L’attesa nell’essere attesi

L’Avvento è il tempo dell’attesa. L’attesa è fondamentale. È un’esperienza dalla grande valenza educativa, soprattutto per noi che viviamo in tempi frenetici e concitati, dove l’impazienza, l’irruenza, l’impulsività, la fretta spesso limitano e a volte cancellano il senso profondo dell’attesa.
La vita di ciascuno di noi è intrecciata di attesa e di attese.
Nella nostra vita, caratterizzata da una triste esasperazione, si presentano incessanti attese di piccole e medie dimensioni che ci logorano, irritano e infuriano: ad esempio le code, ormai onnipresenti, diventano particolarmente frustranti nelle situazioni automobilistiche, negli aeroporti e negli uffici pubblici. Sono l’opposto della grande attesa, quella che porta alla realizzazione di sogni e progetti, quella che dà compimento ad una storia. La grande attesa paziente e sana si ritira da ogni tumulto. Lo evita con timore, considerandolo un ospite inquietante, un nemico subdolo, un veleno pervasivo che sottrae vigore e vitalità.
Il termine attendere deriva dal latino ad-tendere, che significa “volgersi a”. Si tratta di una parola composta dalla particella ad “verso” e tendere “tendere”. L’etimologia latina ci suggerisce che il suo significato è quello di rivolgere l’attenzione verso qualcosa, e quindi di dedicarsi a qualcosa. L’atteggiamento del soggetto è tutt’altro che passivo; non è stare fermi e immobili, ma è volgersi verso qualcosa o qualcuno, dedicando a essa/o attenzione e concentrazione, consapevoli che ogni grande impresa non si realizza all’improvviso o per magia.
Allora, riscopriamo l’attesa del tempo di Avvento. Questo esprime un forte potenziale di speranza, perché è il tempo che fa tendere verso, che mira, si distende, ci proietta verso il futuro.
Per i cristiani è l’attesa del ritorno del Signore alla fine dei tempi, nel ricordo della prima venuta nell’Incarnazione e nella preparazione ad accoglierlo nuovamente qui e oggi.
Tuttavia, per vivere con un atteggiamento di attesa attivo è necessario sapersi attesi; è necessario aprirsi alla prospettiva e promessa di essere a nostra volta attesi e non semplicemente gettati nel mondo.
Dino Buzzati in un suo racconto da titolo Uno ti aspetta, narra di un luogo misterioso, nel quale un signore potente ti attende da tanto tempo per “renderti felice”, donarti la libertà, svelarti la tua vera identità.
Sarebbe sufficiente decidere di andare verso di lui, varcare l’ingresso della sua casa e sarebbe festa grande, perché lui è lì che “se ne sta quieto ad aspettarti”. “Ma tu, uomo, non ti alzi nemmeno, non apri la porta, non accendi la luce, non guardi. Oppure, se vai, non lo vedi”. Questo re ti attende; “… però tu non lo vedi. Deluso, spengi, sbatti la porta, torni di là, scuoti il capo infastidito da queste nostre assurde insinuazioni: fra poco avrai dimenticato tutto. E così sprechi la vita”.
L’attesa umana di “qualcosa” che sta oltre la porta è corrisposta dall’essere attesi da “Qualcuno” che, appunto, abita al di là di quella porta.
Tutta la riuscita della vita sta nel riconoscere il “signore” e amarlo; sta nel fare quel passo per abitare quella casa dove “ti attende colui che vorrebbe vederti felice”. Intraprendere la strada opposta ti conduce a sprecare l’esistenza.
Dio per primo ci attende e noi necessitiamo di questa attesa. Il bambino che nasce ci attende e con lui, la pace, la giustizia e la gioia che porta con sé ci attendono, ma per essere raggiunti hanno bisogno che la nostra attesa sia saggia, armoniosa, costruttiva, attenta.
fra Luigi Bertié
Direttore Ufficio catechistico diocesano