Riposo e compassione
5 Agosto 2024
L’ultima paura registrata da un neologismo si chiama “notriphobia”: è quella di non avere viaggi programmati. L’ennesima di una società in cui tutto è stress, ansia, disagio da trattare. Contrazione di “no-trip-phobia”, risuona come la variante postmoderna dell’horror vacui che ci illudiamo di tenere a bada con interventi placebo, pur di non guardarci dentro. Il tour (de force) comincerebbe, dunque, ben prima delle code in autostrada, del caos voli o dello sciopero dei taxisti, con l’assillo delle vacanze da prenotare, pur di evadere stando al passo coi tempi. “… c’è sempre qualcuno che parte/ ma dove arriva se parte” cantavano stralunati Cochi e Renato, cogliendo allegramente nel segno, cinquant’anni fa.
Cambiare passo ci restituirebbe ad un ritmo naturale che, non proiettando in avanti o altrove, non pre-occupa. Terapia antica contro la dispersione dell’io e del tempo. Dispersione fuori controllo in una società come la nostra, malata di fretta, che dall’alienazione si fa rubare la gioia. Incalzati a fare sempre di più, andiamo di corsa, accelerando, reattivi al minimo inciampo che si frapponga al moto perpetuo.
Programmati per obiettivi, valutati sui risultati, ottimizzati rispetto alle prestazioni, lavoriamo come dannati, sospirando le ferie, pianificate tra un sospiro e l’altro. A queste condizioni, più che in una vacanza, in una tregua “armata” possiamo sperare, con il trolley al seguito (come in ufficio), il contapassi al polso e lo smartphone nella mano. Avendo chiaro che la temuta ripresa ci attende forti e tonici ai blocchi di partenza, pronti allo scatto, come i velocisti allo sparo dello starter.
Più si fa e si corre, più si perde di vista quello che si muove dentro e intorno a noi, ce lo diciamo senza rimedio. Più non “basta avere l’ombrèla” che “ti ripara la testa”, e “sembra un giorno di festa”, il surrealismo in un refrain. La spensieratezza nella semplicità che sapeva essere solidale, con ironia, riso e poesia.
Mettendo in guardia dalla “dittatura del fare”, all’Angelus di domenica 21 luglio papa Francesco ha osservato, nel commento al Vangelo del giorno (Mc 6, 30-34), che il riposo a cui Gesù invita i discepoli “non è una fuga dal mondo, un ritirarsi nel benessere personale”. “Riposo e compassione” – ancora il pontefice – “sono legate: solo se impariamo a riposare, possiamo avere compassione. Infatti, è possibile avere uno sguardo compassionevole, che sa cogliere i bisogni dell’altro, soltanto se il nostro cuore non è consumato dall’ansia del fare, se sappiamo fermarci”. Se riposo e compassione vanno insieme, vale anche, all’opposto, la combinazione distruttiva di attivismo e indifferenza.
Se non riposa, la terra non può dare i frutti migliori. Riposa chi, staccando dall’azione, ritrova l’unità di mente, corpo e anima. I cammini alternano andare e sostare. Si cammina se si è capaci di fermarsi.
La vacanza ha significato, come minimo etimologicamente, se svuota del pieno che satura le agende mentali di cose da fare, anche buone e giuste. Di punto in bianco però non riesce di alleggerirsi, e di riconoscere la bellezza che c’è.
A riposare s’impara, suggerisce il papa, mettendo in pausa quotidiana l’attivismo che attanaglia affaticando il fiato e restringendo lo spirito.
Saremo già in vacanza quando ci sentiremo liberi di non programmare e di contemplare.
Ascoltandoci, aprendo gli occhi, incontrando.
Permettendo alla vita di respirare, ché se non scorre, si ammala, se non si relaziona, si irrigidisce. Se riposa, rinnova l’io e il noi, e allora sì che fa cantare “E la vita, la vita/ e la vita l’è bela, l’è bela…”.
Annarita Cecchin
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