Dialogo e ascolto per ogni persona
27 Dicembre 2023
Da settembre Villa San Giusto a Gorizia accoglie i sacerdoti diocesani bisognosi di una particolare assistenza in precedenza ospitati presso la Comunità sacerdotale di via Seminario. Attualmente vi sono ospitati mons. Adelchi Cabass e mons. Pietro Sambo.
Il loro arrivo (come quello di don Valentino Comar e don Valerio Gregori ritornati alla Casa del Padre nelle settimane seguenti al loro arrivo nella struttura di corso Italia) è stato preparato e condiviso anche con le Suore della Carità di San Vincenzo de’ Paoli, presenti nella casa; tra queste, suor Paola Bortolanza, animatrice responsabile delle suore e “memoria storica” della Villa.
Abbiamo parlato con lei della struttura, del suo evolversi nel tempo e dell’apporto recentemente giunto dall’arrivo dei sacerdoti diocesani.
Suor Paola, qual è il tipo di servizio ma anche l’apporto spirituale che la sua presenza e quella delle sue consorelle porta in Villa San Giusto?
Siamo in tre suore e la nostra presenza prevede un servizio volontario – ormai abbiamo una certa età e non abbiamo più “l’impegno” di mettere in atto un servizio di assistenza alla persona, come prima della pensione -.
Io sono qui da 45 anni, una vita! E per 40 anni sono stata caposala in uno dei grandi reparti che compongono Villa San Giusto, struttura per persone anziane non autosufficienti.
Tale periodo, per me, è stato vissuto in una “doppia veste”: ero caposala e svolgevo il mio servizio professionale, ma ero (e sono) anche suora; per me è stato un periodo bello, lungo e tanto ricco.
Oltre all’accoglienza delle persone infatti si deve tenere presente che “dietro” ci sta tutto un servizio di ascolto, di aiuto nelle necessità – molte persone non hanno nessuno e allora ancora di più è necessario provvedere a loro, a volte anche a cose materiali come cambi d’abito, di biancheria… -.
È stato un periodo molto arricchente, perché ogni persona ha una storia di vita e, di conseguenza, tu dai l’aiuto ma a volte è una risorsa anche per te, anche riguardante la fede.
La cosa bella poi è il vivere in una comunità dove c’è la preghiera, c’è l’ascolto, ci sono anche momenti di “ricarica”.
In questo periodo in cui prestiamo servizio volontario, è cambiato il nostro modo di operare, forse ancora più vicino alle persone, perché non avendo l’impegno di portare avanti un servizio lavorativo, c’è più tempo per pregare, aiutare, ascoltare i bisogni degli assistiti, che sono la solitudine, le tante ore soli, il bisogno di parlare con qualcuno, il dare un senso a tutto questo. Infine, anche per un operatore, per noi, è importante rimotivarsi sempre.
Lei, da più di 40 anni in struttura, è un po’ anche la sua “memoria storica”. Come l’ha vista cambiare in questo tempo?
Se da una parte è sempre più migliorato il servizio, l’ambiente, la struttura, che si adegua a tutte le esigenze, come dicevo però i bisogni delle persone rimangono gli stessi.
Prima, si poteva contare molto sul volontariato, per semplici incarichi come dar da mangiare agli assistiti o prestare un po’ d’ascolto.
Oggi le nuove normative non prevedono questa possibilità ma personale qualificato, pertanto il carico di lavoro aumenta.
Se quindi da una parte tutto è migliorato, dall’altro lato viene tolto tempo alla socialità, è un lavoro meno “umanizzante” dal mio punto di vista. L’operatore è spesso di corsa, preso da impellenze, e i bisogni della persona sono sempre più urgenti proprio perché l’operatore non ha tempo e modo per fermarsi ad ascoltare.
Il nostro impegno come religiose allora è proprio questo: seguire le persone e accoglierle, aiutarle; non da ultimo interagire con i loro parenti, rassicurarli…
Un esempio: il tempo del Covid è stato micidiale, perché le persone non potevano vedere i parenti; li contattavamo in videochiamata ma spesso non riuscivano a capire perché non potevano venire a trovarli.
Ci siamo adoperati tutti molto per metterli in contatto, per star loro vicino e motivarli. Una goccia d’aiuto in mezzo a tanto bisogno.
Per quanto mi riguarda infine, lungo tutto il mio servizio ho svolto un lavoro che mi piaceva e sono felice, ho ancora oggi l’entusiasmo del primo giorno.
Da qualche mese Villa San Giusto accoglie alcuni dei sacerdoti diocesani. Com’è stato vissuto, in particolar modo da lei e le consorelle, il loro arrivo? Spiritualmente cosa significa per voi?
C’è stata tutta una fase preparatoria per scegliere il posto dove alloggiarli, abbiamo collaborato con gli assistenti sociali e con il direttore, tutti erano predisposti ad accogliere queste persone.
Dico la verità, mi sembrava di essere inadeguata nell’accoglienza! Invece vedo che dando un minimo aiuto, aiutandoli ad accettare una situazione nuova per loro, un ambiente che comunque è una Casa di Riposo, aiutandoli anche nel conservare le loro abitudini e scelte di vita, andandoli a prendere per la Santa messa, per la preghiera, aiutandoli a comprendere anche quali sono le regole e le risorse presenti nella struttura, il passaggio non sta risultando complicato.
La loro presenza è poi anche una risorsa: ad esempio al mattino siamo tutti insieme, sia la comunità maschile che noi religiose, e viviamo insieme la celebrazione; poi ci danno tanto dal punto di vista spirituale, perché hanno dato una vita alle loro parrocchie, alle persone e tutto ciò che concerne la relazione umana viene vissuto con gioia e condividono con tutti le loro conoscenze.
Siamo molto contenti, facciamo quello che possiamo, anche rassicurare i loro parenti, come anche per tutti gli altri assistiti. Pian piano vediamo che si sentono sempre di più un po’ in famiglia.
Ogni persona ha bisogni diversi ma è importante conservare per tutti dei momenti di calma, condivisione, dialogo e ascolto, aiutandoli ad accettare una realtà diversa e nuova nella loro lunga vita.
a cura di Selina Trevisan
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