“Ma se non ci fossero più i confini vivremmo meglio?”

Oltre cinquecento i partecipanti al 44esimo Convegno Caritas Italiana: “Confini. Zone di contatto non di separazione”, questo il titolo dell’incontro ospitato al PalaCongressi dell’Isola del Sole dall’8 all’11 aprile. I delegati delle 218 Caritas diocesane hanno dialogato proprio sul tema dell’incontro e dello scambio in una terra che ha sofferto le divisioni e le difficoltà di essere a cavallo tra lingue, culture e tradizioni.

Ripartendo da quanto emerso dal Convegno dello scorso anno a Salerno e guardando al Giubileo del 2025, le tematiche prese in oggetto riflettono insieme sul tema dei “confini” alla luce delle “tre vie” consegnate loro da papa Francesco in occasione del 50° dell’istituzione di Caritas Italiana (1° luglio 1971): la via degli ultimi; la via del Vangelo; la via della creatività.

Il “confine” di questo 44° Convegno è stato pensato non come la linea che stabilisce un dentro e un fuori, ma come una porta, che permette di uscire e di entrare, che si può però anche chiudere e bloccare. Proprio il confine segna il punto di contatto tra centro e periferia: può essere o diventare luogo di incontro e di annuncio o elemento che crea distanza ed esclusione; dipende da come si usa la porta.

Ad avviare i lavori i saluti, partendo da quello del governatore Massimiliano Fedriga che ha rimarcato «L’importante e preziosa attività svolta dalla Caritas in Italia con l’assistenza ai più bisognosi in tutto il territorio nazionale». Un’assenza, quella del governatore, che non è passata inosservata al direttore di Caritas Italiana, don Marco Pagniello, che ha voluto rimarcarla nei suoi saluti iniziali prima di augurare buon lavoro ai convegnisti: “Dobbiamo tradurre nei cammini diocesani quanto verrà raccontato e discusso nella sede del Convegno nazionale”, così Pagniello.

Cornice principale dell’evento la città di Grado, nella quale “c’è uno spiccato senso religioso che è annodato da un profondo culto mariano, rafforzato dall’opera continua e costante della parrocchia e dell’arciprete. La Grado di ieri, da Aquileia, da cui si traggono le origini, fino alla madre di Venezia. Ma c’è anche una Grado di oggi, che nasce dal 1797 quando diventa parte del Regno d’Austria e, dal 1892, viene scoperta come luogo di balneazione ma anche di cura. Una realtà che prosegue ancor oggi con una vocazione turistica e che, di inverno, si riscopre paese unito dalle tradizioni, dalla religione e da un forte associazionismo”, ha ribadito il commissario Augusto Viola.

Tante le sfide del presente, “sia come cittadini che come credenti: dobbiamo partire dagli ultimi, custodire lo stile del Vangelo e valorizzare la creatività, fare proprie queste parole di Papa Francesco all’interno di un convegno che parla di confini e che deve andare oltre l’istituzionalità”, così il presidente della Conferenza Episcopale del Triveneto, il patriarca Francesco Moraglia. “La Chiesa tutta ha bisogno di riappropriarsi del dna della Caritas: nella nostra società siamo chiamati a indicare che c’è una giustizia ma anche qualcosa che va al di là delle leggi che vanno osservate ma, se è il caso, anche criticate, che vanno accolte, vissute con creatività”.

Secondo Moraglia “quanto è importante è il criterio della sussidiarietà, applicato assieme a quella solidarietà e a quella giustizia per la vita delle nostre comunità. È importante che la Caritas tenga il suo tratto distintivo di ‘caritas’ e che faccia il possibile affinché l’intera comunità ecclesiale cresca nell’essere caritas, saper dimorare e abitare in quell’amore sempre necessario che proviene da Dio ma che ha anche bisogno di essere organizzato in gesti, ha bisogno di competente, ha bisogno di passare a generazioni nuove”. In tutto ciò, ha concluso Moraglia, “la Chiesa può essere un soggetto tra altri soggetti che ha qualcosa di peculiare da consegnare al nostro tempo”.

È tornato sul tema del Confine e del complesso territorio del Goriziano l’arcivescovo metropolita di Gorizia, monsignor Carlo Roberto Maria Redaelli che ha rimarcato la necessità di “guardare agli ultimi. Le varie lingue che noi parliamo nel nostro territorio parlano di un confine, linguistico, culturale, di un terra ferita dai totalitarismi che hanno scavato in queste menti e in questi confini. Dopo decenni abbiamo ancora in parte questi confini. Parlare di confini per noi è un tema necessario, anche fisicamente perché in questi mesi, il nostro confine è tornato in auge da quanto è stato sospeso il trattato di Schengen”.

Un confine, dunque, che torna reale e lo è “soprattutto per i migranti che di notte attraversano la rotta balcanica”. E poi una provocazione: “Se non ci fossero più i confini, vivremmo meglio? No, non avere i confini vorrebbe dire essere più poveri culturalmente, carenti di altre visioni e incapaci di capire la bellezza della diversità”, così Redaelli. “I confini danno la possibilità di comprendere meglio la realtà e, paradossalmente, anche tra i quattro Vangeli ci sono dei confini che rendono il nostro approccio al mistero di Cristo meno povero e più vero”. Infine, una visione anche all’ente Caritas: “A volte ci sono confini tra Caritas e altre pastorali, con proposte e iniziative semplicemente calate sulle parrocchie. È necessario guardare, però, e lavorare alle altre iniziative che aiutano e funzionano in un tema di coordinamento e condivisione”.

La preghiera iniziale del Convegno è stata presieduta dal Patriarca di Venezia e sostenuta dal canto del Coro diocesano diretto da don Francesco Fragiacomo. Il primo intervento tematico è stato “Andare oltre confine. La centralità della frontiera nel contesto globale” a cura del gesuita Padre Luciano Larivera, direttore del Centro culturale Veritas di Trieste. A seguire si è parlato di “Umanità che si ferma e disumanità che passa oltre. Lettura cristiana del confine tra linea vitale e barriera mortale” con don Matteo Pasinato, docente di Teologia morale alla Facoltà Teologica del Triveneto.

Trattando temi complessi e affatto semplici da discernere, padre Larivera ha descritto numerose realtà di confini, regionali, nazionali, internazionali e anche personali. “Quanto spazio dare alle autorità locali e alla cooperazione politica, sociale economica transfrontaliera? Perché confini pensati per la sicurezza (contro le invasioni e l’ingresso di terroristi, armi, droghe, pandemie, migranti irregolari) possono distruggere l’economia e la socialità delle comunità transfrontaliere”, così padre Luciano.

“Considerate come continuano ad essere sospesi, di sei mesi in sei mesi, gli accordi di Schengen tra Italia e Slovenia, e soprattutto tra Francia e Italia, tra i quali vige il Trattato del Quirinale del 2021, che dichiara la supremazia delle autorità nazionali centrali. E così dall’«Europa senza confini, dello spazio comune e delle Regioni», per cui ai confini interni non schieriamo più eserciti e armamenti, si ritorna ai controlli alla frontiere, per impedire le «migrazioni secondarie». Dall’integrazione europea regrediamo se torniamo ai «confini nazionali», con il rischio di disintegrazione dell’Unione. Tuttavia, il Trattato del Quirinale riconosce il «bacino di vita transfrontaliero» ed apre alla programmazione territoriale integrata. Come vedete: le frontiere quindi sono spazi centrali, essenziali per riflettere sulla salute dell’integrazione europea anche politica”.

“Il limite diventa umanamente importante per la vita cristiana tanto che va letto, così come Pietro, in Atti 10, ricorda a Cornelio di essere un uomo. Pietro lo verbalizza e il nostro modo per verbalizzare il nostro limite è la preghiera. Pietro ha sentito il proprio limite e lo ha reso proprio. È inutile che andiamo agli altri senza capire il nostro limite che ci caratterizza. Il secondo modo di capirlo – così don Pasinato – è verbalizzarlo, renderlo verbo, capirlo e interiorizzarlo”.

Per Pasinato la conclusione è la visione che “il cristiano non ce l’ha con i confini, è quello che si muove tra i confini la vera inquietudine cristiana. Nel tempo della Pasqua riviviamo il passaggio più impensabile, il movimento inaudito e imprevedibile tra due confini abissali: la morte e la vita. La fede ci fa credere questo passaggio, la speranza ci fa attendere ma solo la carità ci fa vivere già adesso la vita dentro alla mortalità che è la nostra condizione umana fondamentale. La fede crede e la speranza aspetta, solo la carità è capace di anticipare, cioè trascinare dentro al confine della nostra storia umana la forza del Risorto”, ha concluso Pasinato.

Ivan Bianchi