“Il sussurro della speranza”

Con il patrocinio dell’Ufficio Nazionale per la Pastorale della salute della CEI, si è svolto dal 9 al 12 ottobre scorsi, l’annuale Convegno AIPAS aperto a tutte le persone che operano accanto al malato, dai cappellani ospedalieri ai volontari, dal personale sanitario a chi singolarmente o come associazione o parrocchia si interessa del mondo della sofferenza.
Tra le centinaia di partecipanti che si sono date appuntamento ad Assisi presso la Domus Pacis di Santa Maria degli Angeli, era presente anche una delegazione della nostra diocesi guidata dal responsabile della commissione della Pastorale della salute don Mirko Franetovich.
Il tema di quest’anno era “Nel silenzio, una brezza leggera; il sussurro della speranza”, che è stato introdotto dalla biblista Antonella Anghinoni docente all’ISSR di Vicenza a partire dall’esperienza del profeta Elia narrata nel primo libro dei Re nei capitoli dal 17 al 19.
La relatrice ha ripercorso la vita del profeta fatta di lotte e di crisi fino alla salita verso l’Oreb dove si rifugia in una caverna e lì il Signore si fa presente come un mormorio di un vento leggero che lo invita a tornare sui suoi passi. Anche noi siamo chiamati a non fuggire davanti alle esperienze dolorose della vita, a non farci prendere dalla paura ma a fidarci del Signore che ci parla attraverso un silenzio “abitato” e a stare con Lui.
Il giorno dopo don Paolo Fini, direttore dell’ufficio Pastorale della Salute della diocesi di Torino, ha presentato le tre tipologie di cappellanie presenti nella sua diocesi: quella ospedaliera riferita ad una o più strutture ospedaliere unite tra loro; quella territoriale al di fuori dell’ospedale che crea una rete tra le parrocchie e quelle miste che comprende le due precedenti insieme.
Ha sottolineato come la cappellania sia prima di tutto un metodo di lavoro che prevede un progetto e dei ruoli ben precisi di ognuno; un organismo diocesano riconosciuto e che rivolge l’attenzione alle persone ammalate, occupandosi della salute psico-fisica e spirituale dei soggetti. Ma è poi la comunità tutta che ha il compito di promuovere la salute della persona, non solo lo sforzo di qualcuno, è la comunità che diventa sanante attraverso la relazione.
Molto toccante anche l’intervento del cardinale Angelo Comastri, Arciprete emerito della Basilica di S.Pietro che ha parlato di come Dio abiti anche nel dolore attraverso la testimonianza della Beata Benedetta Bianchi Porro, dove la gioia ha abitato anche nel suo corpo malato e sofferente.
Ha presentato la sua esperienza di vita poi Sammy Basso giovane bellunese Dottore in biologia e scienze naturali, affetto da progeria, una rara sindrome di invecchiamento accelerato che si manifesta precocemente nell’infanzia, causata dalla mutazione di un gene.
Una persona eccezionale che dopo la laurea è diventato un ricercatore continuando a studiare la sua malattia fino a scoprire un farmaco che fa star bene in generale chi è colpito da questa rara sindrome. Ha conosciuto altri ricercatori in giro per il mondo, continua a studiare per scoprire la causa di questa mutazione genetica ma nello stesso tempo cura la sua crescita spirituale in una vita di relazione con tanti amici e supportato da due meravigliosi genitori.
Un’altra relazione l’ha tenuta il filosofo Vincenzo Rosito sulle nuove prospettive del prendersi cura attraverso due di queste: la cura come esercizio di attenzione e come esercizio di apprendimento. Attenzione come disposizione sociale che deve avere la forma della corrispondenza, che non è solo una disposizione empatica ma è la capacità di sentire insieme per superare il dolore e trasformarlo nella compassione e e nella giustizia. Corrispondenza che al contrario di una mail che arriva subito, è invece un tempo prezioso per procedere insieme prestandosi attenzione reciproca, come quando si cammina in montagna, adattandosi al terreno e al passo dell’altro. Apprendimento come capacità di trovare un equilibrio dopo che la malattia lo ha rotto, un apprendimento per imparare a stare in piedi in un processo di recupero.
Infine mons. Giuseppe Betori Arcivescovo di Cagliari e segretario generale della CEI ha tenuto la sua riflessione su “Nel silenzio il sussurro della speranza”. Bisogna avere la capacità di fare nostra l’angoscia dell’altro, in modo che il malato deve sentire che il suo dolore è vissuto da chi lo ascolta, come Cristo che si è fatto carico dell’umano per donarci il divino. Guardare l’angoscia dell’anima con compassione e condivisione, è questo che qualifica la nostra umanità. Questo atteggiamento del singolo deve diventare dell’intera comunità, che genera ed è capace di guarigione.
Una pastorale della salute che deve muovere tutta la comunità cristiana, per diventare capace di “stare” come Maria sotto la croce di Gesù e capace di “osservare” l’altro con occhi diversi, come il buon samaritano.

Paolo Zuccon