Con i sacerdoti, accanto agli anziani

I dati statistici lo confermano: l’Italia è un Paese sempre più anziano. Accanto a membri della “terza età” molto attivi e indipendenti, vi è però una larga “fetta” della popolazione che ha bisogno di avere accanto qualcuno, perché spesso vive in solitudine. Fondamentale quindi, nelle nostre comunità, anche la vicinanza dei sacerdoti, attenti e amorevoli verso questi fedeli più anziani, che vanno spesso a visitare, si accertano che stiano bene, li aiutano a mantenere i contatti con i famigliari, a volte trasferiti in luoghi non vicini… Quest’attenzione e vicinanza non sarebbe realizzabile senza il sostegno delle donazioni che giungono ad “Uniti nel Dono”, grazie alle quali, ogni anno, è possibile sostenere il grande impegno dei nostri sacerdoti (per saperne di più visita www.unitineldono.it).
Parliamo di tutto questo con monsignor Carlo Bolčina che, tra le comunità da lui seguite, ha realizzato negli anni belle attività di vicinanza e cura verso gli anziani.

Monsignor Carlo, Gorizia è una città che, nel suo tessuto sociale, vede la presenza di molti anziani. Alla luce di questo dato, come porci e proporci come Chiesa? A cosa fare particolarmente attenzione?

Il nostro non è un territorio diverso dagli altri.
La presenza giovanile si concentra negli studenti che riempiono le nostre vie durante la settimana, ma la parte stabilmente residenziale ha un’età media piuttosto elevata. Tra questi alcuni hanno ancora la capacità e possibilità di uscire dalle proprie abitazioni e recarsi quotidianamente presso gli esercizi commerciali, bar o centri di cultura e ricreazione; molti però sono impossibilitati ad uscire di casa: la vecchiaia, l’invalidità e la malattia li rende limitati nello spazio.
Se da una parte la presenza delle persone che accudiscono e accompagnano in modo stabile costoro, proponendosi da collegamento con il mondo esterno, dall’altra ci sono molti che hanno un sostegno limitato da parte degli operatori sociali e/o collaboratrici domestiche/collaboratori domestici, i quali provvedono alle loro necessità primarie: cibo, igiene…
Ecco, a questi in modo particolare la Chiesa deve porre fraterna attenzione perché non si sentano isolati o, peggio ancora, rinnegati dalla comunità.

All’interno delle tue comunità, qual è la presenza di anziani? Sono numerosi?

Le comunità che seguo sono eterogenee: alcune ancora circoscritte all’interno di un paese, mentre diverse quelle di periferia o di municipalità semi-grande.
Dal punto di vista residenziale posso dire che l’età media non è molto elevata: all’interno di tutte le circoscrizioni vivono famiglie giovani e persone anziane (intendo gli anziani “single”). Ma tutto cambia quando parliamo di vita nei borghi e sobborghi. Le famiglie giovani lasciano il territorio al mattino e vi fanno ritorno a sera inoltrata.
La loro giornata, in tutto il suo ventaglio si svolge in città o nei territori dove c’è presenza di scuola e/o di attività lavorative.
Nei paesi e nelle periferie rimangono i pensionati ed anziani, senza relazioni con il resto della popolazione.
Questo procura, da parte delle parrocchie, un’attività pastorale finalizzata prettamente agli anziani che ai giovani. Infatti le giovani famiglie non scelgono di entrare in una comunità pastorale per via territoriale, ma pratica: il luogo della scuola dei bambini e ragazzi diventa anche luogo della loro pratica religiosa.

Negli anni, che tipo di attività sono state proposte loro come animazione di comunità?

La solita “tombola” attira ancora, anche se la presenza numerica è piuttosto ridotta. I pensionati, quelli che possono, fanno parte dei gruppi Marta, Caritas, Schola cantorum, Gruppi di preghiera… Invece è dal 2020 che non si organizzano più pellegrinaggi o gite: le iscrizioni, quando proposte, sono rare.
Effetto di un non vinto timore del contagio? Non so, forse.
Aggiungo anche gli incontri celebrativi, come ad esempio le ss. messe o la preghiera del Rosario che vengono di anno in anno anticipate, per quanto concerne l’orario, altrimenti si rischia le chiese vuote: la sera gli anziani non escono di casa.

Proprio parlando di animazione di comunità, come quest’ultima si “prende cura” dei suoi anziani e come tu la sproni ad essere attenta?

Anche in questo senso devo rimarcare due tipologie: paese e non-paese.
Nei paesi ancora ci si conosce e ci si frequenta. I “sani” volentieri e spesso fanno visita ai “reclusi” in casa.
A tutti partecipo sempre un invito, un compito: ritirare ogni settimana il bollettino parrocchiale e portarlo a chi non esce di casa.
Questo può diventare anche un momento di dialogo e di scambio di informazioni. E quando passo a trovare i malati non tardano a manifestare la gioia per questo piccolo gesto d’attenzione.
L’altra attività, certo più limitata ad un gruppo specifico e a questo predisposto, è la condivisone dell’Eucaristia.
Nelle nostre comunità abbiamo parecchi ministri straordinari della comunione che ogni domenica o un altro giorno della settimana portano Gesù sacramentale ai malati ed anziani.
E tornano contenti, me lo dicono sempre!

Il periodo della pandemia è stato molto difficile per gli anziani. Come hai e avete potuto esserci per loro?

Ho chiamato i Carabinieri. Grazie al mutuo rapporto di amicizia ho detto, un po’ per scherzo: “Non fermatemi per strada quando mi vedrete in macchina o a piedi per le vie dei paesi e dei borghi!” La risposta era: “Don, vai, hanno bisogno di te” e io prendevo la macchina una volta (o anche due) alla settimana e portavo il bollettino parrocchiale ed il foglietto liturgico – redatto dal nostro Ufficio in modo specifico ed adatto alla nostra situazione – nelle cassette della posta o li lasciavo sui davanzali. Anche suonavo al citofono. Dalla finestra, in lontananza, mi salutavano. Grati, molto grati!
Ancora oggi mi commuovo quando rivedo quei volti “dietro le sbarre”, ma contenti di non essere rimasti soli, isolati. A questo poi si aggiunge il molteplice, energico e copioso lavoro su social.
Certo, per quelli che ne fanno e ne facevano uso.

Come definiresti, in conclusione, la qualità di vita e di partecipazione degli anziani nelle tue comunità?

Credo non ci siano grossi traumi, grosse necessità. Siamo comunità ancora abbastanza contenute e almeno gli anziani li conosciamo.
Fino a quando possono fanno parte viva della Chiesa personalmente, in modo fisico, quanto poi non si vedono più cogliamo la loro assenza come sprono per avvicinarci noi a loro.
Con le modalità di cui sopra.
A cura di Selina Trevisan

(foto Siciliani-Gennari/SIR)