Diventare protagonisti della propria vita

I passi che ogni cristiano compie nel suo cammino di fede rappresentano tappe fondamentali all’interno della sua vita, tanto personale, quanto comunitaria. Tappe che spesso non sarebbero compiute se non accompagnati anche dalla propria famiglia, dalla comunità di appartenenza e dai tanti sacerdoti che, quotidianamente, si impegnano anche a dare risposte a domande e dubbi. Un cammino, quello nella fede, sostenuto anche grazie ad Uniti nel dono che, attraverso le donazioni dei fedeli, consente ai sacerdoti di poter compiere il proprio impegno pastorale, ricco di sfide, ma vissuto nella gioia. Un impegno che diventa ancora più grande quando si tratta di seguire i bambini e ragazzi dell’Iniziazione cristiana, che si accingono ad intraprendere un cammino importante, che li accompagnerà poi per il resto della propria vita.
Approfondiamo questi spunti con fra Luigi Bertié, direttore dell’Ufficio catechistico diocesano.

Fra Luigi, quale spiritualità è racchiusa nell’offerta pastorale e che significato assume nella vita di un credente?

Quando penso alla spiritualità, ho in mente una dimensione fondamentale dell’essere umano che riguarda il suo bisogno di “andare oltre” ciò che appare e allo stesso tempo il suo bisogno di “tenere insieme” interiorità ed esteriorità.
E questo è qualcosa che riguarda tutti “personalmente”, ossia il nostro essere-in-relazione, ma anche “radicalmente”, cioè la nostra intimità.
Per il Vangelo di Giovanni, Dio ha piantato la sua “tenda” in mezzo a noi, ha preso casa venendo ad abitare tra gli uomini: la Parola di Dio è diventata carne. In Gesù cielo e terra sono “interconnessi” per sempre.
In Gesù, uomo perfetto, l’uomo può trovare la propria unità. Allora, la proposta pastorale racchiude in sé la spiritualità dell’incarnazione e pone come scelta fondamentale il lasciarsi incontrare da Gesù nella vita quotidiana, fatta di impegni, ripetitività, problemi, attese, incontri, scelte…
La spiritualità dell’incarnazione permette a Dio di condurci al di là di noi stessi e di dare unità alla nostra persona, scorgendo, riconoscendo, incontrando e accogliendo… il Signore Gesù nella vita.
La spiritualità dell’incarnazione, inoltre, ci interpella, ci invita a rimboccarci le maniche e sporcarci le mani come fece Gesù; a metterci dalla parte dei poveri, degli ultimi, dei piccoli.

Qual è in questo momento la risposta delle famiglie?
Rimangono presenti anche dopo la fine del ciclo di catechesi?

La centralità della dimensione familiare costituisce un pilastro fondamentale della catechesi parrocchiale.
Senza la partecipazione attiva delle famiglie, anche le iniziative intraprese con grande dedizione rischiano di essere costruzioni prive di solide fondamenta.
In termini positivi, per garantire un efficace completamento dell’iniziazione cristiana, è essenziale realizzare un’alleanza educativa tra famiglia e comunità.
Questa alleanza implica la convergenza di intenti, un accordo sui valori fondamentali e una collaborazione pratica.
Tuttavia, queste linee guida generali spesso faticano a tradursi in decisioni concrete.
Una carenza evidente nella nostra catechesi si riscontra nella mancanza di un autentico dialogo tra famiglie e comunità cristiana.
La sfida principale emerge quando, nella fase iniziale della vita del bambino, che va dal Battesimo all’iscrizione al catechismo intorno ai 6/7 anni, comunità e genitori rimangono sostanzialmente estranei.
Per instaurare una vera alleanza educativa, è necessario che la comunità sia attenta al percorso della coppia sin dai primi mesi di vita del bambino, considerando le esigenze educative che essa percepisce nei confronti del figlio.
Questo permette di camminare insieme e di costruire relazioni che possano durare nel tempo. Proprio su questo in diocesi abbiamo alcune esperienze che sono nate da poco, per questo sarà necessario dare il giusto tempo per una valutazione.
Tuttavia, ve ne sono altre, purtroppo poche, che stanno dando frutti positivi in merito al coinvolgimento, all’essere sempre più protagonisti nella propria comunità, alla riscoperta della propria fede.

La presenza dei religiosi e dei sacerdoti nell’accompagnamento al giovane e alla famiglia è fondamentale.
Come ti senti ad essere co-partecipe in questo cammino?

Immagina di dover desiderare di intraprendere un viaggio in montagna in un luogo sconosciuto.
Sei mosso dalle descrizioni fantastiche del panorama mozzafiato, così decidi di prepararti adeguatamente.
La prima cosa che fai è quella di procurarti una mappa, che esamini attentamente.
Sebbene pensi di aver individuato il percorso giusto per raggiungere la vetta, persistono ancora alcune incertezze sul sentiero da prendere, sul bivio, se riuscirai a riconoscerlo di persona.
Poi passi a preparare lo zaino.
E qui sorgono domande sul possibile freddo, sulla presenza o meno del vento e sulla quantità di acqua da portare, e altri simili interrogativi.
Improvvisamente, ti viene un’idea: perché non farsi aiutare da un esperto di quella montagna?
Meglio ancora, perché non chiedere a questa persona di accompagnarti durante l’ascensione, così da poter discutere insieme lungo il percorso e sentirsi più sicuro di raggiungere la vetta desiderata?
Possiamo utilizzare questa analogia della scalata in montagna per il cammino di un giovane.
La meta è la maturità umana e cristiana e il sentiero per arrivarvi è questa nostra vita terrena in cui si affrontano vari scenari: le curve dove la visuale è minima, i temporali improvvisi e le decisioni da prendere.
Si può tentare di salire senza un accompagnatore, fidandosi delle proprie risorse e istinti, e certamente Dio non ci abbandona.
Tuttavia, può essere di grande aiuto chiedere l’accompagnamento a chi ha già esperienza del cammino.
Il confronto aiuta ad affrontare i dubbi, non è per farsi convincere o farsi dire ciò che si deve fare.
Non si tratta di delegare all’altro la responsabilità delle decisioni. La persona accompagnata deve diventare sempre di più protagonista della propria vita.
Come accompagnatore sento di avere una grande responsabilità, perché attraverso la vicinanza, la presenza, l’ascolto ho il compito di assistere l’altro nell’ascolto più attento di sé stesso e di Dio per vivere una relazione sempre più autentica e profonda, libera e responsabile della sua vita.

(foto: Siciliani-Gennari/SIR)