La riscoperta di un “seme” gettato anni prima
7 Marzo 2024
La fede abbracciata nell’età adulta assume un valore del tutto particolare.
A volte è vissuta come completamento del proprio percorso all’interno dei sacramenti, magari in vista di un momento importante quale ad esempio un matrimonio.
Altre volte ancora è vissuta come un vero e proprio “cambiamento di vita”, frutto di una consapevolezza maturata nel tempo, una scelta vissuta in maniera personale e responsabile.
Ne abbiamo parlato con monsignore Michele Centomo che, negli anni, non solo ha accompagnato numerosi adulti nel loro cammino di fede ma, grazie al suo ruolo come insegnante, beneficia anche di un punto di vista particolare su quello che è l’avvicinamento alla fede degli adolescenti e degli adulti.
Da quanto ha visto nella sua esperienza di vicinanza come sacerdote, quale significato assume la ricerca della fede in età adulta? Cosa ricercano coloro che si avvicinano alla Chiesa e alla fede “da grandi”?
Premetto che l’accompagnamento di qualche giovane adulto ai Sacramenti dell’Iniziazione Cristiana, (nel mio caso alla Cresima) è avvenuto quasi per caso o, meglio, dopo aver incontrato le persone che chiedevano di sposarsi, ma non avevano completato “l’iter” dei sacramenti.
In un caso anche il percorso che la persona stava compiendo combattendo la fragilità della salute.
Dopo le prime titubanze e “pudori” (quasi un sentirsi “in colpa” per non aver fatto tutto da adolescenti), l’ascolto delle loro esperienze di vita dicono che “qualcosa” manca o avvertono un “vuoto”.
Penso che la ricerca della fede di giovani adulti ed adulti assuma un significato di riscoperta di quel seme “gettato” anni prima e che ora, nel silenzio della loro esistenza, comincia a germogliare perché qualcuno ha teso loro la mano.
Lei ha un punto di vista particolare come insegnante.
Alla luce di ciò, che significato ha la ricerca della fede anche come momento di crescita personale e, in qualche modo, anche di crescita, maturazione del proprio bagaglio di conoscenze?
“Una generazione senza Dio?” (Garelli 2016). No!
La maggior parte dei giovani che oggi si dichiarano senza Dio o senza religione ha avuto una socializzazione religiosa di base negli anni dell’infanzia e dell’adolescenza, fatta di presenza al catechismo, di frequenza dell’oratorio e di ambienti ecclesiali, di campi scuola, di momenti di riflessione umana e religiosa.
Per cui, anche se successivamente si sono allontanati da questo mondo, hanno in memoria una formazione di fondo che attesta ancor oggi la vitalità di ricerca della fede.
Non sono atei o agnostici o indifferenti alla religione, ma perché, a un certo punto e per vari motivi, hanno preso le distanze da un imprinting religioso ancora diffuso?
Vari fattori possono essere alla base di questo distacco dalla trasmissione religiosa.
Come dico da tempo, i giovanissimi e i giovani li incontri a scuola e non rifiutano il confronto, il dibattito sui temi riguardati la fede, la morale.
Chiedono solo di non essere giudicati o a priori zittiti. I frutti non si hanno subito, ma “tempo al tempo”.
È importante anche cercare di superare insieme i “momenti di crisi”. Sono capitati? Come li ha affrontati insieme ai catecumeni?
Se non ci fossero momenti di crisi, l’esistenza assumerebbe la tonalità del grigiore assoluto. Crisi significa fermarsi, fare il punto della situazione, dibattere, confrontarsi, non pretendere di avere le soluzioni tout-cour e guardare in alto. Non ho la bacchetta magica alla Harry Potter, guai! Fermarsi, ascoltarsi, accompagnarsi, curarsi.
In chiusura, l’annosa questione: come dovrebbero porsi le comunità e cosa dovrebbero fare per evitare che, una volta ricevuti i sacramenti, si torni ad essere tutti delle “isole”?
Non saprei che risposta offrire. È certo, comunque, che ci muoviamo ancora con difficoltà in questo mondo cambiato.
Siamo ancora troppo ancorati ad una pastorale dei sacramenti: forse dovrà nascere ancora una generazione o due di pastori per dare avvio ad una vera pastorale con caratteristica “catecumenale”, dove non si contano più i numeri delle prime comunioni, delle cresime.
Si tratta dunque di un nuovo modo di fare pastorale e di formare preti e laici che il compito missionario delle nostre chiese oggi richiede.
Ben sapendo che non si rimane cristiani se non si prende casa concretamente in un luogo preciso, le nostre parrocchie e/o unità pastorali dovrebbero offrire ospitalità a chi cerca il senso, la forza, la speranza e l’amore autentico, così come Gesù ci ha offerto.
E chi aderisce a Lui può trovare in ogni parrocchia una casa in cui abitare per sempre e continuare a vivere come “concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, e avendo come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù” (Ef 2, 19-20).
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