“Vangelo secondo Maria”: libertà o predestinazione?

Dal 23 maggio è possibile vedere al cinema “Vangelo secondo Maria”, il film di Paolo Zucca basato sull’omonimo romanzo scritto da Barbara Alberti nel 1979. Alberti, che è anche sceneggiatrice del film, nel suo libro denuncia come Maria, “pur essendo la madre di Dio, nei Vangeli non abbia facoltà di parola: è subalterna e negletta, relegata nel ruolo di immacolata fattrice per volontà divina”. La Madonna, presentata come una ragazza assetata di sapienza che sogna di scappare di casa vestita da maschio per conoscere il mondo, da femminista ribelle ante litteram, decide di ribellarsi al ruolo impostole da Dio e dalla cultura patriarcale del tempo, arrivando persino ad abortire Gesù. Questo, tuttavia, accade nel romanzo; il film infatti non arriva a questo estremo ed elimina tale gesto, che più che blasfemo sembra riflettere lo stile provocatorio e contestatore degli anni ’70.
La volontà dell’autrice di esplorare gli eventi taciuti dai Vangeli è evidente, ma non è una novità. Fin dai primi secoli, i cristiani hanno cercato di approfondire – finendo inevitabilmente per inventare cose assurde – le troppo sobrie narrazioni evangeliche che riguardano l’infanzia di Gesù, la vita di Maria e di Giuseppe o dei loro genitori. Dai Vangeli apocrifi a “Il codice Da Vinci” di Dan Brown, la solfa è sempre la stessa: la forza del Vangelo e il suo kèrygma non vengono percepiti e, quindi, non bastano. Si ricorre ai complotti di società segrete, si inventano trasgressioni tra Gesù e la Maddalena, si immaginano Marie ribelli che dicono di no a Dio. Insomma, il risultato di queste operazioni è spesso grottesco, poiché oltre a drammatizzare delle sottolineature inesistenti negli eventi narrati dagli evangelisti, si dimostra chiaramente di leggere questi testi in maniera anacronistica e ideologica, senza gli strumenti necessari a cogliere il valore teologico (o esistenziale o religioso, che dir si voglia) che questi testi hanno.
Nella pellicola, la sete di conoscenza di Maria la porta in conflitto con la cultura fortemente maschilista del tempo e con Dio stesso. Ma di che Dio si tratta? Il film presenta chiaramente un dio inaccessibile e nemico della libertà umana, un burattinaio scorbutico. Quello di Alberti e Zucca è insomma un dio fatale e di stampo greco, lontano anni luce dal Dio della rivelazione ebraico-cristiana.
Il film, dunque, solleva la domanda: “E se Maria avesse detto no alla sua gravidanza, che cosa sarebbe successo?” e la colloca nella cornice dei Vangeli, ridotti a meri strumenti narrativi. Ma qual è lo scopo di tale operazione, di utilizzare cioè il materiale evangelico per esplorare e/o denunciare dei temi che non rientrano nell’orizzonte di interessi dei racconti stessi? I Vangeli infatti non sono dei trattati sul libero arbitrio e di certo non promuovono la cultura fortemente patriarcale che sia il film che il libro accusano.
L’intento di tale operazione sembra essere solo un pretesto provocatorio per esplorare il conflitto tra predestinazione e libertà, tra volontà divina e responsabilità individuale. Peccato però che, stando alla soluzione del film, tale conflitto non venga per niente risolto.
La soluzione proposta di un amore equo e rispettoso tra uomo e donna si presenta come un semplice anestetizzante contro la predestinazione. Più che un vangelo, questo pare un messaggio disperato: l’amore tra Maria e Giuseppe, l’amore tra uomo e donna, diventa un modo per sopravvivere e “andare avanti” in un mondo governato da divinità cieche e distanti e in preda a una religiosità bigotta e ignorante.
In conclusione, “Vangelo secondo Maria” si presenta come un tentativo di rilettura sovversiva della figura di Maria che, pur partendo da intenzioni provocatorie, finisce per contraddirsi. Il film, dichiaratamente contro l’ignoranza sistematica promossa dalla Legge e dalla cultura ebraiche e promotore della libertà femminile e umana di fronte ai decreti divini, ricade in stereotipi stanchi e abusati, dimostrando un approccio ideologico e superficiale non solo ai testi sacri, ma anche al femminismo italiano. Basterebbe leggere il successo editoriale “Ave Mary” (2011) di Michela Murgia (solo per citare la più conosciuta!) per rendersi conto di quanto il femminismo abbia dialogato in maniera feconda proprio con gli studi biblici. La trasformazione della Sardegna del terzo millennio nella Palestina dell’anno zero funziona, ma perché è una citazione stilistica dell’intramontabile “Vangelo secondo Matteo” di Pasolini.
Nonostante il cambiamento del finale, che mitiga l’originale aborto deicida di Maria, la pellicola non riesce a offrire una nuova “buona notizia”, rimanendo intrappolata nelle stesse strutture che cerca di demolire. Maria e Giuseppe, infatti, alla fine del film si mettono in viaggio verso l’Egitto, proprio come prescrive il copione da cui volevano sottrarsi. Sono e rimangono personaggi maledetti, incapaci di sfuggire al tragico destino divino che si è abbattuto su di loro.
Tutto ciò non deve sorprendere più di tanto, perché il vero problema del film è questo: è uscito con quarantacinque anni di ritardo! C’è una buona notizia in questo film? Sì: ci fa vedere con chiarezza qual è il Dio terribile che, ancora oggi, circola nell’immaginario di molta gente e ci spinge, pertanto, a presentare con rinnovato vigore il vero Dio del Vangelo.

don Matteo e don Paolo

La locandina del film (Foto www.mymovies.it)