“Chiamati a essere alfabeti della società”

Lo ha detto chiaro, nel suo discorso introduttivo alla 50 edizione delle Settimane sociali dei cattolici in Italia, il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella: «Si è persino giunti ad affermare che siano opponibili tra loro valori come libertà e democrazia, con quest’ultima artatamente utilizzabile come limitazione della prima. Non è fuor di luogo, allora, chiedersi se vi sia, e quale, un’anima della democrazia. Alexis de Tocqueville affermava che una democrazia senz’anima è destinata a implodere, non per gli aspetti formali, naturalmente, bensì per i contenuti valoriali venuti meno».

Una domanda che ha accompagnato l’intero discorso di fronte a una folta platea di delegati, prelati, sacerdoti, tecnici del settore e operatori della comunicazione, radunati per l’avvio dei lavori al Generali Convention Center di Trieste.

«La democrazia non si esaurisce nelle sue norme di funzionamento, ferma restando, naturalmente, l’imprescindibilità della definizione e del rispetto delle “regole del gioco”. Perché – come ricordava Norberto Bobbio – le condizioni minime della democrazia sono esigenti: generalità ed eguaglianza del diritto di voto, la sua libertà, proposte alternative, ruolo insopprimibile delle assemblee elettive e, infine, non da ultimo, limiti alle decisioni della maggioranza, nel senso che non possano violare i diritti delle minoranze e impedire che queste possano, a loro volta, divenire maggioranza. È la pratica della democrazia che la rende viva, concreta, trasparente, capace di coinvolgere. Quali le ragioni del riferimento all’alito della libertà parlando di democrazia? Non è democrazia senza la tutela dei diritti fondamentali di libertà, che rappresentano quel che dà senso allo Stato di diritto e alla democrazia stessa».

Una pratica che anche i cattolici, nel loro, possono e devono lavorare per mantenere viva. Il tema centrale, “Al cuore della democrazia”, al centro della riflessione dell’intera settimana, rimanda al fatto che essa stessa «si invera ogni giorno nella vita delle persone e nel mutuo rispetto delle relazioni sociali, in condizioni storiche mutevoli, senza che questo possa indurre ad atteggiamenti remissivi circa la sua qualità. Si può pensare di contentarsi che una democrazia sia imperfetta? Di contentarsi di una democrazia a “bassa intensità”? Si può pensare di arrendersi, “pragmaticamente”, al crescere di un assenteismo dei cittadini dai temi della “cosa pubblica”? Può esistere una democrazia senza il consistente esercizio del ruolo degli elettori? Per porre mente alla defezione, diserzione, rinuncia intervenuta da parte dei cittadini in recenti tornate elettorali».

Un venir meno al voto che è stato ripreso anche dal Santo Padre, Papa Francesco, nel suo discorso di chiusura delle settimane. Tornando alle parole di Mattarella, questi ha ricorda come «occorre attenzione per evitare di commettere l’errore di confondere il parteggiare con il partecipare. Occorre, piuttosto, adoperarsi concretamente affinché ogni cittadino si trovi nelle condizioni di potere, appieno, prender parte alla vita della Repubblica. I diritti si inverano attraverso l’esercizio democratico. Se questo si attenua, si riduce la garanzia della loro effettiva vigenza».

«Al cuore della democrazia vi sono le persone, le relazioni e le comunità a cui esse danno vita, le espressioni civili, sociali, economiche che sono frutto della loro libertà, delle loro aspirazioni, della loro umanità: questo è il cardine della nostra Costituzione. La democrazia come forma di governo non basta a garantire in misura completa la tutela dei diritti e delle libertà: essa può essere distorta e violentata nella pretesa di beni superiori o di utilità comuni. Il Novecento ce lo ricorda e ammonisce.

«Il percorso democratico, avviato in Europa dopo la sconfitta del nazismo e del fascismo, ha permesso di rafforzare le Istituzioni dei Paesi membri e di ampliare la protezione dei diritti dei cittadini, dando vita a quella architrave di pace che è stata prima la Comunità europea e adesso è l’Unione. Una più efficace unità europea – più forte ed efficiente di quanto fin qui siamo stati capaci di realizzare – è oggi condizione di salvaguardia e di progresso dei nostri ordinamenti di libertà e di uguaglianza, di solidarietà e di pace», così il Presidente.

«Oggi dobbiamo rivolgere lo sguardo e l’attenzione a quanto avviene attorno a noi, nel mondo sempre più raccolto e interconnesso. Accanto al riproporsi di tentazioni neo-colonialistiche e neo-imperialistiche, nuovi mutamenti geopolitici sono sospinti anche dai ritmi di crescita di Stati-continente in precedenza meno sviluppati, da tensioni territoriali, etniche, religiose che, non di rado sfociano in guerre drammatiche, da andamenti demografici e giganteschi flussi migratori. Affrontare il disagio, il deficit democratico che si rischia, deve partire da qui. Dal fatto che, in termini ovviamente diversi, ogni volta si riparte dalla capacità di inverare il principio di eguaglianza, da cui trova origine una partecipazione consapevole. Perché ciascuno sappia di essere protagonista della storia. A essere, cioè, alfabeti nella società. La Repubblica ha saputo percorrere molta strada, ma il compito di far sì che tutti prendano parte alla vita della sua società e delle sue Istituzioni non si esaurisce mai. Per definizione, democrazia è esercizio dal basso, legato alla vita di comunità, perché democrazia è camminare insieme», ha concluso Mattarella.

Una settimana impegnativa che ha visto impegnarsi associazioni, enti, realtà. «Oggi ci è richiesta, collettivamente, una grande intelligenza connettiva, capace di collegare le cose tra loro, di riannodare in fili tra fare e pensare, tra azioni locali e nate dal basso e politica. Dobbiamo immaginare una sorta di filiera corta della politica, che accorci le distanze tra pensiero politico e azione», ha sottolineato in apertura Elena Granata, vicepresidente del comitato scientifico e organizzatore.

«Tra il tempo breve dell’azione, quelle azioni locali che tanto impegnano molti di noi, e il tempo lungo del pensiero dovremmo fare spazio ad un agire-pensante, capace di essere inclusivo delle molte voci senza perdersi in discussioni oziose, in grado di imparare per intelligenza progressiva e dalla cultura dell’errore. Si sbaglia e si impara. Un agire-pensante che abbandoni l’illusione dei princìpi assoluti per accettare l’imperfezione connaturata ad ogni azione collettiva», così ancora Granata.

Monsignor Enrico Trevisi, vescovo di Trieste, ha voluto portare una testimonianza particolare, quella di qualche settimana fa che si è consumata a Trieste in Piazza Unità con la grande tovaglia realizzata dagli studenti della città. «Si è partiti dalle famiglie, dalle case. Ogni studente doveva scegliere una stoffa significativa della sua famiglia che in qualche modo raccontasse un pezzo di storia, di vita familiare: per esempio un pezzo di una vecchia coperta di quando si era bambini; un pezzo di maglietta di calcio con la quale, accompagnati dal papà si andava a giocare; un pezzo di una tovaglia logora attorno alla quale tante volte si aveva mangiato insieme. A scuola si sono portati questi pezzi di stoffa e si è imparato a cucirli, aiutati dai più grandi. È bella la metafora: la scuola come l’istituzione che insegna a creare legami, a tessere legami di storie familiari. Su questi pezzi di stoffa ciascuno ha scritto qualcosa: chi il proprio nome, chi uno slogan che riassumesse un qualche aspetto di cosa significhi “partecipare”. Ne è saltata fuori una tovaglia di 90 metri e larga 180 centimetri. Vi hanno collaborato quasi 2000 ragazzi. Sia di scuole di lingua italiana che di lingua slovena. Poi l’hanno stesa in piazza Unità di Italia. I più grandi – circa 1100, più i loro insegnanti – vi hanno pranzato attorno. E poi dai loro zainetti hanno estratto pasta, riso, tonno, passata di pomodoro… per i poveri, per quelli che a quella mensa non c’erano. E si sono raccolte ben più di 12 ceste piene. È il miracolo della condivisione. Dalla partecipazione alla condivisione», ha raccontato il presule.

Se per monsignor Luigi Renna, presidente del comitato scientifico e organizzatore, «Trieste permette alle nostre Chiese di vivere nella verità una Settimana Sociale dei cattolici che sono in Italia, perché nella pluralità di lingue e culture ha imparato a parlare lo stesso lessico di democrazia», per il cardinale Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, «benn vengano nuove forme di democrazia incentrate sulla partecipazione: questa Settimana Sociale è dedicata in larga parte proprio alle buone pratiche partecipative di democrazia. Siamo contenti quando i cattolici si impegnano in politica a tutti i livelli e nelle istituzioni. Siamo portatori di voglia di comunità in una stagione in cui l’individualismo sembra sgretolare ogni costruzione di futuro e la guerra appare come la soluzione più veloce ai problemi di convivenza. I cattolici in Italia desiderano essere protagonisti nel costruire una democrazia inclusiva, dove nessuno sia scartato o venga lasciato indietro. Anche, per questo, dobbiamo essere più gioiosamente e semplicemente cristiani, disarmati perché l’unica forza è quella dell’amore».

Ivan Bianchi