Ad Aquileia la benedizione con lo spadone del Patriarca

Si è ripetuta per la 683^ volta nella Basilica di Santa Maria Assunta e dei Santi Ermagora e Fortunato di Aquileia, la solenne Messa della Notte di Natale con l’antico rito dello Spadone. Questa celebrazione affonda le sue radici nella prima metà del XIV secolo quando il Patriarca di Aquileia Bertrando di San Genesio, dopo aver conquistato Cormons, fu costretto a celebrare la messa della notte di Natale del 1340 all’aperto a Gorizia, indossando l’armatura di guerra e impartendo la benedizione con lo spadone a due mani.
Questa particolare liturgia per secoli è rimasta come prassi della Chiesa goriziana nelle celebrazioni del Santo Natale.
Persa la tradizione isontina, attualmente il rito di ripete nella Basilica Patriarcale di Aquileia.
Il parroco monsignor Mirko Franetovich ha presieduto la Messa con don Paulson, cappellano dell’ospedale di Gorizia e della residenza protetta Villa San Giusto, presenti i religiosi Fatebenefratelli e le suore di san Vincenzo.
Prima di iniziare la celebrazione c’è stato il canto della Calenda, che corrisponde al testo del Martirologio Romano per il 25 dicembre e dopo la proclamazione del Vangelo, don Paulson, circondato dagli armieri, ha indossato l’elmo e con lo spadone ha indicato i quattro punti cardinali, ricordando la promessa del Patriarca di Aquileia di difendere i quattro angoli del Patriarcato. Le armi sono state quindi deposte ai piedi del Presepe, come impegno a vivere nella pace.
Il parroco nel commentare il vangelo si è soffermato sul fatto che l’uomo oggi ferito su tanti fronti – fisici, interiori – ha bisogno di consolazione e “questa consolazione concreta che tocca la carne come la offre Dio? Come la rende afferrabile, concreta?” Riprendendo il testo di Luca ha affermato che la consolazione di Dio ci raggiunge attraverso il segno di un Bambino. “Non c’è migliore inizio di consolazione per ritrovare il sorriso sulle labbra, rasserenare il cuore, per rilassare il volto indurito e così riprendere un nuovo modo di guardare la storia, di partecipare alla storia”.
Così don Mirko ha invitato a partecipare alla storia con lo sguardo di un bambino che si lascia rapire dalla meraviglia del creato, di un tramonto, di un’alba, della neve. “Il correre tante volte non ci fa accorgere di nulla”- ha affermato il sacerdote, che ha poi invitato a prendere sul serio anche l’impegno di custodire il creato per evitare, come anche sottolineava Papa Francesco nella esortazione apostolica Laudate Deum, fenomeni estremi come si è visto a livello climatico negli ultimi anni.
Un altro modo di partecipare alla storia, contemplando il bambino con le braccia allargate, è la capacità di affidamento reciproco, l’importanza del ritrovare la fiducia negli altri e, prima ancora, è importante non smarrire la fiducia degli altri “perché in fondo – ha detto il celebrante – non esercitare la fiducia verso gli altri significa rassegnarsi a una esistenza opaca, significa non assumersi il rischio di approfondire la conoscenza tra le persone con il rischio di isolarsi e non vivere bene”.
Infine il terzo punto che ha toccato don Mirko è il pianto del bambino, che ti fa stare dentro la storia con la sensibilità al dolore del mondo e, per quanto possibile, sprona a darsi da fare per alleviare le ferite, offrendo così il volto di un’umanità che non schiaccia l’altro ma condivide il cammino.
Alla liturgia erano presenti anche il sindaco Emanuele Zorino e il comandante della locale stazione dei carabinieri Domenico Spanò.
Il primo cittadino ha portato i saluti della comunità augurando che il Natale e le sue celebrazioni custodiscano e incentivino il desiderio di bene, ciascuno con le sue responsabilità.
Livio Nonis