L’importanza della cooperazione, dell’apertura e dell’inclusione

Ci troviamo ormai a pochi giorni dall’inizio del 44° Convegno nazionale delle Caritas diocesane, che sarà ospitato a Grado, non mancando di far vivere ai numerosi partecipanti anche il “senso” del confine con una tappa a Gorizia.
“Confini, zone di contatto e non di separazione” – questo il tema scelto – aprirà i battenti il prossimo 8 aprile: molte sono le chiavi di lettura che la parola “confine” può dare, ma si sente oggi la necessità di fornire delle prospettive, più che delle analisi sul passato.
Abbiamo raggiunto don Marco Pagniello, direttore di Caritas Italiana, e insieme a lui ci siamo “addentrati” all’interno della tematica del Convegno, cercando di comprendere anche cosa i numerosi partecipanti potranno “respirare” e portare con sé, una volta conclusa l’esperienza su questo confine-non confine.

Ormai è partito il conto alla rovescia per quello che sarà il 44° Convegno nazionale delle Caritas diocesane. Cosa rappresenta per le Caritas italiane questo momento annuale? Quale la sua importanza, non solo come momento di incontro?

Il Convegno nazionale delle Caritas diocesane è un’importante opportunità di confronto, condivisione e crescita comunitaria. Costituisce, anzitutto, un’occasione per i delegati delle Caritas diocesane, provenienti da tutta Italia, di riunirsi e condividere le loro esperienze, sfide e buone pratiche.
Questo scambio reciproco di conoscenze e idee è essenziale per favorire una maggiore collaborazione e sinergia tra le varie realtà territoriali.
Inoltre, il convegno rappresenta un momento privilegiato per mettere al centro tematiche che aiutano a leggere l’attualità e acquisire strumenti per meglio interpretare l’impegno quotidiano. Si tratta di incontri che consentono alle Caritas di adattarsi e rispondere in modo efficace alle sfide sempre mutevoli del contesto sociale, economico e culturale.
Attraverso la discussione di nuove prospettive e l’identificazione di aree di intervento prioritario, il convegno aiuta le Caritas a sviluppare strategie più efficaci per il loro lavoro sul campo e supportare l’animazione delle rispettive comunità.

I confini non sono un tema nuovo per i Convegni di Caritas Italiana. Come si inserisce quindi questo nuovo appuntamento, in continuità con i precedenti? Cosa li unisce ma al contempo quali nuovi aspetti potranno trovare i numerosi partecipanti?

La centralità della periferia – binomio apparentemente contraddittorio – è stata il focus del nostro ultimo Convegno nazionale, con un invito a pensare la periferia come sinonimo di margine, una marginalità intesa sotto vari punti di vista: reddito, occasioni professionali, opportunità di sviluppo, livello di istruzione, accesso ai servizi sanitari. Ma anche come luogo di nuove opportunità e di riscatto e di crescita per l’intera comunità.
Ne è scaturita una visione dinamica della realtà, un invito a guardare il mondo dal bordo, modificando o convertendo la mentalità sociale, economica, culturale che genera scarti ed esclusione e allarga la forbice tra classi sociali, tra paesi ricchi e poveri. In un mondo sempre più interconnesso, ma in cui aumentano povertà, disuguaglianze, emergenze e guerre.
Anche il brano biblico scelto, quello delle Querce di Mamre, “Non passare oltre senza fermarti” (Genesi 18,1-8), vuole essere sprone perché ci interroghiamo sui nostri punti di contatto o di scarto con persone o situazioni sconosciute che ci troviamo ad incontrare o a vivere spesso in modo inatteso.

Questo sarà il primo convegno Caritas ospitato in Friuli Venezia Giulia. Quali le attese? Cosa immaginate o sperate che i partecipanti portino a casa dall’esperienza vissuta su questi luoghi?

Il primo convegno Caritas ospitato in Friuli Venezia Giulia rappresenta un’opportunità unica per i partecipanti di vivere un’esperienza in una realtà caratterizzata dalla complessità dei confini tra Stati e dalla diversità linguistica e culturale.
Gran parte dei volontari e degli operatori delle Caritas diocesane potrebbero non avere mai vissuto direttamente questa dimensione e l’incontro nella diocesi di Gorizia può generare una consapevolezza rinnovata anche in riferimento ai confini che possono esistere tra persone, gruppi, territori, contesti diversi, ovunque ci si trovi.
Ciò che ci si auspica che i partecipanti portino a casa da questa esperienza è una nuova prospettiva sulla natura dei confini stessi che non dovrebbero essere visti solo come barriere fisiche o culturali, ma come luoghi di incontro e di scambio.
Questo territorio accoglie i migranti provenienti dalla rotta balcanica, la via che ha condotto e conduce migliaia di persone a cercare rifugio in Europa.
Anche per questa ragione, è storicamente crocevia di culture, tradizioni, lingue, rappresenta un terreno fertile per questa nostra riflessione. Si spera che i partecipanti possano cogliere lo stile per superare le diversità che possono allontanarci dagli altri e invece abbracciare l’opportunità di incontrare e comprendere nuove realtà.
Il Convegno offre una piattaforma per coltivare questa consapevolezza e per incoraggiare un atteggiamento di apertura e inclusione, non solo nel contesto della Caritas, ma anche nella vita quotidiana di ciascun partecipante. Speriamo che al termine dell’esperienza i partecipanti portino con sé un nuovo punto di vista sulla realtà che sceglie di abitare le differenze per costruire ponti di fraternità.

Proprio in riferimento a queste terre, lo scorso dicembre Gorizia ha ospitato la Marcia per la Pace, ora il Convegno Caritas a Grado/Gorizia, in luglio Trieste ospiterà le Settimane Sociali. In che modo quindi queste terre, che a lungo hanno vissuto e conosciuto il confine, possono essere testimoni e farsi portavoce di pace?

Sono tutti eventi che incarnano l’importanza della cooperazione, dell’apertura e dell’inclusione che non solo mettono in luce la ricchezza della diversità culturale presente in queste terre, ma anche la volontà di costruire percorsi di corresponsabilità.
Nova Gorica e Gorizia, Capitale europea della Cultura 2025, un tempo divise da conflitti e confini, oggi sono legate da un vincolo di amicizia e comune impegno verso obiettivi comuni.
Anche Trieste è una città di confine, protesa verso l’Europa e, in particolare, aperta ad Est. La storica contaminazione di culture e tradizioni, accanto alla presenza di tante Confessioni cristiane e religioni diverse, la rende espressione simbolica del confine che non separa, ma unisce.
In questa cornice, la Chiesa sceglie di fare la propria parte, di cogliere le sfumature che arricchiscono questi luoghi per generare cammini rinnovati, proposte di percorso per i singoli cristiani e per le nostre comunità. È anche a partire da queste scelte che si realizza la promozione della cultura della pace e dell’incontro.
La Settimana sociale dei cattolici, il Convegno delle Caritas d’Italia, vissuti in questo territorio, mostrano la volontà di comprendere e accogliere il sogno di pace, talvolta tradito, anzitutto dell’Europa e del mondo e di promuovere la partecipazione come esigenza della fede battesimale: è solo riconoscendo l’importanza di fare la propria parte, di vivere la corresponsabilità, che è possibile immaginare comunità aperte, inclusive, solidali.

Quali sono in questo momento le urgenze di Caritas Italiana, che poi si diramano su tutto il territorio nazionale?

La nostra priorità è sempre provare, come ha ricordato Papa Francesco ai partecipanti al convegno delle Caritas diocesane d’Italia (21 aprile 2016), ad “essere stimolo e anima perché la comunità tutta cresca nella carità e sappia trovare strade sempre nuove per farsi vicina ai più poveri, capace di leggere e affrontare le situazioni che opprimono milioni di fratelli in Italia, in Europa, nel mondo”.
È a partire da questa prospettiva che ci avviciniamo alle fragilità del nostro tempo, favorendo l’accoglienza diffusa delle persone, promuovendo la solidarietà tra famiglie, sostenendo quelle forme di emarginazione che, talvolta, si rischia di non vedere.
Si pensi, per esempio, ai working poor che rappresentano un esercito silenzioso di persone che, pur svolgendo un’attività lavorativa, non riesce a garantire a sé e alle proprie famiglie una vita dignitosa. Per contrastare questa piaga, Caritas Italiana invoca misure concrete, in grado di tutelare i lavoratori e di assicurare dignità e giustizia, ma è importante anche sollecitare la comunità a prendersi cura di coloro che vivono momenti di fatica, per non cedere il passo all’indifferenza.
Inoltre, viviamo in un’epoca di interconnessioni profonde, dove mondi apparentemente distanti si legano in un’inestricabile rete di cause ed effetti. Vista da questa prospettiva, la povertà non è un fenomeno circoscritto, ma si manifesta in forme nuove e complesse, intrecciandosi con disuguaglianze, migrazioni, cambiamenti climatici e crisi economiche.
Ampliando lo sguardo a quanto accade sul piano globale, come la grave crisi umanitaria in Etiopia e in Sudan, il conflitto in Terra Santa, in Ucraina e altre emergenze, è necessario, solo per fare un esempio, immaginare un sistema di accoglienza dignitoso e per l’integrazione dei migranti, che sia capace di rispettare le persone e i loro diritti.
L’implementazione di politiche migratorie resta una sfida che non può essere ignorata o rimandata. È necessario un impegno comune per costruire un paese più giusto e solidale. Un paese che non lascia indietro nessuno, che valorizza il lavoro e che accoglie con dignità chi cerca un futuro migliore.

Siamo nel cammino sinodale della Chiesa. Quale ruolo è chiamata a rivestire Caritas in questo percorso?

Il tempo del Sinodo ci aiuta ad essere sempre più consapevoli che l’umanità è una sola e ci spinge quindi a uscire verso tutte le periferie, a raggiungere e comprendere tutti, oltre ogni confine.
In questa prospettiva anche il limite puramente geografico può diventare una via aperta ad altri spazi, ad altri luoghi, ad altre modalità di essere e di vivere.
In questo percorso, le Caritas in Italia possono incoraggiare un necessario cambio di paradigma, sostenendo la necessità di ripensare le nostre strutture a partire dagli ultimi. Significa, in altre parole, scegliere i poveri come criterio di progettazione e verifica dell’azione sia pastorale che sociale. Tutto questo perché, come scritto da Papa Francesco in Evangelii Gaudium (198): “Per la Chiesa l’opzione per i poveri è una categoria teologica prima che culturale, sociologica, politica o filosofica”. Si tratta, dunque, di scegliere di camminare con i poveri e da lì partire per facilitare la condivisione e l’edificazione della comunità. Le nostre comunità ecclesiali e i poveri sono e restano i destinatari privilegiati della nostra azione, tuttavia, la prospettiva da assumere in maniera sempre più consapevole è quella di una animazione/educazione inclusive, ricordando ancora una volta le parole di Papa Francesco, che ci ha esortato a cercare incessantemente percorsi e proposte che siano “a lunga scadenza, senza l’ossessione dei risultati immediati”, volti ad “iniziare processi” più che a “possedere spazi”.

a cura di Selina Trevisan

(foto Sergio Marini)