Aquileia magistra Pacis. Un contrappunto alla diplomazia della Santa Sede

Nella solennità dei Santi Ermagora e Fortunato, patroni dell’Arcidiocesi di Gorizia e della regione Friuli Venezia Giulia, è stato ospite ad Aquileia il Segretario per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni internazionali della Santa Sede, l’arcivescovo mons. Paul Richard Gallagher.
In piazza Capitolo, prima della concelebrazione eucaristica in basilica, mons. Gallagher ha tenuto una conferenza sul tema “Aquileia Magistra Pacis, un contrappunto alla diplomazia della Santa Sede”.

Rivolgo un cordiale saluto a S.E. Mons. Carlo Maria Redaelli, Arcivescovo Metropolita di Gorizia, e lo ringrazio per l’invito a proporvi, in occasione della Solennità dei Protomartiri aquileiesi, alcune riflessioni sulla diplomazia della Santa Sede, con particolare attenzione alla storia e all’attualità di questa zona di confine.
Secondo una celebre espressione del poeta argentino Francisco Luis Bernárdez, tanto cara a Papa Francesco, “ciò che l’albero ha di fiorito vive di ciò che ha sepolto”1 . In questo senso, gran parte del cuore dell’Europa nutre un antico debito con i Santi Ermàgora, primo vescovo di questa Città, e Fortunato suo diacono. Dal seme fecondo della loro predicazione, irrorato dal sangue del martirio, fiorì la “Chiesa madre di Aquileia, da cui sono germinate le Chiese del Nord-est dell’Italia, ma anche le Chiese della Slovenia e dell’Austria e alcune Chiese della Croazia e della Baviera e persino dell’Ungheria”2.
La commemorazione dei vostri Santi Patroni, lungi dall’enfatizzare nostalgicamente un glorioso passato ormai perduto, ci sprona a compiere un vero e proprio “memoriale” – secondo l’accezione biblica del termine -, ci esorta cioè a fare “memoria attualizzante” di un’illustre tradizione che qui ebbe il suo cuore pulsante e i cui frutti maturi possono ancora oggi, benché in un contesto radicalmente mutato, nutrire l’intelligenza e la creatività umana, per promuovere l’edificazione di un ordine mondiale giusto.
Visitando Aquileia nel 1972, San Paolo VI identificò nell’ideale dell’unione una delle “alte lezioni”3 impartite da questa insigne Città. Attraverso i suoi oltre due millenni di storia, in cui fasi di grande splendore si sono alternate ad epoche di profonda decadenza, Aquileia ha infatti sviluppato una particolare sensibilità per la pace, intesa come “ordinata concordia degli uomini”4 , imparando a comporre “i dissidi emergenti dalle differenze di lingua, di cultura e di stirpe”5. Si spiega così il tema scelto per l’intervento odierno, “Aquileia Magistra Pacis”, che peraltro ben si inserisce nel ciclo di eventi e iniziative, dedicato quest’anno dalla vostra Città proprio alla pace.
La mia esposizione intende attingere alle radici di Aquileia, nella misura in cui esse ci permettono di accedere “a quelle acquisizioni che hanno aiutato (i popoli di queste terre) ad attraversare positivamente gli incroci storici che andavano incontrando”6. In secondo luogo, mi soffermerò a rilevare le consonanze di un ideale contrappunto tra i valori delle genti aquileiesi e i caratteri tipici della diplomazia pontificia. Infine, evocherò alcuni scenari contemporanei, dove la Santa Sede si adopera per tradurre nella prassi i princípi che la animano, nel tentativo di contribuire alla costruzione della pace.

1. Alle radici di Aquileia:  la vocazione all’incontro  e alla concordia
Aquileia, snodo strategico militare e commerciale, “moenibus et portu celeberrima”7, si è distinta fin dalla sua fondazione, nel 181 a.C., come straordinario crocevia cosmopolita di genti e idee, “porta di Roma verso i Balcani e l’Oriente”, “agevolando la diffusione di influssi artistici, culturali e cultuali, puntualmente rielaborati e riadattati al contesto locale”8.
L’incessante scambio di merci, capitali, uomini e informazioni verificatosi in quest’area favorì una continua mutazione dei limiti geopolitici della Venetia et Histria, che da frontiere chiuse e quasi impenetrabili sono progressivamente mutati in confini permeabili, inducenti naturalmente all’osmosi e al confronto.
Nonostante il tramonto dell’Impero romano d’Occidente e il progressivo affermarsi di due civiltà – quella latina e quella germanica – spesso tra loro antagoniste,
Aquileia seppe replicare in epoca cristiana la sua straordinaria vocazione alla concordia dei popoli, proiettandosi come “un nuovo centro propulsore dello spirito europeo”9.
Al Metropolita di questa Città, i “Vescovi di Chiese assai lontane offrivano la loro obbedienza, ne accoglievano la professione di fede, si stringevano … nei vincoli indissolubili della comunione ecclesiale, liturgica, disciplinare e perfino architettonica”10.
Il Kèrygma cristiano, giunto ad Aquileia attraverso la Chiesa di Alessandria d’Egitto, si propagava come linfa vitale nelle terre limitrofe, entrando gradualmente in contatto con popoli e culture eterogenei e rendendoli partecipi di una storia condivisa che, oltre le singole nazionalità, seppe accomunarli, dando vita a una produzione dai vertici altissimi in ogni campo del pensiero, della spiritualità e dell’arte.
L’originalità dell’esperienza religiosa aquileiese – che ben presto dovette confrontarsi con le insidie dottrinali dell’arianesimo e, più tardi, con le aspre contese tra sedi episcopali per il controllo del territorio – consacrò i caratteri tipici delle “genti di mezzo”: lo spirito di accoglienza e coesistenza, l’arte del dialogo e del confronto, la capacità di valorizzare gli stimoli provenienti dall’esterno. Si tratta di un patrimonio di valori sociali e spirituali che, al pari degli splendidi mosaici qui conservati, sono sopravvissuti ad invasioni, spoliazioni, guerre e terremoti, risorgendo periodicamente intatti e vividi nella coscienza di questo popolo.
In epoca medievale, l’ideale dell’unione nel rispetto delle diversità tornò a brillare durante l’esperienza del Patriarcato, ritenuto dagli esperti “un osservatorio privilegiato per esaminare dinamiche identitarie complesse, in virtù di caratteristiche comuni che lo contraddistinsero come entità territoriale…
Ne emerge un mosaico complesso e sfaccettato, in cui l’identità non è un blocco monolitico ma un prisma cangiante, che si trasforma e mostra di volta in volta le sue diverse facce” .
Emblematico, al riguardo, è il processo di formazione del rito patriarchino che, per oltre un millennio, fu una delle espressioni più vive ed originali della liturgia della Chiesa d’Occidente. Secondo gli studiosi, esso sarebbe l’esito di tre momenti storici decisivi, tra il IV e l’XI secolo, ciascuno dei quali ha offerto un proprio apporto creativo.
Fu specialmente nella produzione della musica sacra che elementi occidentali del canto liturgico si fusero con influssi orientaleggianti, soprattutto alessandrini e dall’Asia minore, tra cui spiccano “marcate influenze di melodie provenienti dal canto bizantino, siriaco, slavo e turco”11 .

A posteriori, si potrebbe dire che l’antico rito aquileiese rappresenta un chiaro esempio di mediazione culturale e spirituale, di unità nella diversità, di integrazione coraggiosa di identità plurime, lungi dalla loro omologazione e dalla conseguente scomparsa delle differenze.
Senza ignorare i dissidi e le violente lotte feudali che logorarono dall’interno i quattro secoli di governo patriarcale, mi sembra importante riaffermarne in questa sede il carattere di “esperienza pluriculturale originale unica, in cui la dimensione spirituale seppe superare l’oggettiva diversità e frammentazione dei gruppi etnici, linguistici, politici, riuscendo ad imporre una superiore esigenza di unificazione in valori umani comuni quali la convivenza, la ricerca di convergenze, con il superamento delle forme manichee. Gli effetti non sono stati meramente spirituali, ma anche sociali e politici, garantendo prolungati periodi di pace e di progresso”13.
Lo esemplifica, in particolare, l’istituzione del Parlamento della Patria del Friuli, attivo dagli anni Venti del Duecento fino all’avvento dell’amministrazione napoleonica nel 1805, che unitamente alle Costituzioni promulgate dal patriarca Marquardo di Randek nel 1366, avrebbe regolato la convivenza civile nei secoli a venire, gettando i germogli della democrazia europea.
Nel XX secolo, la vocazione all’incontro e alla concordia, radicata nelle genti aquileiesi, rifulse a più riprese nel buio delle divisioni imposte dalla Guerra Fredda.
Lo testimonia quanto avvenuto il 13 agosto 1950, a soli due anni dalla costruzione del muro di Gorizia, quando la Jugoslavia decise di “spalancare le porte” di Casa Rossa, valico di confine con Nova Gorica, consentendo a migliaia di persone di riabbracciare i propri cari in territorio italiano e acquistare prodotti, tra cui le scope di saggina che diedero il nome a quella celebre domenica. Non fu un caso che ciò sia accaduto durante l’Anno giubilare, nella cui Bolla d’indizione Pio XII supplicava Dio “che dappertutto […] ritorni quanto prima la tranquillità […]; in modo che le diverse classi sociali, spenti gli odii e sedati i dissensi, si uniscano nella giustizia e nella concordia fraterna”14. È significativo che questa preghiera abbia fatto breccia laddove il solo uso della parola “religione” creava imbarazzo.
Una seconda testimonianza porta la data del 17 novembre 1965, quando il giovane sindaco di Gorizia, Michele Martina, incontrò il Presidente dell’Assemblea comunale di Nova Gorica, Jozko Strukelj. Il verbale di quella storica riunione attesta il coraggio e la lungimiranza di due artigiani della pace che, in poco più di due ore, precorsero la storia di decenni.
Gli appunti parlano di un “incontro tra città di confine” che si riconobbero disponibili a collaborare; ma che quella riunione fosse animata da un ideale più profondo ben si coglie dalle parole conclusive di Strukelj: “tutto dovrà essere fatto onde si verifichi l’incontro fra le genti, per fare sì che il confine non sia una linea di divisione […] come la si sente a Roma ed a Belgrado”15.
Con questo gesto, “un italiano, cattolico e di sangue “misto”, e uno sloveno, comunista e ateo, proiettavano le loro comunità lacerate e in parte nemiche verso un orizzonte di solidarietà e di pace”16, nella convinzione che il futuro si sarebbe realizzato nella “fusione fra varie culture europee”17.
Pochi mesi dopo, nel maggio 1966, Martina avrebbe organizzato, sotto la presidenza onoraria di Giuseppe Ungaretti, il primo Incontro Culturale Mitteleuropeo sul tema della poesia, cui presero parte sei delegazioni di poeti, tre dai Paesi dell’Ovest e tre dell’Est. Questa eco di fratellanza fu udita persino da Willy Brandt che, nell’estate del 1967, invitò il sindaco di Gorizia a Berlino per esporre ai duemila delegati degli Stati Generali dei Comuni d’Europa ciò che era qui accaduto.
Questa terza manifestazione rannoda il passato al futuro di Gorizia e Nova Gorica, perfette eredi dello spirito di Aquileia, che nel 2025 saranno assieme Capitale europea della cultura. E mi rallegro che questo ulteriore segnale di concordia tra i popoli accada, ancora una volta, in occasione del Giubileo, che Papa Francesco ha indetto nel segno della speranza, “come desiderio e attesa del bene”18.
La lunga storia di convivenza, incontro e dialogo di questa zona di confine, nonostante le profonde ferite inferte nei cuori della gente dalle derive di nazionalismi esasperati, si propone come esempio maturo di fratellanza universale, a cui l’Europa di oggi dovrebbe continuare ad ispirarsi per seminare la pace con pazienza e fiducia.

2. Il contrappunto di Aquileia alla diplomazia pontificia
Che lo spirito di Aquileia abbia forgiato personalità votate all’incontro, al dialogo e alla mediazione, lo attestano illustri ministri, diplomatici e uomini d’arme friulani, distintisi fin dal Medioevo per la loro versatilità etnica e linguistica19, tipica delle genti di questa regione che, come un’aquila dalle ali spiegate, “sa ricongiungere in sé, senza confonderli, Oriente ed Occidente”20.
Da parte sua, la Santa Sede nutre un profondo debito di gratitudine per i brillanti ecclesiastici originari del Friuli Venezia Giulia, che l’hanno servita in varie parti del mondo attingendo ai nobili valori della tradizione aquileiese. Ne sono un fulgido esempio l’operato di Mons. Luigi Faidutti (1861-1931) e dell’Arcivescovo Antonino Zecchini (1864-1935) nel complesso panorama religioso e politico delle neonate Repubbliche baltiche, così come il prezioso contributo del Cardinale Guido Del Mestri (1911-1993) alla cosiddetta Ostpolitik vaticana. Prima di lui, la geniale figura del Servo di Dio Celso Costantini (1876-1958), Porporato “di una superiorità assoluta” – come ebbe a definirlo San Giovanni XXIII -, le cui spiccate abilità diplomatiche lo resero paziente tessitore delle relazioni tra la Santa Sede e la Cina.
In virtù delle sue competenze artistiche, egli mosse i primi passi del ministero sacerdotale in questa Città come reggente e conservatore della Basilica durante gli stravolgimenti della prima Guerra mondiale. Di quel tormentato periodo egli ricordò che “tutti venivano ad Aquileia come per incontrarsi col volto dell’antica Madre”21.
Queste figure di sacerdoti e vescovi ci permettono di cogliere le consonanze tra il patrimonio di valori aggreganti riconducibili allo spirito di Aquileia e i tratti della diplomazia della Santa Sede, chiamata ad operare in diversi scenari per “sviluppare una comunione delle differenze”22, disinnescando le contese e tessendo la concordia.
Alla base di tale approccio, si radica la profonda convinzione che la chiusura e l’isolamento producono società asfittiche, incapaci di respirare l’ossigeno del dialogo e dell’incontro, solide premesse per un’autentica edificazione della pace.
Se allarghiamo lo sguardo all’attuale contesto internazionale, di fronte alla violenza e al dilagante ricorso alla armi come strumento di soluzione delle controversie, le diplomazie arrancano nell’assolvere al proprio tradizionale compito di mediazione, sovente impegnate solo a rincorrere i fatti, ma senza quella forza capace di “prevenire le cause che possono scatenare un conflitto bellico, come pure di rimuovere quelle situazioni culturali, sociali, etniche e religiose che possono riaprire guerre sanguinose appena concluse, favorendo la riconciliazione tra le parti”23.
In questo orizzonte frammentato e multipolare, la diplomazia del Papa, pur presentandosi come una realtà strutturata secondo le norme del diritto internazionale, agisce come una forza morale priva di ambizioni geopolitiche, attenta a non assecondare interessi di parte, ma non per questo indifferente alle attese e alle esigenze concrete delle persone, al grido disperato dei fragili e degli scartati, al punto da farsene voce ed eco. Pertanto, alla Santa Sede “sta particolarmente a cuore di accompagnare il cammino di chi anela alla pace, di chi cerca la riconciliazione, di chi desidera positivamente costruire un avvenire migliore per il proprio Paese, sanando le ferite del passato, che ancora bruciano nella carne viva dei popoli”24.
Diviene così possibile rileggere in filigrana le cifre distintive dello spirito di Aquileia nell’attitudine del diplomatico pontificio a favorire il dialogo con tutti, compresi quegli interlocutori considerati scomodi o non legittimati a negoziare; nella sua propensione a usare fino allo stremo l’umiltà e la pazienza per sciogliere nodi apparentemente inestricabili; nella fatica di “ricucire i più tenui segni di buona volontà delle parti in conflitto così da avviare una pacificazione”25.
Non sono forse questi i tratti caratteristici di una “diplomazia della misericordia”? In definitiva, il valore aggiunto della diplomazia pontificia è proprio la “misericordia, quale fattore costruttivo e garante dell’ordine internazionale”26, l’unico realmente capace di spezzare la catena dell’odio e della vendetta e disinnescare gli ordigni dell’orgoglio e della superbia umana, “causa di ogni volontà belligerante”27.
Intervenendo alla FAO nel 2017, Papa Francesco poneva una domanda inequivocabile “è troppo pensare di introdurre nel linguaggio della cooperazione internazionale la categoria dell’amore, declinata come gratuità, parità nel trattare, solidarietà, cultura del dono, fraternità, misericordia?”28. E aggiungeva: “non possiamo operare solo se lo fanno gli altri, né limitarci ad avere pietà, perché la pietà si ferma agli aiuti di emergenza, mentre l’amore ispira la giustizia ed è essenziale per realizzare un giusto ordine sociale tra realtà diverse che vogliono correre il rischio dell’incontro reciproco”29.
Il richiamo al principio evangelico della misericordia quale regola aurea dell’attività diplomatica della Santa Sede ci permette altresì di rilevarne l’indole propriamente spirituale. Se infatti, da una parte, essa interviene per assicurare la libertà della Chiesa, dall’altra, si propone di collaborare con gli Stati e le Organizzazioni internazionali alla soluzione dei grandi problemi dell’umanità, operando per la salvaguardia del carattere trascendente dell’uomo e dei suoi diritti fondamentali, così come per l’affermazione dei valori morali e sociali più alti.
In questo senso, sintonizzandosi con la preziosa lezione di Aquileia, la cui storia acclara che “le religioni non sono problemi, ma parte della soluzione per una convivenza più armoniosa”30, la Santa Sede continua a ricordare che “la ricerca della trascendenza e il sacro valore della fraternità possono ispirare e illuminare le scelte da prendere nel contesto delle crisi geopolitiche, sociali, economiche, ecologiche ma, alla radice, spirituali che attraversano molte istituzioni odierne, anche le democrazie, mettendo a repentaglio la sicurezza e la concordia tra i popoli”31.

3. L’azione della Santa Sede  in favore della pace:  scenari attuali
Se l’ideale della pace come concordia fra i popoli rappresenta una delle “alte lezioni” di Aquileia, “l’essere strumento di pace”32 costituisce “il maggior titolo di nobiltà e di utilità del servizio diplomatico”33 in genere, e della Santa Sede in specie. Le esperienze della diplomazia pontificia nella sua attività ordinaria in proposito sono molteplici e diverse. Si tratta di pronunciamenti e iniziative quotidiane, che spesso rimangono lontani dai riflettori e dalla cronaca, secondo quello spirito evangelico a compiere tali opere senza alcuna ostentazione.
Anzitutto, volgendo rapidamente lo sguardo ai conflitti in atto – dall’Ucraina alla Palestina, a Israele, all’Azerbaigian, al Myanmar, all’Etiopia, al Sudan, allo Yemen – è possibile notare alcune costanti dell’attività diplomatica della Santa Sede, pur nella diversità degli scenari evocati. Essa infatti si mobilita sempre come soggetto super partes “per unire idee divergenti, posizioni politiche contrapposte, visioni religiose e finanche ideologie differenti”34; interviene “per sostenere un’idea di pace frutto di giusti rapporti, di rispetto delle norme internazionali, di tutela dei diritti umani fondamentali, ad iniziare da quelli degli ultimi, i più vulnerabili”35; si attiva sul piano umanitario per sostenere, ad esempio, gli sforzi di rinnovamento della vita sociale in luoghi remoti e spesso dimenticati, o per facilitare il rimpatrio dei bambini ucraini e lo scambio dei prigionieri di guerra tra Russia e Ucraina così come per favorire la liberazione degli ostaggi israeliani nella Striscia di Gaza.
In ogni scenario di guerra, la Sede Apostolica non smette di ribadire che il principio di umanità, scolpito nel cuore di tutti gli uomini e di tutti i popoli, non può mai essere compromesso in nome di esigenze militari, colpendo indiscriminatamente la popolazione civile.

Come ricordato da Papa Francesco nel suo ultimo Discorso ai membri del Corpo Diplomatico, “forse non ci rendiamo conto che le vittime civili non sono “danni collaterali”. Sono uomini e donne con nomi e cognomi che perdono la vita. Sono bambini che rimangono orfani e privati del futuro. Sono persone che soffrono la fame, la sete e il freddo o che rimangono mutilate a causa della potenza degli ordigni moderni. Se riuscissimo a guardare ciascuno di loro negli occhi, a chiamarli per nome e ad evocarne la storia personale, guarderemmo alla guerra per quello che è: nient’altro che un’immane tragedia e “un’inutile strage”, che colpisce la dignità di ogni persona su questa terra”36.
In secondo luogo, la lezione di Aquilea a coltivare “un atteggiamento rispettoso e positivo verso le autonomie e le diverse etnie con uno spirito universalistico e aperto alla solidarietà”37, non può non evocare il sostegno della Santa Sede al processo di integrazione dei Balcani occidentali nell’Unione Europea.
È noto che dopo la caduta del muro di Berlino, l’estensione e la distensione delle relazioni diplomatiche, avvenuta soprattutto durante il pontificato di Giovanni Paolo II, ha costituito la premessa naturale per lo sviluppo dell’attività concordataria nei Paesi dove il cambiamento del sistema politico aveva comportato un diverso atteggiamento nei confronti della religione e della Chiesa cattolica. Su questa scia, gli Accordi siglati a partire dal 1996 con la maggioranza degli Stati balcanici nati dalla dissoluzione della ex Repubblica Jugoslava rappresentano autorevoli strumenti di risposta agli antagonismi etnici e confessionali drammaticamente prodotti da una concezione miope della nazionalità, segnando così un positivo sviluppo nel consolidamento dello stato di diritto e dei principi democratici, a partire da quello della libertà religiosa.
I Viaggi Apostolici di Papa Francesco in Albania (2014), in Bosnia ed Erzegovina (2015), in Bulgaria e Macedonia del Nord (2019) hanno ulteriormente rafforzato la vicinanza e il sostegno della Santa Sede alla collaborazione e agli scambi di quei Paesi con l’Europa. Ad essi si sommano le visite ufficiali che in questi anni ho potuto compiere in tutte le Capitali balcaniche, incoraggiando gli sforzi delle Autorità civili e religiose per favorire una convivenza fraterna tra etnie e religioni, nella distinzione e nel rispetto reciproco. Sarebbe infatti controproducente se l’anelito all’integrazione europea sottovalutasse o trascurasse “le resistenze che su tale cammino si possono incontrare: esse sono talora connesse ad antichi e non sopiti dissapori, a incomprensioni bisognose di ulteriore chiarimento, alla sottile tentazione di trasformare l’amor patrio in un esagerato nazionalismo, al rischio di far coincidere la difesa della propria identità con l’esclusione di quella altrui”38.
Infine, la lezione di Aquilea all’apertura e all’accoglienza di popoli e culture diversi, ci sprona a riflettere sulla crisi migratoria lungo la rotta dei Balcani occidentali, che riguarda anche queste terre. Negli ultimi anni, decine di migliaia di persone – tra cui molti minori non accompagnati – cercano di attraversare i confini di vari Paesi balcanici, per sfuggire a persecuzioni, guerre, conflitti o alla miseria e trovare nuove opportunità di esistenza o un rifugio sicuro. In questo contesto, sorprende che “la costruzione di muri e il ritorno dei migranti in luoghi non sicuri (appaia) come l’unica soluzione per gestire la mobilità umana”39. Tale fenomeno ci provoca a riflettere sulla percezione contemporanea dei confini come linee di demarcazione identitaria, dove le diversità sono motivo di diffidenza, sfiducia e paura: “ciò che proviene di là non è affidabile, perché non è conosciuto, non è familiare, non appartiene al villaggio. È il territorio di ciò che è “barbaro”, da cui bisogna difendersi ad ogni costo. Di conseguenza si creano nuove barriere di autodifesa, così che non esiste più il mondo ed esiste unicamente il “mio” mondo, fino al punto che molti non vengono più considerati esseri umani con una dignità inalienabile e diventano semplicemente “quelli””40.
Il termine confine così compreso ne tradisce il significato classico di “luogo dove si finisce insieme” (cum-finis), dove cioè ci si trova l’uno di fronte all’altro con la possibilità di contaminarsi e integrarsi, lo spazio in cui le singole identità si lasciano plasmare dall’apertura all’altro da sé41. Per questo resta fondamentale un’adeguata preparazione rispetto alle sfide poste dalle migrazioni odierne, “comprendendone sì le criticità, ma anche le opportunità che esse offrono, in vista della crescita di società più inclusive, più belle, più pacifiche”42 e più prospere. Al riguardo, la Santa Sede interviene nei competenti organismi multilaterali proponendo ai Governi e alla società civile un percorso articolato attorno a quattro verbi fondati sui principi della dottrina della Chiesa: “accogliere lo straniero, anche se al momento non porta un beneficio tangibile”43, proteggerlo, promuoverlo e integrarlo, pur sempre “nel rispetto della cultura, della sensibilità e della sicurezza delle popolazioni”44 di destinazione. Si tratta di una responsabilità a lungo termine, che esige il paziente coinvolgimento di tutti gli attori in gioco, incluse le comunità religiose, poiché “solo un’azione concertata, motivata dalla volontà di servire gli ultimi, consente di guardare all’avvenire con la necessaria fiducia”45.

4. Conclusione: una comunità di mosaicisti sui generis
In conclusione, benché Aquileia continui ad interpellare le nostre coscienze come “maestra di pace”, le alte lezioni della sua storia sembrano ancora una volta smentite dalle angoscianti prospettive di un mondo sull’orlo di una guerra globale. In effetti, l’immediatezza dei mezzi di comunicazione ci offre con crudo realismo un mosaico di situazioni drammatiche, fortemente compromesso e scolorito da contrasti e diffidenze, che giungono finanche a quella violenza fratricida, causa di disastri umanitari di vaste proporzioni.
Lungi dalla rassegnazione, i Rappresentanti Pontifici non si accontentano di osservare tali accadimenti o di valutarne la portata, né possono restare solo una sorta di voce critica, spesso anche “fuori dal coro”. Essi sono chiamati ad agire per facilitare la coesistenza e la convivenza fra le varie Nazioni, per promuovere quella fraternità tra i Popoli, dove il termine fraternità è sinonimo di collaborazione fattiva, di vera cooperazione, concorde e ordinata, di una solidarietà strutturata a vantaggio del bene comune e di quello dei singoli.
Traendo spunto dall’arte musiva, eccellenza mondiale delle genti friulane, mi piace dunque immaginare la diplomazia come una comunità di mosaicisti46, che con pazienza, professionalità e creatività si ingegna ogni giorno per ricomporre i frammenti di un’umanità dilaniata dalla discordia, nel tentativo di restituire al mondo piccoli mosaici di fraternità, dove “le differenze convivono integrandosi, arricchendosi e illuminandosi a vicenda”47. È una missione esigente, che pur dovendo misurarsi con le reali possibilità in gioco, si lascia plasmare dalla fede di coloro che hanno saputo “sperare contro ogni speranza”.
Siano perciò benedetti i Santi Ermàgora e Fortunato, che con le loro preghiere, il loro ingegno e la loro concorde fatica apostolica rimangono, a distanza di quasi due millenni, ispiratori di dialogo fecondo, di armonia, di incontro fraterno tra le Chiese, gli Stati e i popoli! Possa la loro memoria suscitare numerosi imitatori anche ai nostri giorni e far sorgere nuovi percorsi di pace e di concordia!

+ Paul Richard Gallagher, Segretario per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni internazionali della Santa Sede

(Foto Fabio Bergamasco)


1. F. L. BERNÁRDEZ, “Soneto”, in Cielo de tierra, Buenos Aires, 1937.
2. BENEDETTO XVI, Discorso all’Assemblea del Secondo Convegno di Aquileia, Basilica di Aquileia, 7 maggio 2011.
3. S. PAOLO VI, Intervento durante la sosta ad Aquileia, 16 settembre 1972.
4. Cf. S. AGOSTINO, De Civitate Dei, 1. XIX, cap. 13: “pax hominum ordinata concordia”.
5. S. PAOLO VI, Intervento durante la sosta ad Aquileia, cit.
6. FRANCESCO, Discorso in occasione del conferimento del Premio Carlo Magno, 6 maggio 2016.
7. DECIMUS MAGNUS AUSONIUS, Ordo Urbium Nobilium, IX, 3. “Nella parola moenia pare che si debba vedere semmai ribadito il concetto della potenza o dell’opulenza della città: in quest’interpretazione soccorrono tre epigrafi africane del secolo quarto, in cui moenia sono proprio edifici pubblici e non strutture murarie di difesa, anche perché ad Aquileia c’è una “contraddizion che nol consente”: le mura erano sopraggiunte proprio a guastare le attrezzature portuali cittadine ed apparivano, come appaiono a noi ancora, architettonicamente alquanto impacciate e discutibili, decisamente nocive alla vita del porto” (S. TAVANO, Tensioni culturali e religiose in Aquileia, in “Antichità Altoadriatiche, XXIX (1985), vol. 1, Vita sociale, artistica e commerciale di Aquileia Romana”, EUT Edizioni, Università di Trieste, Trieste, 1985 p. 211).
8. F. BELTRAME, Le iscrizioni greche di Aquileia, p. 1, in https://www.archeofriuli.it/wp-content/uploads/2020/11/Le-iscrizioni-greche-di-Aquileia.pdf.
9. S. MAREGA, L’eredità di Aquileia: per una riflessione sull’identità (mittel)europea, in Kadmos Studia, I/1 (2021), p. 176.
10. BENEDETTO XVI, Saluto all’incontro con la cittadinanza, Aquileia, 7 maggio 2011.
11. Z. MURAT – P. VEDOVETTO (a cura), Il patriarcato di Aquileia. Identità, liturgia e arte (secoli V-XV), Viella Editrice, Roma 2021, p. 433.
12. L’antico rito aquileiese. Nel Friuli dei patriarchi con Luigi De Biasio, Golaine di Studis su l’Autonomisim, 14, p. 33.
13. G. DAL FERRO, Memoria del Patriarcato di Aquileia, in Atti del Simposio della Cattedra Mitteleuropea, Con la memoria progettare il futuro. L’eredità del patriarcato di Aquileia, in Nuova Iniziativa Isontina, n. 74 (ottobre 2017), p. 13.
14. PIO XII, Iubilaeum Maximum. Bolla di indizione del Giubileo Universale dell’Anno Santo 1950, 26 maggio 1949.
15. Incontro degli Amministratori del Comune di Gorizia e di Nova Gorica, Palazzo del Comune di Nova Gorica, 17 novembre 1967 – appunti dal verbale, in Atti del Simposio della Cattedra Mitteleuropea, cit. p. 29.
16. L’esperienza dei sindaci Martina e Štrukelj. Nota del Vicepresidente di ICM in occasione della proclamazione di Nova Gorica e Gorizia come Capitale europea della Cultura 2025, in https://www.icmgorizia.it/site/index.php?area=3&subarea=1&formato=scheda&id=27
17. Incontro degli Amministratori del Comune di Gorizia e di Nova Gorica, Palazzo del Comune di Nova Gorica, 17 novembre 1967 – appunti dal verbale, in Atti del Simposio della Cattedra Mitteleuropea, cit. p. 29.
18. FRANCESCO, Spes non confundit. Bolla di indizione del Giubileo Ordinario dell’Anno 2025, 9 maggio 2024, n.1.
19. Cf. F. VIDIC, Diplomatici goriziani nel Medioevo, ISSR, Gorizia, 2020.
20. G. M. CHIODI, Omaggio ad Aquileia: un simbolo e una provocazione per la civiltà europea, in Kadmos Studia, II/1 (2022), p. 177.
21. Cf. C. COSTANTINI, Foglie secche. Esperienze e memorie di un vecchio prete, Tipografia Artistica, Roma, 1948, p. 187.
22. FRANCESCO, Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale, 24 novembre 2013, n. 228.
23. P. PAROLIN, L’attività diplomatica della Santa Sede a servizio della pace. Lectio Magistralis in occasione del Dies Academicus della Pontificia Università Gregoriana sul tema “La pace: dono di Dio, responsabilità umana, impegno cristiano”, Roma, 11 marzo 2015.
24. Intervento del Cardinale Pietro Parolin, in La diplomazia dei ponti. Tavola rotonda per la pubblicazione del n. 4000 de “La Civiltà Cattolica”, in La Civiltà Cattolica, 4006/II (2017), p. 320.
25. P. PAROLIN, La Santa Sede e gli scenari per la pace, Accademia dei Lincei, Roma, 12 gennaio 2024.
26. ID., L’impegno diplomatico come esercizio di giustizia e misericordia, Pordenone, 27 agosto 2016.
27. FRANCESCO, Discorso al Corpo Diplomatico presso la Santa Sede, 9 gennaio 2023.
28 ID., Visita alla sede della FAO a Roma in occasione della Giornata mondiale dell’alimentazione, 16 ottobre 2017, n. 3.
29. Idem.
30. FRANCESCO, Discorso in occasione dell’apertura e sessione plenaria del “VII Congress of Leaders of World and Traditional Religions”, Palazzo dell’Indipendenza (Nur-Sultan), 14 settembre 2022.
31. Idem.
32. A. CASAROLI, Discorso al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, 15 gennaio 1980.
33. Idem.
34. P. PAROLIN, La Santa Sede e gli scenari per la pace, Accademia dei Lincei, Roma, 12 gennaio 2024.
35. ID., L’attività diplomatica della Santa Sede a servizio della pace, cit., 11 marzo 2015.
36. FRANCESCO, Discorso al Corpo Diplomatico presso la Santa Sede, 8 gennaio 2024.
37. S. GIOVANNI PAOLO II, Omelia alla S. Messa nella Basilica di Aquileia, 30 aprile 1992, n. 7.
38. S. GIOVANNI PAOLO II, Saluto alla cittadinanza di Trieste, Cattedrale di S. Giusto, 1° maggio 1992, n. 5.
39. FRANCESCO, Saluto in occasione dell’inaugurazione della mostra fotografica allestita dal Centro Astalli nella chiesa romana di Sant’Andrea al Quirinale, 7 novembre 2021.
40. ID., Lettera Enciclica Fratelli Tutti sulla fraternità e l’amicizia sociale, 3 ottobre 2020, n. 27.
41. Cf. C. BELLI, Il ruolo dei confini nei sistemi sociali internazionali, in Gentes, II/2 (dicembre 2015), pp 193-196.
42. FRANCESCO, Riflessione durante il momento di preghiera per i migranti e i rifugiati, Piazza S. Pietro, 19 ottobre 2023.
43. ID., Lettera Enciclica Fratelli Tutti, n. 139.
44. ID., Discorso al Corpo Diplomatico presso la Santa Sede, 8 gennaio 2024.
45. P. PAROLIN, La Santa Sede e gli scenari per la pace, Accademia dei Lincei, Roma, 12 gennaio 2024.
46. L’immagine è assimilabile a quell’”artigianato della pace”, più volte richiamato da Papa Francesco nei suoi messaggi.
47. FRANCESCO, Lettera Enciclica Fratelli Tutti, n. 215.