Settimana ecumenica: doppio appuntamento

La Settimana Ecumenica 2024, che si ripete quest’anno dal giorno 18 al 25 di gennaio, vedrà a Gorizia due momenti particolari: una celebrazione comunitaria cattolica/ evangelica, venerdì 19 gennaio alle ore 20.30 presso la chiesa di San Rocco, Gorizia, e una riflessione sul tema della violenza, lunedì 22 gennaio alle ore 20.30, all’adiacente “Centro Culturale Incontro” di San Rocco. Ci accompagneranno i relatori Martha Populin e don Santi Grasso, per la parte cattolica, e il pastore Jens Hansel per quella evangelica.
Ci ritroviamo ormai da molti anni per mantenere e rinforzare questa tradizione, convinti come siamo che il cammino delle Chiese è contiguo, e siamo compagni di viaggio, con Gesù Cristo orizzonte e guida. Così, sarà bello ritrovarci ancora una volta, sempre fratelli, sempre fianco a fianco nel cammino, per spezzare insieme la Parola.

Gruppo Ecumenico – Gorizia

Il tema della conferenza che concluderà la settimana ecumenica 2024 a Gorizia si esplica in una parola che volentieri faremmo a meno di sentire, e dalla quale siamo invece bersagliati: la violenza, parola che non ha diritto di asilo in ambito cristiano.
La domanda del perché di tanta violenza oggi, nel mondo e nel cortile di casa nostra, ci interroga ed impaurisce, lasciandoci con mille risposte e con nessuna, che, in fondo, è la stessa cosa.
Lasciandone doverosamente ai relatori la dissertazione, vorrei spendere due parole laiche sul suo antidoto naturale: l’amore, la cui mancanza, relativa o assoluta, lascia spazio al suo opposto, la violenza, appunto.
Erich Fromm, nel suo “l’Arte di amare”, parla dell’amore come di un’attitudine, un orientamento del carattere che determina i rapporti di una persona con il mondo, non verso un “oggetto” d’amore, non solo una relazione con una particolare persona. La maggior parte della gente crede invece che l’amore sia costituito dall’oggetto, non dalla facoltà di amare. Credono che la prova dell’intensità del loro amore sia il fatto di non amare nessuno tranne quella persona. Ma se amassi veramente una persona, amerei il mondo, la vita. Così ci insegna razionalmente Fromm (spiritualmente abbiamo altri Maestri), ma, visibilmente, non abbiamo imparato la lezione, né la sua, né di Altri.
Ovviamente, il precetto dell’amore (con il conseguente rifiuto dell’odio) non abita, solitario, il cristianesimo. Il Dalai Lama ci insegna che, quando ci vendichiamo del nemico, si crea una sorta di circolo vizioso. Se rendiamo la pariglia, l’altro procederà ad una rappresaglia, e così via… “Non vi è” – afferma – “forza morale maggiore della pazienza, come non vi è afflizione peggiore dell’odio. Di fatto, il nemico è la condizione necessaria per rafforzare la pratica della pazienza e della tolleranza”.
Il nemico: è anche questa una parola che ci mette in crisi. Il nemico non può essere una persona. Può abitarla, magari, con il male, può espandersi come l’ingiustizia e tutto ciò che ne consegue, ma gli strumenti con cui possiamo combattere questi “nemici” hanno altri nomi, e parlano di bene.
Sempre con Fromm riflettiamo sull’etica della regola aurea, cardine dell’orientamento cristiano. La massima “fare agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te” può essere interpretata come etica di onestà, cioè essere leali nello scambio con gli altri. In realtà, è una versione di “ama il tuo prossimo come te stesso”, diversa dalla giustizia etica. Significa “amare il proprio vicino, vale a dire rispondere di lui e con lui, mentre l’etica di giustizia non significa essere responsabile, ma distante e separato; significa rispettare il proprio vicino, ma non amarlo”.
Oggi questa è la massima religiosa più popolare, perché può essere interpretata in termini di giustizia etica che ognuno capisce e può praticare. Ma c’è ancora differenza tra giustizia e amore.
Fromm conclude la riflessione con parole come macigni: “Se è vero che l’amore è l’unica soluzione valida al problema dell’esistenza umana, allora qualunque società che escluda lo sviluppo dell’amore deve, a lungo andare, perire per le proprie contraddizioni con le fondamentali necessità della natura umana”. Ne conosciamo qualcuna?
Parliamo di amore, unico, vero bisogno di ogni essere umano.
Su sponde diverse, concetti simili. Anche Thich Nhat Hanh (maestro Zen) ci dice che “Gli esseri umani non sono il nemico: l’altra persona non è il nemico. Il nemico è la violenza, l’ingiustizia, in noi e nell’altro”, questo dobbiamo combattere, armati di comprensione e compassione.
ui ed ora.
Per José Tolentino Medonça, autore luminoso (illuminato è altro), il presente è, per chi crede, un tempo storico modificato dalla speranza, in cui il futuro si scopre e manifesta. Afferma la lezione di Paolo, che è “noi non siamo cristiani: diventiamo cristiani, e questo ci obbliga a rompere con il conformismo religioso di un cristianesimo come dato acquisito, quasi fosse un automatismo”, mentre è, invece, esperienza di metamorfosi. Cos’è il cristiano per Paolo? ” Un credente in costruzione, scelta di vivere in stato di processo, la pienezza e al tempo stesso l’incompiutezza, la speranza e l’incertezza”.- Perché – “Dio, infatti, non ha creato l’uomo: lo crea, e continuerà a crearlo”. Noi non siamo semplicemente testimoni di un passato. Ogni persona è chiamata ad essere – e lo è già – un documento del futuro.
C’entra qualcosa con l’Ecumenismo? Superflua la risposta, se noi c’entriamo con il futuro.
Un breve rimando a Giona, l’antieroe che preferisce la fuga alla missione affidatagli dal Signore (la conversione di Ninive): non è un vile (accetta di essere gettato in mare per placare la tempesta) ma scappa; ama troppo Israele per salvarne i nemici. Elie Wiesel lo ricorda come unico profeta che ha per missione quella di servire esclusivamente altre nazioni, di portare la parola di Dio ai non ebrei senza abbandonare il suo popolo, la sua fede. Ninive ha fatto molto male ad Israele, e Giona l’ebreo potrebbe aver il desiderio di essere portatore di vendetta. Ma, paradossalmente, Giona alla fine salva Ninive.
Non si dice che la converte: solo porta ad essa la Parola, e la salva.
La tradizione ebraica sa che a ogni essere umano è concessa un’altra possibilità di ricominciare la propria vita. E noi cristiani sappiamo di avere molti fratelli con cui condividere un cammino, ognuno con il proprio passo, talvolta faticoso, o incerto, ma mai interrotto.
Una curiosità: mi sono imbattuta in una raccolta di amabili leggende di Nasreddin (filosofia sufi), con un breve racconto in cui il protagonista è felice per aver attuato la metà del suo impegno di assicurare giustizia, portando il pane agli affamati: questi ultimi avevano infatti accettato di riceverlo. Mancava ancora l’altra metà, quella dei donatori che accettavano di darne. Ecco, lo stesso, identico racconto lo conoscevo nella tradizione chassidica raccolta da Martin Buber, attribuito a un celebre Rabbi. Secoli e fedi diverse, certamente.
Non l’uomo.
José Tolentino Medonça, citato prima, è cardinale e poeta. Il suo perimetro di espressione è l’haiku, di tre versi solamente. In chiusura, mi piace riportarne uno, voce di consapevolezza, preludio alla comprensione. E alla condivisione.
Esisto senza fretta
Maturo in fatiche e ritardi
Apprendo l’incompletezza.
Non è pessimismo: è riconoscere i nostri limiti, eliminando così l’arroganza, la superbia, per far spazio ad altro. L’oggi, poi, ci sembra così buio? Dipende. E qui chiudo, con altri versi di dissimile contesto. Ma non di speranze
Se arriva l’inverno la primavera
non è lontana
(P.B. Shelley).
C. Veronese