Chiamati ad essere “rabdomandi di pace” nella vita di ogni giorno

Al valico del Rafut, il giorno dopo l’Epifania, insieme ai francescani secolari delle fraternità di Gorizia e Kostanjevica si sono riuniti l’arcivescovo Carlo e don Bogdan Vidmar, delegato dal vescovo di Koper, i frati e i fedeli italiani e sloveni per il tradizionale Incontro fraterno davanti al Presepe giunto alla 17^ edizione.
A quasi 20 anni dalla caduta del muro, era il 28 aprile 2004, il sogno di chi vive in questa terra è che tutti i muri vengano abbattuti e sostituiti da ponti, in particolare quello tra Gerusalemme e Betlemme su cui un autore di street art ha riprodotto la Natività, affresco del Maestro da Narni nella Chiesa di San Luca a Greccio.
Frate Francesco credeva che il dialogo fosse l’unica via per costruire una pace duratura e presupposto per una fraternità universale e, con il suo compagno, frate Illuminato, durante la Quinta Crociata riuscì ad arrivare in Medio Oriente. L’incontro tra l’assisiate e quel suo straniero amico, avvenuto nel giugno 1219 a Damietta, ricorda quanto sia sterile l’uso della violenza e fragile la pace ottenuta con la sconfitta del nemico. E, mentre Gianmarco ne fa memoria, Paolo, in vesti sontuose, e Luciano, nel suo saio rattoppato, rendono vivo quello storico colloquio che dimostra che solo incontro e dialogo portano frutto e pace a lungo termine sotto gli occhi increduli di Marco, nella sua tonaca marrone, e quelli stupiti delle persone che assistono alla rappresentazione.
Allora quel sogno di confine comincia a diventare speranza certa come le voci sicure di Gianmarco e Kristina che, lungo le strade ed attraverso le piazze, intonano canti a cui tutti si uniscono con la gioia di chi si sente già esaudito nella preghiera per la pace.
Fra Luigi, assistente della fraternità di Gorizia, guida i fedeli italiani e sloveni fino al Monastero in piazza sant’Antonio pregando, cantando e facendo silenzio; in certi momenti solo la pioggia, che è iniziata a scendere leggera, sembra far rumore.
Giunti al cancello che separa solo fisicamente il mondo secolare da quello claustrale, Mario rievoca il ritorno di Francesco dal viaggio in Terra Santa: al suo arrivo in Italia, deluso per una guerra a cui i crociati non vollero rinunciare ma commosso per aver potuto visitare i luoghi in cui visse Gesù, confidò a Giovanni Vellita, suo grande amico, il desiderio di preparare proprio nella grotta a Greccio in cui trovò rifugio, il fieno, un bue e un asino per la notte di Natale. La pietra per la Messa c’era, bastava quella sulla quale Francesco aveva riposato. Negli occhi di Luciano e in quelli di fra Tomaz si scorge l’ardore che spinse il Santo a celebrare il primo Presepe vivente della storia. Negli occhi di Daniele, nei panni signorili del Vellita, padrone del monte, e in quelli di Mosè, si ravvisano stupefazione ed esaudimento.
Ognuno dei presenti si sente come uno dei suoi tre compagni, Leone, Rufino ed Angelo che, insieme al Poverello, salirono al romitorio sopra al dirupo il 24 dicembre mentre, entrando nella Cappella del Monastero, trova la greppia, la paglia e il Bambino.
Non ci sono parole quando il cuore è in estasi: allora le sorelle clarisse che, fin dall’inizio dell’Incontro sono state presenti spiritualmente, riempiono quel luogo con un soave canto e, nell’uscire, sembra di tornare alla realtà dopo aver vissuto una favola.
Ma non è stato un sogno: prova ne è un cuore di legno su cui è incisa la parola “Pace” che ogni fratello ed ogni sorella si trova tra le mani insieme ad una candela accesa. Come 800 e un anno fa, mentre la sera scende su Gorizia che per un momento è stata una piccola Betlemme, un torrente di luci, preghiere e canti raggiunge la chiesa dei Cappuccini avvolta nella penombra, nella quiete ed inondata, all’arrivo dei pellegrini, dai cori Go&Sing – Voci in circolo di Gorizi e Otroski pevski zbor ¬upnije di Nova Gorica.
Fra Francesco Ielpo, delegato del Custode di Terra Santa in Italia, ha registrato una testimonianza, sostenendo che, in questo clima di grande tensione i francescani hanno voluto tornare all’origine vera ed autentica di ogni speranza: con la nascita di Gesù in quella grotta di Betlemme, il divino è entrato nella storia.
Anche in questa storia ed in questo tempo non siamo soli.
La situazione dei luoghi in cui è nato e vissuto il Principe della Pace è la situazione del cuore di ogni uomo: come scrisse san Paolo, il nostro cuore anela al bene ma compie il male che non vuole. Noi siamo chiamati, quindi, a non giudicare ma a ripartire dal punto più basso in cui Gesù è sceso, per ricevere il battesimo da Giovanni Battista, il fiume Giordano, insieme a tutti i peccatori che cercavano conversione. Da lì Cristo ha voluto innalzarci e riportarci alla dignità che abbiamo veramente: siamo figli e figlie di Re, creature del Creatore. Se quello che stiamo vivendo sembra il punto più basso nella storia dell’umanità, qui scenderà Dio se troverà cuori in cui ri-nascere. Prima di salutarci con la pace che ci dona il Signore, fra Francesco Ielpo ringrazia le comunità, quella italiana e quella slovena, per questo Incontro che si ripete ogni anno davanti al Presepe: gesto profetico che dona speranza ai francescani e cristiani di Terra Santa.
Nell’omelia della messa – concelebrata insieme a don Bogdan, fra Marco e fra Tomaz nella festa del Battesimo di Gesù – il Vescovo Carlo invita a trovare l’acqua nella Parola di Dio. Usando l’immagine della pioggia che in questa domenica, come già nella notte di Capodanno, ha bagnato questa terra di confine, così la Parola disseta i cercatori di Vita. Attingiamo con gioia, dunque, alle sorgenti della salvezza! Contempliamo il nostro Battesimo in acqua e Spirito Santo che ci ha resi figli unici, preferiti ed amati.
E ripensiamo a Francesco che, usando il bastoncino della preghiera e non quello del rabdomante, fece scaturire dal monte una fonte a cui si abbeverò il contadino assetato che accompagnò il santo, dopo averlo caricato su un asino. a La Verna.
E ai francescani italiani e sloveni, l’Arcivescovo lancia una provocazione: quello di essere rabdomanti della pace: pace da cercare nella vita di ogni giorno, nelle famiglie, nelle comunità, nelle nazioni e, con il cuore, in tutto il mondo, essere utili e con la preziosità di essere un piccolo ma importante segno di speranza per tutti.
Silvia Scialandrone