Al cuore della democrazia. Partecipare oltre i confini

La suggestiva cornice di Aquileia nella soleggiata mattina di sabato 15 giugno ha ospitato l’incontro dei delegati delle Caritas diocesane e dei partecipanti alla prossima Settimana Sociale dei Cattolici in Italia a Trieste (3-7 luglio 2024), provenienti dalle diocesi di tutto il Triveneto.
Circa 70 le persone che hanno accolto l’invito ad essere presenti a questa iniziativa, nata come evento locale di collegamento tra il Convegno nazionale Caritas dello scorso aprile a Grado, incentrato sui vari significati del “confine”, e la Settimana Sociale che si svolgerà nel capoluogo giuliano e che andrà ad approfondire il binomio “democrazia e partecipazione”.
Alla luce di queste premesse si comprende meglio il titolo dell’evento del 15 giugno: “Al cuore della democrazia. Partecipare oltre i confini”, che già in sé esplicita il desiderio di unire insieme le tematiche e i frutti del Convegno delle Caritas e quelli attesi dalla Settimana Sociale di Trieste.
L’appuntamento è iniziato presso la basilica, dove i delegati si sono ritrovati per un momento di preghiera presieduta da mons. Carlo Redaelli, arcivescovo di Gorizia, e mons. Michele Tomasi, vescovo di Treviso, responsabili delle Commissioni trivenete rispettivamente di Caritas e Pastorale sociale.
Dopo l’ascolto della Parola di Dio, commentata da fr. Roberto Benvenuto, direttore della pastorale sociale di Gorizia, i lavori della mattinata sono proseguiti poi presso l’hotel Patriarchi, a due passi dalla basilica, con un lungo e partecipato confronto tra ospiti e delegati presenti, introdotti da mons. Carlo Redaelli, che ha messo in luce la valenza del confine non solo come diaframma di separazione, ma anche nella sua potenzialità positiva di luogo di incontro e valorizzazione fra identità diverse.

La dignità degli esclusi
A proporre il proprio punto di vista sono stati, poi, Massimo Pallottino di Caritas Italiana e Daniela Palladinetti del Comitato organizzatore della Settimana Sociale di Trieste.
Intervenendo sul tema “La dignità degli esclusi: oltre i confini della discriminazione”, Massimo Pallottino ha disegnato i contorni del cambiamento d’epoca che stiamo vivendo – veloce, sistemico, che parte dalle periferie – per ragionare sul tema della povertà e dei poveri, i quali a loro volta rappresentano un appello al cambiamento degli stili di vita di tutti. Spesso, infatti, la povertà è pensata come confine, come separazione, come invitabile realtà che compone il “paesaggio sociale”. Di fronte alla rassegnazione, siamo chiamati invece a reagire, a ricercare le cause stesse della povertà, per intervenire in modo radicale e comunitario: si tratta cioè di compiere delle scelte, ad ogni livello, chiamando in causa tanto la responsabilità personale quanto quella degli attori politici. Un compito della Chiesa – della Caritas ma non solo! – potrebbe essere oggi proprio questo: aiutare a cogliere le cause profonde della povertà per suscitare una risposta sistemica e condivisa, senza utopia ma anche senza rassegnazione.
Senza rassegnazione, certo, perché è la speranza ad animare la testimonianza dei credenti nella certezza che è Dio a guidare la storia verso il suo compimento. Ma anche senza utopia: è evidente infatti che oggi non è così facile accorgersi dei poveri e ascoltarne la voce.
A questo proposito Pallottino parlava di “meccanismi che impediscono di vedere i poveri”, mettendoci davanti agli occhi delle realtà contraddittorie, che vanno però colte in profondità.
Ascoltare davvero i poveri richiede la fatica di andare oltre la superficialità delle statistiche, per incontrare davvero le persone con le loro fatiche e cogliere le cause profonde della povertà.
Un ulteriore appello al cambiamento e al realismo è quello oggi rappresentato dall’emergenza climatica. Anche in questo caso occorre saper andare alle cause dei fenomeni per intervenire in modo sistemico e radicale. In questo senso, la prospettiva proposta da papa Francesco nella sua enciclica Laudato Si’ è interessante: sia per la sottolineatura sulla connessione fra “grido della terra e grido dei poveri” nella coesistenza di “un’unica crisi socio-ambientale” (cfr. LS 49 e 139), sia per la capacità di leggere in profondità il fenomeno, riconoscendone la causa fondamentale nel “paradigma tecnocratico” (cap. III). A conclusione del suo intervento, Pallottino ha delineato le caratteristiche di una partecipazione autentica, perché le azioni che compiamo possano essere davvero comunitarie e capaci di costruire il bene comune. Anzitutto è importante accettare il dissenso: il confronto porta sempre con sé la necessità di misurarsi con visioni e pensieri diversi, ma proprio per questo può essere arricchente. Creare partecipazione significa poi imparare a lasciare spazio agli altri, e quindi fare un passo indietro per rendere possibile questo spazio. Partecipare, infine, richiede inventiva e creatività, perciò anche capacità di accettazione degli errori.
Già solo queste prospettive di fondo mettono in evidenza che la prima forma di cambiamento per superare i confini delle discriminazioni è proprio quella di saper cambiare il proprio punto di vista, partendo dall’ascolto degli altri. Un compito questo che è responsabilità di tutti riscoprire, magari proprio valorizzando quei “corpi intermedi” – oggi spesso in crisi – che possono davvero diventare laboratori creativi di partecipazione, di mediazione, di coesione sociale, di profondità di pensiero, di ascolto e di composizione delle diversità. Luoghi, insomma, capaci di superare la segmentazione e favorire il senso di comunità.

Democrazia e partecipazione
Dal canto suo, Daniela Palladinetti, intervenuta sul tema “Democrazia e partecipazione: oltre i confini dell’indifferenza”, ha evidenziato come la partecipazione non sia soltanto un’aspirazione ma un vero e proprio pilastro della democrazia, la quale non è mai scontata ed ha anzi bisogno di essere praticata e attuata.
Del resto, il percorso preparatorio della Settimana Sociale di Trieste ha messo in rilievo la necessità di prendersi cura di spazi e luoghi di partecipazione, non circoscritti ai soli cattolici; spazi nei quali generare comunità vitali e nei quali comprendere il potere sempre più come “servizio”. Questo oggi si rende tanto più necessario a fronte delle già richiamate tentazioni dell’individualismo e dell’indifferenza, che in ambito politico possono assumere la forma della sfiducia nei confronti delle istituzioni o dell’astensionismo dal voto.
Se è vero che “non ci si può salvare da soli” (cfr. papa Francesco, Messaggio per la giornata della pace 2023), la politica diventa allora espressione di quella “carità” (cfr. Fratelli Tutti, n. 182) di cui abbiamo bisogno per riscoprirci come comunità.
Partecipare, tuttavia, non è solo accettazione passiva delle forme sociali così come sono costituite. Partecipare è anche poter dire una parola di “sapienza”, che cioè dia sapore nuovo alla vita comunitaria, mettendo in evidenza anche le esigenze della giustizia e dell’amore fraterno. Partecipare vuol dire pertanto superare il muro dell’indifferenza con una presenza “profetica”, capace di indignazione di fronte a ciò che contraddice la logica del Vangelo.
Come cristiani siamo quindi chiamati a valorizzare sì le differenze, ma anche a “fare la differenza” dentro il contesto sociale nel quale siamo inseriti: “Dobbiamo svegliarci e fare ciò che è in nostro potere fare” – ha commentato Palladinetti – cominciando dall’intessere relazioni di qualità, con una “partecipazione ad alta intensità”.
Proprio custodendo i legami e valorizzando le relazioni con le persone, scopriamo che i confini dati dalle categorie cadono: il povero è semplicemente una persona che, come tutte, vive situazioni di vulnerabilità. Una vulnerabilità che, a differenza della stigmatizzata povertà che sembra un marchio indelebile da addossare alle persone, può essere riconosciuta con i caratteri della transitorietà.
Inoltre, perché la partecipazione possa essere valorizzata e vissuta, la raccomandazione di Palladinetti è quella di “ripartire dai territori in cui le persone vivono”, superando lo stile delle “decisioni a tavolino calate dall’alto”, verso invece forme che responsabilizzino maggiormente ciascuno.
Infine, partecipare significa anche non fermarsi ai risultati dei grandi numeri, ma tessere una rete positiva a cominciare dalle relazioni più prossime: “Contare più che contarsi” diventa uno slogan che ben riassume il mandato che ci proietta verso Trieste, al cuore della democrazia, per vivere una tappa di rilancio di un percorso già iniziato. Sì, perché la Settimana Sociale non vuole essere un evento fine a sé stesso, ma l’avvio di processi nuovi, quotidiani e ordinari, capaci di far nascere dal basso un maggiore senso di comunità e di impegno per il bene comune.

Il paradigma della complessità
A concludere l’intensa mattinata di riflessioni, provocazioni e dibattito, è intervenuto quindi mons. Michele Tomasi, vescovo di Treviso e presidente della Commissione triveneta per la pastorale sociale che ha tracciato alcune linee di riflessione, come sintesi di quanto è emerso nella mattinata di lavoro, con lo sguardo rivolto anche alle aspettative sulla Settimana Sociale di Trieste.
In primo luogo “bisogna esserci, con un approccio di sistema, assumendo il paradigma della complessità”: fine di ogni illusione che annunciare il Vangelo sia facile! In effetti, non lo è mai stato, perché sempre ha chiesto di mettere in gioco la propria vita. Così è anche oggi, sfidati come siamo a non parcellizzare l’umano, né a sfumarlo fino a perderlo di vista.
Occorre insomma recuperare la visione di papa Francesco che, dai tempi del documento Evangelii Gaudium in poi, ha sempre sottolineato l’immagine del “poliedro” come idea guida per comprendere la complessità, ossia quella delle diverse identità in relazione sistemica fra loro. E proprio perché la relazione è un aspetto fondamentale per recuperare ciò che più è proprio dell’umanità, il modello di una partecipazione fatta di incontri e di lavoro d’insieme sarà uno dei fulcri anche della prossima Settimana Sociale.
Una seconda riflessione proposta da mons. Tomasi ha toccato il tema della scelta di fede: “La Parola di Dio e il suo ascolto è parte integrante di questo percorso che ci porta a Trieste e oltre; è l’orizzonte che ci accompagna in tutto il lavoro”, sottolineando la significatività dell’aver iniziato l’incontro nella basilica di Aquileia, in preghiera, lasciando che quella stessa preghiera ispirasse alcuni dei pensieri condivisi poi nella mattinata.
Anche la categoria del “bene comune” sarà centrale per Trieste. Ma occorrerà riuscire a trasformare questo tema in idee affascinanti e operative, capaci di parlare pure al di fuori dei confini delle nostre appartenenze ecclesiali: si tratta cioè di far nascere curiosità e idee anche in chi non parla di bene comune, perché possa partecipare alla sua costruzione. Proprio questa azione inclusiva – il “parlare a tutti” – diventa la premessa perché da Trieste nasca la consapevolezza che è necessario lavorare con “azioni collettive”, mettendo in circolo competenze e sensibilità: in questa direzione vanno peraltro i “laboratori della partecipazione”, i “villaggi delle buone pratiche” e le “piazze della democrazia” della Settimana Sociale, già citati da Palladinetti nel suo intervento.
Ancora un altro tema importante, emerso più volte nella mattinata: la cura delle fragilità, delle vulnerabilità, delle povertà. Infatti proprio la fragilità è spesso una “zona di confine” che rischia di separarci gli uni dagli altri. Qui la sfida è quella di riscoprire questo confine (in latino limes) come “soglia porosa” (in latino limen) che abilita alla relazione e alla vicinanza, fino a diventare accoglienza reciproca.
Del resto, proprio questa cura fraterna diventa oggi un valore da affermare, per creare momenti di sosta e di elaborazione dei significati del vivere, come antidoto alla vorticosa frenesia di un mondo in cui “non abbiamo più tempo”, accelerati come siamo verso le forme più spinte dell’efficientismo e della produttività.
Infine, mons. Tomasi ha ricordato che la Settimana Sociale di Trieste “sarà un incontro di tutta la Chiesa italiana per riscoprire il gusto di essere Chiesa e la gioia che nasce dallo stesso Vangelo che ci anima”. Da qui il desiderio che dopo Trieste ci si possa ritrovare – anche come Chiese del Triveneto – per riprendere questi e altri temi cruciali, con il coraggio di quella novità di approccio che stiamo già sperimentando. È così che l’annuncio del Vangelo potrà tornare ad essere “vino nuovo in otri nuovi”, sprigionando tutta la sua forza generativa. Crescere insieme, pensare insieme, proporre insieme: un bel programma pastorale che già in questa prima tappa di Aquileia ha entusiasmato e messo in cammino, con orizzonti a lunga gittata.