Due diocesi unite nella collaborazione

Negli scorsi giorni – in occasione del conferimento dell’Onorificenza di Cavaliere dell’Ordine al Merito delle Palme Accademiche del Burkina Faso alla missionaria laica Ivana Cossar – è stato ospite della nostra Diocesi monsignor Prosper Bonaventure Ky, vescovo della Diocesi Di Dédougou. Abbiamo colto la sua presenza per dialogare con lui su alcune delle tematiche che, sempre più da vicino, coinvolgeranno la Chiesa nei prossimi mesi: Sinodo e Giubileo.

Monsignor Ky, il conferimento dell’onorificenza a Ivana Cossar è un momento importante, che segna ancora una volta l’unione tra le nostre due Diocesi. Che valore ha questa collaborazione? Che apporto il servizio messo in atto in tutti questi anni?

Innanzitutto desidero cogliere l’occasione per salutare e ringraziare ancora una volta l’Arcidiocesi di Gorizia per darmi l’opportunità di parlare della relazione fruttuosa che c’è tra lei e la nostra Diocesi di Dédougou, più ampiamente tra la Chiesa del Burkina Faso e quella italiana, tramite la Chiesa goriziana.
Ivana, in tutti questi decenni, ha lavorato tanto, instancabilmente nel nostro Paese, in particolar modo nella nostra Diocesi e in quella di Nouna. Ivana ha proseguito il suo lavoro per tutti questi anni, ha dedicato tutta la sua vita alla sua presenza in Africa.
Il suo lavoro è stato molto importante, perché ha coinvolto in particolare gli adulti che non avevano potuto frequentare la scuola, puntando alla loro alfabetizzazione.
Si è poi impegnata molto nell’educazione e formazione delle donne, per la loro emancipazione, e per la scuola in senso più generale: grazie ad Ivana infatti abbiamo potuto avviare tante strutture educative, classi, attivare borse di studio per i giovani… Ancora oggi, tramite il suo operato, prosegue la collaborazione tra le due Diocesi, continua ad aiutare e a far sì che questo impegno educativo possa sempre proseguire.
Arrivando a Gorizia ho inoltre osservato come questa Chiesa sia aperta alla formazione dei sacerdoti stranieri, sostenendoli nel loro percorso di studi; ne ho visti diversi e penso che questo sia molto importante per le nostre Diocesi: abbiamo certo molti sacerdoti ma sono tutti molto giovani e hanno bisogno di formazione complementare dopo il Seminario. Offrire loro quest’opportunità è dare a queste Chiese la possibilità di avere persone ben preparate per il lavoro nella Chiesa stessa.
Ringrazio quindi la Chiesa di Gorizia per quello che è stato fatto e per il futuro; penso che potremo sempre avere questo legame che, anche se non vede sempre una presenza fisica, vede un rapporto di collaborazione e preghiera, affinché il Vangelo possa essere sempre predicato.

Stiamo andando verso la conclusione del Sinodo, un percorso che chiama tutta la Chiesa a guardarsi e a riflettere. Quali le attese, anche dal punto di vista della Chiesa del vostro Paese? Cosa spera potrà emergere?

Penso che questo Sinodo sia un momento di grazia per tutta la Chiesa, perché quando c’è concertazione, con incontri che danno la parola a tutti, si vive un momento importante per andare avanti e farlo realmente insieme.
La Chiesa è una sola e dobbiamo camminare uniti.
Quindi, quello che per me è rilevante e che aspettano anche i fedeli, è proprio questa collaborazione: per diverso tempo abbiamo avuto una Chiesa molto “gerarchica”, con i sacerdoti in “posizione avanzata” e i fedeli laici ad aspettare delle direttive, senza poter dire molto; ora invece, con questo nuovo modo di operare, credo che i laici potranno portare e dare molto di più a questa Chiesa, portando anche all’interno della società i valori cristiani.
Quello che osservo nella mia Diocesi è che i laici, abituati per molto tempo a ricevere appunto delle “direttive” quasi fossero ordini, ora quando sono spronati a “venire avanti”, si trovano un po’ spaesati e non sanno da che parte cominciare. Ci vuole quindi un’educazione, una formazione, affinché possano prendere il loro posto nella Chiesa e nella sua direzione.
L’augurio è proprio che questo Sinodo ci permetta di avere un modo diverso di fare Pastorale e di essere Chiesa.

Il prossimo anno ci attende anche il Giubileo, che si svolgerà in un momento molto complesso per il mondo nella sua interezza. Come si sta preparando la sua Chiesa a vivere questo momento? Quale messaggio spera possa essere lanciato nel corso dell’Anno Santo?

Anche il Giubileo è sempre un momento di grazia e va rimarcato questo appuntamento con celebrazioni.
Per fare veramente Giubileo bisogna innanzitutto ricordarsi del passato, vedere come si vive ora e fare una proiezione per il futuro.
Guardando quindi a com’è stata la Chiesa, come abbiamo vissuto, rendere omaggio a tutti quelli che sono stati prima di noi, che hanno portato la Chiesa dov’è ora e che hanno vissuto il Vangelo affinché anche noi oggi possiamo riceverlo.
Questo momento di grazia è per noi quindi anche un’occasione per guardare al nostro operato odierno.
Credo che la Chiesa debba essere sempre profeta, per prevedere, per dire quello che è il meglio per l’uomo; credo sia il suo dovere.
Ora vediamo tante guerre nel mondo e la Chiesa deve essere in questo un segno: un segno di pace, un segno di riconciliazione, un segno di amore nella Parola di Gesù, che lui ci ha insegnato e ci ha portato dal Padre. Se viviamo veramente questo Amore, esso sarà un segno e forse anche una chiamata al mondo per essere protagonista nella ricerca della pace. La prima cosa che possiamo e dobbiamo fare, è la preghiera per la pace e per la conversione dei cuori.

Parando proprio di tensioni e conflitti, il Burkina Faso negli ultimi anni ha conosciuto la piaga del terrorismo. Qual è ora la situazione socio – politica nel Paese?

Da 10 anni circa il Burkina Faso conosce il fenomeno del terrorismo, iniziato nel nord e che successivamente ha guadagnato sostanzialmente tutto il Paese. Nella mia Diocesi questi ultimi anni sono stati molto duri, perché ci sono stati veramente tanti, tanti attacchi.
Oggi però, dopo il cambiamento a livello politico avvenuto un anno fa, le nuove autorità si stanno impegnando moltissimo a recuperare il Paese: ora molti villaggi sono ritornati sotto l’autorità statale e poco a poco le popolazioni che erano state scacciate via, stanno ritornando in patria.
Quello che il Governo sta facendo poi, non è solo il recupero del territorio ma anche una politica di sviluppo. Quello che, secondo le autorità, è prioritario, è dare alla popolazione le ricchezze del Paese e i mezzi di sviluppo.
Poco tempo fa, per esempio, il Governo ha acquistato molti materiali per l’agricoltura, finalizzati a facilitare il lavoro nei campi. Ha iniziato poi la costruzione di Ospedali e infrastrutture; tutti mezzi e strumenti che puntano a dare sollievo alla popolazione.
Ci sono sicuramente voci “fuori dal coro” ma la maggioranza della popolazione vede in questo modo di agire la possibilità di poter andare avanti e progredire.

a cura di Selina Trevisan