L’etica nella scienza partendo da “La coscienza di Zeno”

Un uomo “degli altri più ammalato” potrà annientare la vita sulla terra? Un dialogo sull’etica nella scienza a partire da “La coscienza di Zeno”.
Questo è il tema del convegno con il quale Lucinico è stato partecipe di una delle tante manifestazioni organizzate per ricordare questo celebre romanzo, nell’ambito di un progetto di divulgazione umanistica coordinato dalla prof.ssa Tiziana Piras, docente di Letteratura italiana all’Università di Trieste.
Lo spunto è fornito dalle pagine finali del romanzo dove Zeno passa dalla quasi idilliaca descrizione della campagna di Lucinico all’incontro con i soldati che lascia intravedere la guerra imminente, fino alla profetica pagina finale dedicata alla previsione di un’apocalisse provocata da un uomo “degli altri più ammalato”. Sul tema si è soffermato l’intervento della prof.ssa Loredana Rossi Devetag che ha illustrato il romanzo alla luce della crisi culturale di inizio Novecento e dell’avvento della psicanalisi freudiana.
Il prof. Andrea Gambassi, direttore del laboratorio interdisciplinare della SISSA (Scuola Superiore di Studi Avanzati) di Trieste, ha preso spunto da un passo dell’ultima pagina del romanzo per raccontare la vita dello scienziato tedesco ed ebreo Fritz Haber, premio Nobel per aver sintetizzato l’ammoniaca, ma autore anche degli studi che portarono alla produzione del gas Yprite, usato nella prima guerra mondiale e poi in prima fila per la creazione dei gas Zyklon A e B, che il nazismo userà nei campi di concentramento.
Potrebbe essere lui, infatti, l’uomo citato da Zeno – “Ma l’occhialuto uomo, invece, inventa gli ordigni fuori dal suo corpo e se c’è stata salute e nobiltà in chi li inventò, quasi sempre manca in chi li usa.” Il rapporto tra scienza ed etica entra nel vivo: Zeno pone il problema sempre più attuale della scienza e dei suoi usi.
Appartiene al capoverso successivo del romanzo la citazione che ha dato lo spunto all’intervento del prof. Francesco Longo, docente di Fisica sperimentale dell’Università di Trieste.
Dice Zeno – “Quando i gas velenosi non basteranno più un uomo fatto come tutti gli altri, nel segreto di una stanza di questo mondo, inventerà un esplosivo incomparabile, in confronto al quale gli esplosivi attualmente esistenti saranno considerati quali innocui giocattoli.”
La profezia dell’arma atomica è qui ben manifesta, il romanzo viene pubblicato nel 1923; vent’anni dopo la previsione si avvererà…
Il prof. Longo, continuando nei ragionamenti proposti dal prof. Gambassi, ha approfondito i temi del rapporto tra scienza ed etica, posti dall’uso della bomba atomica, ovvero dall’uso militare degli studi di fisica nucleare, con riferimento alle riflessioni e alle iniziative di Einstein e Oppenheimer.
I due scienziati furono decisivi per la realizzazione della bomba ma, dopo aver visto le distruzioni provocate, furono in prima fila per la messa al bando degli studi e degli usi di questa arma.
Renzo Medeossi

 

Svevo, Lucinico e la Grande Guerra

Nell’ ultimo capitolo del romanzo “La coscienza di Zeno” di Italo Svevo (pseudonimo di Ettore Schmitz 1861-1928), Lucinico entra nella narrazione con un ruolo importante.
Il protagonista del romanzo, Zeno Cosini si trova a Lucinico, nella sua villa, insieme alla famiglia composta dalla moglie e da una figlia. Vi è giunto da Trieste per trascorrere un breve periodo di vacanza in occasione della festività della Pentecoste e proprio la mattina di domenica 23 maggio 1915, giorno, appunto, della Pentecoste, si sveglia di buon’ora.
La data, annotata con cura anche se con apparente nonchalance, fa fare un balzo al lettore. È la vigilia della dichiarazione di guerra all’ Austria-Ungheria da parte del Regno d’Italia, la vigilia della tragedia della Grande Guerra. Per di più siamo a Lucinico che, con il confine a due passi, può trovarsi da un momento all’ altro sulla linea del fuoco, come in effetti avverrà.
Quella data ha la funzione narrativa di un colpo di fucile, perché dà luogo a un gioco di rimbalzo fra lettore e personaggio, il primo che consapevolmente si chiede come andrà a finire, il secondo che procede del tutto ignaro e incosciente. È il meccanismo classico dell’umorismo e il narratore Italo Svevo lo fa funzionare alla perfezione.
Dunque, Zeno si alza dal letto la mattina presto; è di ottimo umore, è una bella giornata di primavera, c’è il sole e la campagna risplende del verde tenero della prima vegetazione. Zeno è preso da un soprassalto di entusiasmo e decide di fare una passeggiata salutare a digiuno, respirando a pieni polmoni l’aria di Lucinico. Noi che lo conosciamo- il lettore che lo conosce – non si meraviglia, sa che di propositi salutisti è disseminato il suo libro, a partire da quell’ “Ultima Sigaretta” scritto in margine ai testi all’epoca degli studi universitari, non finiti, che non gli ha impedito di continuare a fumare e di farlo anche ora, in età abbastanza avanzata.
Esce di casa senza prendere giubba e cappello – per fortuna il portafoglio sì – e si avvia verso la fattoria di un contadino suo conoscente al quale vuole chiedere il permesso di tagliare delle rose per farne un mazzo da regalare alla figliola. Il contadino non è in casa, ma si è recato poco lontano insieme ai figli per zappare un suo campo di patate. Zeno, fatti rapidamente i conti e visto che il cammino può durare un’oretta, decide di raggiungerlo. Arrivato al campo, che si trova al di là dell’Isonzo (!) vi trova il contadino che per prima cosa, interrotto il lavoro, lo interpella preoccupato sulla possibilità di un prossimo scoppio della guerra.
“Bella sorpresa!”, osserva Zeno, “la guerra c’è da un anno circa”.
“Non intendevo quella guerra, ma quest’altra” afferma spazientito il contadino, facendo un cenno con la mano in direzione della vicina frontiera italiana.
A questo punto il lettore sorride compiaciuto, pensando che Zeno si renderà d’un tratto conto della situazione. È vero, la guerra l’Austria- Ungheria la sta combattendo contro la Serbia e la Russia da quasi un anno, ma ora, con la possibile entrata in guerra dell’Italia si tratta di tutt’ altra cosa, si tratta di avere la guerra in casa. Niente da fare. Preso da un attacco di ottimismo, il nostro eroe si affretta a rassicurare il contadino, affermando l’assoluta improbabilità anzi impossibilità di un simile evento. Figuriamoci! A Roma ora c’è Giolitti che tutti sappiamo quanto appartenga al fronte dei neutralisti! E poi di campi di battaglia ce ne sono già troppi, le Fiandre, la Francia…; c’è bisogno invece di campi di patate; stia tranquillo il contadino, che delle sue patate, coltivate con tanto sudore, potrà godere pienamente. Il contadino manda un sospiro di sollievo. Il lettore no.

Zeno cerca di tornare a casa
Zeno s’incammina per tornare alla sua villa. Le gambe gli dolgono un po’ e l’appetito comincia a farsi sentire, ma l’umore è roseo, il respiro aperto e il caffellatte lo sta aspettando insieme alla prima colazione sul tavolo del soggiorno. C’è quanto basta a fare felice un uomo. Altro che le funeste diagnosi del dottor S., il suo psicanalista, che gli parlava di sensi di colpa e di complessi edipici! Lui è un uomo perfettamente sano.
Sulla via del ritorno si imbatte in un plotone di soldati asburgici che lo guardano allibiti. L’ufficiale esclama: “Was will der dumme Kerl hier? (cosa vuole quello scimunito?). Zeno prende nota della gran maleducazione di questi soldati e si propone di parlarne con il capovilla – il sindaco- per fargli notare che se si trattano così i villeggianti ben pochi avranno la voglia di tornare a Lucinico. Con i modi più gentili spiega all’ufficiale che sta tornando nella sua villa dove lo attende il suo caffelatte. Parla con garbo, come a convincerlo di una cosa ovvia. Non vorrà mica impedirgli di fare colazione dopo una passeggiata di un’ora? La reazione non è quella che si attende: una robusta bestemmia e l’invito a tornare immediatamente indietro. Per il caffelatte si rassegni: altri lo mangeranno e non solo il caffelatte; “Auch Ihre Frau wird von anderen gemesse werden (anche vostra moglie sarà mangiata da altri)! Gli viene assegnato un caporale che lo accompagni per un po’ sulla strada per Gorizia; una volta soli, il giovane soldato assume modi più familiari e anche lui, come il contadino, gli chiede notizie della guerra. Ci sarà o no? Zeno sorride, pensando che anche loro che la guerra la fanno non sanno se c’è o non c’è. Poi il soprassalto ottimistico della splendida giornata lucinichese prende di nuovo il sopravvento ed ecco Zeno a rassicurare un caporale austroungarico che la guerra no, escluso, non ci sarà.
Quel giorno memorabile Zeno è costretto a tornare a Trieste in treno senza caffelatte e senza aver rivisto i suoi. Durante il viaggio si rende conto che la guerra è scoppiata (era ora, pensa il lettore) e che probabilmente tutte le persone che aveva tanto rassicurato avrebbero fatto una brutta fine.
Potremmo accusare Svevo di insensibilità, ma sbaglieremmo; il suo è un umorismo tragico rivolto contro sé stesso; è lui che fa fatica ad accettarsi così com’è e per questo mette in campo il pirandelliano sentimento del contrario: Zeno Cosini, il protagonista del romanzo, si comporta nella maniera opposta rispetto a come un borghese benpensante, padre di famiglia come lui dovrebbe comportarsi. Ma nell’ultima splendida pagina della Coscienza di Zeno, nella visione apocalittica di una vita inquinata alle radici di cui la guerra è naturalissima conseguenza, tutti gli schermi saltano e Ettore Schmitz alias Italo Svevo alias Zeno Cosini descrive con tranquilla disperazione e con assoluta sicurezza la fine del mondo o per lo meno la fine di un mondo.
Loredana Rossi Devetag