Non corpo estraneo ma già parte del Paese

Siamo sinceri: c’è una grande ipocrisia anche nel dibattito sullo Ius Scholae riemerso dopo le medaglie olimpiche conquistate da alcuni atleti azzurri figli di immigrati alle Olimpiadi di Parigi.
Nel nostro Paese si continua a considerare il tema immigrazione e le questioni ad esso inerenti unicamente in un’ottica di sicurezza o di benefici economici.
Ed allora viene – senza retorica – da chiedersi dove vivano molti dei nostri politici una volta terminati gli impegni parlamentari. Basterebbe soffermarsi per qualche minuto ad osservare gli studenti che entrano nelle scuole della penisola per rendersi conto che quella italiana è una realtà fatta di integrazione e di tanti colori.
Secondo i dati forniti dal Ministero dell’Istruzione, le aule del nostro Paese sono frequentate da oltre 900 mila alunni privi della cittadinanza italiana: un dato che corrisponde all’11% dell’intera popolazione scolastica.
Il 65,4% degli studenti stranieri (dalle elementari alle superiori) è nato in Italia.
Sono gli stessi bambini, ragazzi e adolescenti che condividono con i nostri figli loro coetanei con cittadinanza italiana le tante ore sui banchi ma anche i momenti in palestra, sui campi da gioco, nei centri estivi, nelle parrocchie.
Considerarli un problema di sicurezza nazionale non è eccessivo: è solamente e semplicemente ridicolo!
Legare l’acquisizione della cittadinanza italiana alla frequenza scolastica permetterebbe di valorizzare proprio il luogo in cui percorsi originariamente diversi da quelli italiani entrano in contatto con storia, cultura, tradizioni del nostro Paese imparando a conoscerle per integrarsi ancora meglio nella realtà dove attualmente si trovano a vivere.
La legge sull’acquisizione della cittadinanza italiana risale al 1992 e si basa sullo ius sanguinis. I 32 anni trascorsi da allora sono stati segnati da cambiamenti epocali non solo nel nostro Paese ma nel mondo. Era una legge “difensiva” che innalzava le prime barriere verso quel fenomeno migratorio la cui portata era allora inimmaginabile ma per definire il quale già la politica rincorreva a piene mani a quei sentimenti di paura, preconcetto verso il “diverso” che ne hanno contrassegnato la normazione legislativa sino ad oggi. Per affrontare seriamente la questione, è venuto il momento di smetterla, da una parte e dall’altra, di considerare gli immigrati come pericolo o risorsa economica: trattiamoli da persone e basta.
Utopia? Certamente perché per più di qualcuno degli uomini e delle donne a cui abbiamo assegnato il potere legislativo significherebbe ammettere che il destino di questi esseri umani non è uno dei loro interessi primari e che le proprie posizioni non sono dettate dall’interesse del Paese ma dal proprio tornaconto elettorale.
Senza rendersi conto, per di più, che i minori a cui lo ius scholae si applicherebbe sono già parte del nostro Paese e non un corpo estraneo ad esso come qualcuno si ostina a volerci far credere.

di Mauro Ungaro