Influencer e vita vera: l’ora del cambio di passo
18 Settembre 2024
C’è qualcosa di nuovo nel mondo dei ragazzi che riguarda il loro rapporto con quelle figure che, fino a qualche anno fa, erano i loro idoli seguiti (o subìti) senza possibili difese dallo schermo del loro smartphone.
Parliamo degli influencer, giovani tanto quanto coloro che li seguono (chiamati “followers”) che dettano moda sul vestire, sul mangiare, sui luoghi da frequentare.
Nuovi testimonial della porta accanto che hanno soppiantato le dive irraggiungibili del passato nel reclamizzare prodotti e stili di vita lussuosi con l’inganno di mostrarli come normali, quotidiani, alla portata di chiunque.
Ed è proprio questo il punto: la simulazione di vite perfette, con denti perfetti, pelle perfetta e tanto tanto denaro alla lunga ha finito per stufare e il pubblico, dacchè ne bramava, alla lunga si è ritorto contro.
L’idea che poi dei giovani privilegiati oltre ai rapporti commerciali si debbano fare offrire viaggi, cene e financo una coppetta di gelato per reclamizzarne (ahinoi c’è anche questo), ha iniziato a generare un risentimento più che comprensibile.
In un Paese con quasi 6 milioni di persone in condizioni di povertà assoluta, gli influencer, o gli aspiranti tali, dovrebbero iniziare a riflettere su quanto il divario sociale, la mancanza di alloggi, il calo del potere di acquisto dei salari siano una polveriera e su quanto i loro privilegi, ovvero i benefit offerti a chi i benefit se li può ampiamente permettere, finiscano per diventare una delle tante scintille alla rabbia.
Così, nella recente Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, alla passerella degli influencer, che hanno intervallato quella delle star, sono seguite aspre polemiche.
Sembra levarsi un bisogno al merito e non più alla furberia di chi intrapreso scorciatoie: i ragazzi sono tornati a cercare esempi veri di vita e non più frammenti simulati di reclame di prodotti di lusso e abitudini sempre più lontane dal quotidiano medio dei giovani.
C’è del buono in questo cambio di passo che non riguarda solo il disincanto progressivo a realtà artefatte, ma anche la riemersione della reale natura umana dove la fatica viene riscoperta come valore e non come ostacolo da aggirare. Basta elementi patinati sostituiti da quelli veri.
Una sorta di riabilitazione generazionale della normalità dove non si insegue più necessariamente un prototipo costantemente artificiale ma si lascia intravvedere nitida la natura umana con i suoi bisogni più semplici (la casa, il lavoro, il futuro).
Prossime vittime di questo fenomeno sociale di normalizzazione: i filtri che abbelliscono stereotipandone i visi delle fotografie mostrate sui social e i “coach”, i motivatori, la scorciatoia professionale per chi, piuttosto che studiare psicologia all’Università, ha preferito erigersi dispensando consigli agli altri… “se non può più dare cattivo esempio” (F. De Andrè).
Anna Limpido
(Foto Siciliani-Gennari/SIR)
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