Antonio Fabris: 60 anni dedicati alla “cura” del tempo

Antonio Fabris celebra quest’anno un bellissimo traguardo: i 60 anni dal suo diploma di orologiaio. Un lavoro che ancora oggi esercita con passione, cura dei dettagli, minuziosa precisione nel suo laboratorio di via Marconi a Gorizia. Entrare nel suo “regno” è (permettetemi il gioco di parole) fare davvero un viaggio nel tempo. Esposti nelle vetrinette pezzi incredibili dalle più diverse epoche: preziosi orologi da caminetto dell’’800 accanto a sveglie digitali, orologi da taschino dei tempi passati accanto a più moderni orologi da polso meccanici degli anni ’60. E ancora rari orologi decorativi dalle forme più divertenti, come una gabbietta con, all’interno, un uccellino.
Abbiamo incontrato Antonio Fabris accompagnati dalle note del “Big Ben” londinese che, allo scadere di ogni quarto d’ora, rallegrava la stanza, proveniente dalla preziosa pendola esposta. Accanto a lui sua moglie Nevina che da molti anni lo accompagna nel suo lavoro, dapprima nel negozio di famiglia in via Crispi e appunto oggi nel laboratorio di via Marconi.

Signor Fabris, un bel traguardo i 60 anni di diploma da orologiaio! Come si è avvicinato al mondo dell’orologeria e chi sono stati i suoi “maestri”?

Sono un po’ “figlio d’arte”, mio padre aveva qui a Gorizia un negozio che trattava gioielleria argenteria e orologeria, e sin da piccolo mi sono sempre interessato proprio ai meccanismi dell’orologeria. Mia mamma mi raccontava che un giorno, quand’ero ancora molto piccolo, mi trovò nascosto sotto le lenzuola a giocare con delle molle d’orologio! Pertanto è sembrato fin da subito fossi interessato e orientato a questo mestiere. In effetti poi, quando è stato il momento di scegliere quale strada intraprendere, la strada mi ha portato a Milano dove ho studiato per tre anni presso l’Istituto Professionale di Stato per l’Industria e l’Artigianato “Cesare Correnti”, che racchiudeva diversi corsi e mestieri tra i quali anche quello d’orologiaio. Sono rimasto tre anni a Milano, uscendo dalla scuola con il massimo dei voti. Rientrato a casa, nel 1964, ho svolto qualche mese di apprendistato nel negozio di famiglia, per poi essere chiamato a svolgere il servizio militare, al tempo obbligatorio per 15 mesi (periodo nel quale però ho svolto anche qualche sistemazione agli orologi di alcuni sottufficiali e ufficiali!). Una volta rientrato a casa ho intrapreso il mestiere nel nostro negozio, la ditta Fabris Francesco, e non mi sono più fermato.

Un lavoro che immagino essere in continua evoluzione…

Sono sempre stato molto interessato all’evoluzione di questo mondo, infatti negli anni ho seguito diversi corsi di aggiornamento, tanto in Italia quanto all’estero, in Svizzera in particolare, perché nell’orologeria c’è stata un’evoluzione importante negli anni e desideravo tenermi aggiornato sui cambiamenti nelle modalità dei movimenti degli orologi. Negli anni ’60, ad esempio, imperava l’orologio meccanico, non esisteva l’elettronica tranne per qualche rarissimo caso. Verso la metà degli anni ’60 si è assistito ad un’evoluzione – e ho iniziato a seguirla -, prima con “l’orologio a diapason”, un rifacimento del vecchio Bulova americano, poi è arrivato il quarzo, portando tutte le sue novità: era preciso al massimo rispetto l’orologio meccanico, evolvendo poi ancora dai modelli più spessi a modelli che, anno dopo anno, hanno raggiunto lo spessore di qualche millimetro.
Oggigiorno le riparazioni, con le tecnologie asiatiche, consistono nel prendere un movimento nuovo e metterlo al posto di quello vecchio, senza quasi doverci mettere le mani, mentre quello meccanico è completamente diverso e questo mi porta a prediligere sempre l’orologeria “vecchia”, ovvero la pendoleria, da muro e da appoggio e gli orologi che hanno una loro storia, sui quali è bello “mettere le mani”.

Quali sono i pezzi ai quali e più legato o quelli che, nella sua esperienza, ritiene più particolari?

Uno dei pezzi ai quali sono più affezionato e che mi ricorda i tempi della scuola, è quello che, proprio durante il corso di studi, ho realizzato partendo da zero. Faceva parte del progetto del corso, ne ho realizzato ogni singola parte con lima e tornio.
Tra i pezzi “storici” c’è poi un orologio a forma di gabbietta con dentro un piccolo uccellino, un pezzo cui mia mamma era molto legata perché uno dei primi che avevano acquistato; è sempre stato nel vecchio negozio di via Crispi e si è raccomandata non andasse venduto o perso.

Qual è la clientela che oggi si rivolge ad un orologiaio?

Oggi la clientela è molto vasta, non ci sono solo le persone anziane che hanno bisogno di rimettere a posto qualche orologio d’un tempo ma anche molti giovani che spesso ricevono in eredità o ritrovano antichi orologi di famiglia e hanno desiderio di conservarli, metterli a posto e tenerli come ricordo. Tra questi ci sono orologi meccanici ma anche le “cipolle”, ovvero gli orologi da taschino.
C’è poi anche una fetta di collezionismo, che ricerca modelli un po’ particolari come ad esempio l’Omega che è stato portato dagli astronauti sulla Luna.

Una curiosità: oggi i ragazzi più giovani (la cosiddetta Generazione Alpha ma anche gli ultimi nati appartenenti alla precedente Generazione Z), non sanno più leggere l’ora in formato analogico. Da orologiaio, qual è il suo pensiero a riguardo?

Certamente è una perdita. Ormai anche i telefoni hanno l’orologio, oltretutto satellitare quindi preciso al millesimo. Non c’è più una ricerca dell’orologio da polso, i ragazzi, se lo indossano, spesso è solo per “immagine”; un nipote ormai non riceve più l’orologio per la cresima, riceve il cellulare. Son cambiati i tempi, ma è normale. Solo che l’aver perso, come in tante cose, la cognizione del tempo come veniva segnato una volta, è un impoverimento, perché se uno deve leggere l’orologio analogico, quello con le lancette, compie un processo mentale di calcolo e lettura che con l’orologio digitale non c’è, fornendo questo l’orario già scritto, “tradotto”.
C’è poi una perdita di quella che è stata l’evoluzione della lettura del tempo, partita addirittura con le clessidre, di cui abbiamo anche qui in laboratorio qualche esemplare, o le meridiane. Oggi magari tanti giovani non sanno nemmeno cosa siano. Sarebbe bello poter inserire anche questi argomenti all’interno dell’Educazione Civica.
È poi un po’ anche una perdita di “affezione” – ci suggerisce a proposito Nevina -: un tempo si era orgogliosi di poter passare un orologio da padre in figlio, da nonno a nipote; oggi, essendo spesso gli orologi molto meno di valore e più “espressi”, questo senso del tramandare qualcosa di unico è andato perdendosi.

Parlando proprio di questi concetti, com’è cambiato a vostro avviso il “senso del tempo”, la sua percezione nella nostra società?

Il senso del tempo è completamente diverso. Fino a qualche tempo fa non c’era infatti il “puro” pezzo per sapere l’ora ma anche il pezzo elegante, storico, bello da vedere, d’arredamento. Oggi, con il cambiamento dei tempi, diciamo che almeno l’80% di chi entra qui probabilmente non metterebbe mai una pendola in casa, perché suona di continuo, necessita di alta manutenzione e ha un costo notevole. Si è un po’ perso il senso dell’estetica dietro agli orologi, di vederci il bello, prediligendo piuttosto la praticità e l’economicità.
Oggi, rispetto ad un tempo – aggiunge quindi Nevina -, c’è meno ricerca soprattutto per quanto riguarda i dettagli. Ricordo ai tempi in cui lavoravamo nella gioielleria e argenteria i preziosi pezzi interamente lavorati e sbalzati a mano. È cambiata proprio la mentalità, il modo di approcciarsi agli oggetti che compongono l’arredamento della propria casa. Ma ogni cosa ha il suo tempo: il tempo muta, il tempo cancella, il tempo dimentica, il tempo fa spazio ad altro.

Che tempo è quindi per il mestiere dell’orologiaio?

Essendo oggi un lavoro di nicchia, ho clienti che arrivano anche da Trieste e da Udine, alla ricerca di qualcuno che appunto se ne intenda e sappia effettuare delle manutenzioni su pezzi antichi e di valore.
Ho poi un nipote che è anche lui orologiaio, anche lui ha studiato a Milano e si è specializzato in riparazione dei vecchi orologi che realizzava la Solari, quelli con gli sportellini girevoli per intenderci, che oggi non ripara nessuno (neanche la Solari, li affida direttamente a lui!). È un orologiaio “moderno”, tecnologico, realizza anche pezzi con la tecnica del 3D. È bello confrontarci, perché sono due modalità dello stesso lavoro ma che prosegue nel tempo, che si evolve e segue anche le richieste del mercato.
Sono un po’ due poli opposti – aggiunge Nevina -: il tempo del passato, con gli orologi meccanici, e il tempo di oggi; seguono l’evoluzione. A me piace un sacco vederli parlare e confrontarsi!

Infine anche Gorizia è cambiata nel tempo. In questi 60 come artigiano in città, come l’ha vista mutare?

Ci sono stati tanti cambiamenti. Abbiamo visto pian piano sparire quasi tutti i “negozi di prossimità”, quei piccoli negozietti che una volta si avevano sotto casa, con l’arrivo dei super e ipermercati. Questo ha portato anche ad un’evoluzione del commercio cittadino in sé: un tempo si andava dal singolo commerciante o artigiano, ora si trova direttamente tutto in un unico grande negozio. A parer mio non è un’evoluzione al 100% positiva; il miglioramento sta certamente nell’avere tutto a portata di mano, in un unico luogo senza doversi ulteriormente spostare. Dall’altro lato però questo ha eliminato tutta una fetta di piccoli commercianti e artigiani che prima animavano le città, che non sono riusciti a sopravvivere alle grandi catene commerciali.
Speriamo che Go!2025 porti qualche grossa novità, perché Gorizia è una città molto bella e che veramente merita qualcosa di più, merita di essere rivissuta e rianimata. Un tempo c’era grande alleanza, un forte legame, tra tutti i commercianti, ognuno con le sue specificità. Idem con la clientela, che si conosceva personalmente. Era una cosa bellissima che oggi sarebbe bello realizzare nuovamente; Go!2025 potrebbe porre proprio passi avanti in questa direzione.

a cura di Selina Trevisan