Fra le righe…la Direttiva Europea sulla parità di genere

È stata recentemente pubblicata la Direttiva Europea (la 2024/1500) che, desiderosa di dare un’accelerata alle tematiche femminili, parla a tutti e 27 i Paesi Europei per uniformarne gli strumenti.
In ogni Paese, difatti, esistono Autority a supporto e tutela della parità (da non confondersi con gli organi politici e di supporto come gli assessorati e le relative commissioni) che però come gemelli diversi, seppur figli della stessa madre, non hanno gli stessi identici geni con effetto così di frammentare l’obiettivo comune.
Una eterogeneità che non è solo transnazionale ma anche interna ad ogni singolo Paese dove, ad esempio in Italia, le Autority presenti (denominate Consigliere di Parità) nell’esercizio ad ogni livello della propria autonomia (nazionale, regionale e locale), e delle proprie differenti competenze, di fatto creano un coro polifonico non necessariamente armonico.
A questo si aggiunga che la tradizione social-lavoristica dei paesi dell’Est Europa porta con sé un bagaglio significativo circa la tutela della conciliazione casa-lavoro (in ossequio non tanto della condizione femminile in sé quanto della storica priorità al lavoro) differente rispetto ai Paesi dell’Ovest. O anche i Paesi del Nord Europa, maggiormente progressisti e liberali, hanno un approccio diverso su questi temi rispetto a quelli del Sud, più conservatori e ancora stretti all’insostituibilità materna.
A tal proposito, di enorme pregio e curiosità, vi è stato un interessante studio comparativo sull’evoluzione del “diritto di maternità” tra la storia italiana e quella slovena durante il Festival Internazionale “E’ Storia” del 2023 (nella città tranfrontaliera di Gorizia): se nello Stato Italiano questo diritto, perno della parità di genere, affonda le proprie radici nel controllo sanitario fascista della salute pubblica e si è poi evoluto sulla spinta della liberazione e con i movimenti femministi degli anni ‘70, in Slovenia (fino al 1991 Jugoslavia) è stato in quegli anni unicamente disciplinato per risolvere l’assenza delle donne dal lavoro (per lo più in fabbrica).
Percorsi differenti dunque che oggi determinano sensibilità e priorità differenti tra Stato e Stato.
Le parole chiave della Direttiva sono: competenze, assistenza, indipendenza. Misure minime che devono essere garantite in tutti gli Stati membri con spesa a carico dei bilanci pubblici.
In Italia la situazione è quella dell’oggettiva incertezza, di un passaggio mai perfettamente compiuto delle Consigliere di Parità tra i bilanci del Ministero del Lavoro e quello delle Regioni. Altrove invece spesso a farne da padrona è per lo più il mondo associativo (di soccorso e promozione).
Non può non considerarsi, dunque, questa Direttiva totalmente rivoluzionaria nel suo sguardo d’insieme, invocando principi imprescindibili che nel ribadire la loro stessa importanza però, paiono già rivelare qualcosa che era stato già invocato e poi disatteso.
Sulla competenza e l’assistenza, infine, un’ultima riflessione: se decretiamo il 2024 come l’anno del fare, forse è giunta l’ora di andare oltre le statistiche e i soliti numeri che da oltre un ventennio accompagnano, senza pretesa di soluzione, il tema della disparità femminile. Se Autorità in tutta Europa ci devono essere, che siano operative, concrete e all’uopo capaci di adire le vie giudiziali.
Anche la Direttiva in tan senso dà una chiara sferzata di determinatezza. Peccato che poi la scadenza, come can che abbaia ma non morde, al 2026.