni.
Esportata negli Stati Uniti da migranti irlandesi, la festa è tornata da oltreoceano arricchita di tutti quegli elementi che la connotano ancora oggi tanto da assumere dimensioni sempre più vaste con l’impiego di gadget, dolci, maschere, cene e feste.
I giovani ne sono affascinati e si organizzano per festeggiarne la magica notte con manifestazioni esaltanti in svariati modi il tanto amato gusto per l’horror. Ma se a qualcuno Halloween piace molto, ad altri genera un vago senso di fastidio per lo spreco, le iniziative di genere macabro e l’insofferenza verso la sua ingerenza invadente in un contesto culturale avulso da questa realtà. Altri ancora la stigmatizzano come un’occasione propizia per perpetrare riti esoterici e financo satanici al punto da promuovere veglie di preghiera in espiazione.
Tuttavia Halloween resiste e avanza. Non così al sud e, come ho potuto constatare in una recente visita in Sicilia, nella città di Palermo, già in questi giorni le famiglie sono impegnate a preparare la “Martorana”, l’allestimento di dolci tradizionali da far trovare la mattina del 2 novembre sul tavolo principale della casa. Un enorme cesto ospiterà i classici dolci di pasta di mandorle dalle svariate forme di frutta, accompagnati dai biscotti bianchi e neri dei morti e dagli attesissimi pupi di zucchero che ciascun bambino desidera ricevere per l’occorrenza.
Ai bambini vengono destinati anche dei giocattoli che completano il cesto dei doni che, secondo i racconti tradizionali, sarebbero portati dai defunti della casa come segno di affetto e di protezione. “Nessuna famiglia rinuncerebbe mai a questa usanza tramandata da generazione in generazione, è un momento forte dell’anno in cui insegniamo ai nostri figli a ricordare con gratitudine i nostri cari morti”. “Anche se i figli ormai sono cresciuti, continuiamo questa tradizione perché la sappiano tramandare a loro volta alle loro future famiglie”.
Questi i pensieri dei venditori nelle principali pasticcerie della città che già espongono confezioni accattivanti di questi deliziosi dolci.
Altri aggiungono all’aspetto della tradizione un aspetto educativo “Prepariamo già tempo prima della giornata commemorativa i bambini perché si comportino bene altrimenti i defunti si rattristano, non portano nulla e vengono a grattar loro i piedini!” “I ragazzi ormai non sanno più sognare, questa festa li fa ancora vivere una dimensione di desiderio con gli occhi verso l’alto”. “No, Halloween a Palermo non passa, non ci interessano i mostri, gli scheletri e le zucche vuote sui davanzali, noi ci gustiamo i colori e i sapori delle nostre belle tradizioni siciliane!”.
Non c’è possibilità di replica, la convinzione è così forte che diventa contagiosa, l’invito è di tornare a riscoprire il senso di una memoria che rimette al centro il culto per i defunti senza distrazioni di feste d’oltreoceano che allontanano dal significato vero.
Dove sono sparite le tradizioni delle campagne friulane in cui si dava importanza ai ritrovi familiari con fave, castagne, dolcetti per fare insieme memoria dei propri cari?

Daniela Antonioli