Un “piccolo mondo” dove imparare a stare insieme

Lo sport è un’occasione di crescita non soltanto fisica e psicofisica nella vita dei bambini e dei ragazzi, ma rappresenta anche una grande opportunità di crescita in senso sociale, imparando a stare insieme agli altri, a volte anche di nazionalità diverse dalla propria, e imparando ad accettare anche le sconfitte.
Abbiamo parlato di questi aspetti con il signor Gianni Candutti, presidente dell’ASD Audax Sanrocchese di Gorizia.

Signor Candutti, lo sport non è solo allenamento ma porta con sé anche un grande impegno educativo. Cosa significa ciò per una squadra, di calcio nel vostro caso, che lavora anche con giovani e giovanissimi?

La nostra società in questo momento accoglie 130 ragazzi delle giovanili; contando poi anche chi è nelle categorie superiori, arriviamo a 180 giovani. È chiaro che l’impegno maggiore è rappresentato proprio dalle categorie dei più piccoli, ossia chi, dai 6 anni, inizia ad avvicinarsi al mondo del calcio: per divertimento, per attività motoria e anche per socialità.
L’impegno sta nel far comprendere come anche l’attività sportiva sia un impegno e vada vissuta come tale; su questo insistiamo parecchio anche con i genitori perché crediamo fermamente che lo sport sia un’attività integrante nella vita dei bambini e ragazzi.
Per quanto riguarda proprio l’attività sociale, oltre a quella sportiva, proponiamo a settembre un “ritiro” a Malborghetto e dallo scorso anno abbiamo avviato anche un Centro Estivo presso gli spazi dello Stadio “Vizzari” di via Baiamonti, in maniera tale da offrire alle famiglie un’attività di sostegno durante il periodo estivo, ma anche un ulteriore opportunità aggregativa, sociale, per i ragazzi.
Chiaro che tutto questo comporta un “sacrificio” importante dal punto di vista umano e la cosa non è del tutto semplice: purtroppo stiamo osservando anche noi una crisi, negli ultimi anni, del volontariato, sempre meno persone vi si avvicinano.
Siamo consapevoli che tanti sono lavoratori e il tempo che rimane nella giornata è poco, ma stiamo cercando di sensibilizzare a riguardo i genitori dei nostri ragazzi, che magari possono “donare” qualche ora libera alla gestione di alcune faccende societarie.

Crisi del volontariato a parte, com’è andata la ripartenza dopo lo “stallo” della pandemia?

Possiamo ritenerci soddisfatti: dopo la pandemia temevamo – così come tante società, in tutti gli sport – che i ragazzi abbandonassero del tutto le attività, invece dopo il Covid siamo ripartiti normalmente e abbiamo con noi un buon numero di ragazzi.
Quello che magari spaventa un po’ sono i costi, diventati oggi a livello societario sostanzialmente insostenibili rispetto a un paio di decenni fa: tutto deve essere intestato e mantenere il tutto con una quota minima è complicato.
Sappiamo i costi – un ragazzo di qualunque categoria costa alla società circa 1.000 euro l’anno – ed è quindi facile calcolare la differenza di quanto la società debba reperire per far sì che sia possibile pagare tutto (trasferte, allenatori, utenze…), è un impegno oneroso.
Partecipiamo quindi a dei bandi, come ad esempio quelli della Fondazione Cassa di Risparmio di Gorizia che ci viene incontro per quanto riguarda le rette dei ragazzi le cui famiglie non possono permettersi il sostentamento dell’attività sportiva. Spesso facciamo anche delle scelte etiche diverse dagli aspetti economici, perché desideriamo che lo sport sia davvero per tutti.

Le squadre sono anche spesso dei “piccoli mondi multiculturali”. Quale la situazione tra le vostre fila e come si “insegna ed impara” a stare insieme?

In questo bisogna dare merito ai nostri allenatori: nel corso degli anni sono stati molto bravi e non abbiamo mai avuto nessun reclamo, nessuna lamentela riguardo al comportamento mantenuto nella propria squadra o nel gruppo di ragazzi.
Negli anni siamo arrivati a contare, all’interno delle nostre squadre, anche più di 10 nazionalità diverse. Tra i nostri ragazzi ci sono albanesi, kosovari, serbi, anche ucraini, russi e a breve arriverà tra le nostre fila un georgiano. Ci sono stati poi ragazzi cinesi, croati, rumeni… tante realtà individuali, senza mai aver avuto nessun problema all’interno dei team. Alla fine, il calcio è uno sport di squadra, che accomuna e che fa sentire parte di un gruppo. Oltre a ciò, i “mister” fanno di tutto per creare gruppo, unione, squadra, senza differenze.

A volte si leggono, nelle pagine di cronaca, episodi di violenze, più o meno verbali, messe in atto dagli stessi genitori degli atleti. Come lavorate su questo, come sono coinvolte nel percorso educativo le famiglie?

Purtroppo è un aspetto che si ripercuote sui ragazzi.
Proprio negli scorsi giorni ci sono stati alcuni esempi in regione, ma succedono spesso in tutta Italia, poco edificanti nelle categorie dei dilettanti.
Diciamo che si vive un periodo in cui molti genitori si sentono anche dei “tecnici”, quindi sanno già come gioca il loro figlio, dove sta nel campo, quale ruolo gli spetta… ed è un po’ difficile accettare idee diverse e obiezioni.
Questa è forse la difficoltà maggiore, a mio avviso, ma devo dire che nella nostra società non abbiamo grandi difficoltà da questo punto di vista e non abbiamo mai vissuto episodi poco edificanti. Tutti sono contenti di partecipare e di collaborare.
In ogni caso, atteggiamenti di questo tipo sono fortemente osteggiati e vengono anche pesantemente (e giustamente) multati dalla federazione.

Poche settimane fa proprio uno stadio della nostra regione è finito “nell’occhio del ciclone” per alcuni episodi di razzismo emersi nel corso di una partita. Come lavorate su questo con i vostri ragazzi?

Molto seriamente, tutti i nostri allenatori insistono su questo aspetto, che per noi è fondamentale. Al di là dell’inclusione di ogni singolo ragazzo, cerchiamo di insegnare soprattutto a rispettare l’avversario.
Chiaro che, se non c’è una base dove allenatore in primis, società poi, si insegna che qualunque giocatore, di qualunque provenienza, va rispettato, non va preso in giro, non va offeso… il lavoro si vanifica, per questo lo riteniamo un aspetto fondamentale e ci lavoriamo sopra a tutti i livelli. Ma ripeto, per fortuna non abbiamo mai avuto casi in tal senso.

Il calcio è sport di squadra, ma che peso, che valore, può assumere l’imparare a stare in gruppo anche per un aspetto individuale, per “mettersi in gioco” come singola persona?

È direi fondamentale, anche nella crescita di un ragazzino. Abbiamo visto passare tra le nostre fila diversi ragazzi che, parallelamente alla crescita in squadra e arrivando anche alle categorie superiori, hanno compiuto un’importante crescita personale, che li ha portati poi a trasferirsi, per motivi di studio, in grandi città dove hanno frequentato importanti Atenei.
Credo che, oltre alle doti e attitudini personali, il calcio e lo sport in generale servano per imparare un senso di impegno personale, di appartenenza e di collaborazione in un gruppo, ma anche ad accettare le sconfitte, motivo quindi di crescita individuale per il singolo ragazzo. A noi quando un ragazzo “ci abbandona” per andare a studiare altrove, in importanti università, fa un po’ dispiacere ma non possiamo non essere davvero felicissimi per la sua crescita come ragazzo e uomo.
Lo sport è quindi, dal mio punto di vista, fondamentale non solo per la forma fisica ma anche per la costruzione di una “forma mentis”.

a cura di Selina Trevisan