Mons. Baldas: artefice di una “primavera missionaria”

Nella mattina di giovedì 7 novembre 2024 nella chiesa di Sant’Ignazio a Gorizia si sono svolte le esequie di mons. Giuseppe Baldas. Riportiamo il testo dell’omelia dell’arcivescovo Carlo

In questi giorni ho ripreso in mano i volumetti dedicati alla vita della missione che don Giuseppe Baldas ha pubblicato in questi anni e che sempre regolarmente mi omaggiava. La prefazione di quello pubblicato nel settembre del 2020 a firma dello stesso don Giuseppe, dedicato anche all’impegno in Romania – e colgo l’occasione per ringraziare mons. Petru Sescu, vescovo ausiliare di Jasi e don Cristian, formatore nel Seminario Maggiore e gli altri sacerdoti di Jasi, per la loro presenza in questo momento di dolore –, si apre così: «Una persona di Gorizia a cui avevo dato l’ultimo libro sulle missioni in Africa “Fatti incredibili … ma veri” mi disse: “Lei, don Giuseppe, è uno scrigno in cui sono riposte tante storie della vita missionaria. Bisogna che le porti in luce perché altrimenti, (non disse proprio così) una volta che lei non c’è più, nessuno conoscerà queste storie”» (G. BALDAS, Fatti (quasi) incredibili … ma veri. Visitando le nostre missioni in Africa e Romania, Gorizia 202°, p. 3).

Ora don Giuseppe non c’è più, non usciranno altre pubblicazioni su “fatti incredibili” della missione (salvo ci sia qualcuno o qualcuna che in tutti questi anni ha vissuto sul campo la missione e ne voglia raccogliere altri…), ma mi sembra importante soffermarmi sull’espressione di quella persona: “Lei è uno scrigno”. Sì, don Giuseppe è stato uno scrigno e non solo di fatti e racconti, ma di molto di più. Senza pretendere di entrare nel segreto del suo cuore, che solo Dio conosce fino in fondo, perché Lui, come afferma Sant’Agostino, “è più intimo a me di me stesso” (“interior intimo meo”: Confessioni, III,6,11), vorrei presentare tre perle conservate nel suo animo.

La prima è evidente ed è il suo spirito missionario. Don Giuseppe ha preso molto sul serio quanto il Risorto ha detto ai suoi apostoli: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura». E ha condiviso fin dall’inizio la convinzione del vescovo Pietro Cocolin, che spesso ricordava: «Sono stato consacrato vescovo per tutta la Chiesa. Il Signore mi ha posto a reggere la porzione del popolo di Dio che vive a Gorizia, però la mia responsabilità e di conseguenza la mia sollecitudine deve essere per le Chiese di tutto il mondo, quelle a noi vicine e quelle a noi lontane. Il Signore mi ha fatto responsabile della salvezza di tutti gli uomini del mondo, e di ciò mi chiederà conto» (B. DE SANTIS, Nascita e sviluppo dell’impegno missionario dell’Arcidiocesi di Gorizia, Gorizia 1990, p. 13). Don Giuseppe si è messo fin dall’inizio a servizio dell’azione missionaria promossa da questo vescovo e poi rilanciata da p. Bommarco e seguita da mons. De Antoni. Lo ha compiuto facendo crescere in sé un desiderio che si era manifestato, come lui stesso racconta, ancora prima di diventare sacerdote. Un desiderio che proprio mons. Cocolin, chiedendogli di continuare a essere segretario dell’arcivescovo e insieme nominandolo segretario dell’Ufficio Missionario Diocesano, ha trasformato in un servizio non sul campo, ma all’interno di una Chiesa destinata a essere sempre più missionaria.

Ed ecco una seconda perla da trarre dallo scrigno dell’animo di don Giuseppe, ossia la sua grande capacità di animazione missionaria della nostra Chiesa. Per decenni, grazie in modo determinante alla sua opera instancabile ed entusiasta, l’arcidiocesi di Gorizia ha vissuto una vera primavera missionaria, nell’alveo di una sensibilità già esistente per il significativo numero di missionarie e missionarie originari di qui, ma diventata un’azione corale che ha coinvolto sacerdoti, religiose e religiosi, laici e laiche, famiglie, giovani, ragazzi e ragazze, gruppi missionari e associazioni. La missione “ad gentes” è diventata realmente una potente forza di vita cristiana delle nostre parrocchie. Con un certo giusto orgoglio, don Giuseppe ricordava spesso il lusinghiero elogio di un grande esperto di missione, p. Piero Gheddo, missionario e giornalista, che affermava: «Posso dire con sincerità che l’esempio di Gorizia […] è uno dei pochissimi in Italia davvero esemplari di animazione missionaria». P. Gheddo elencava tre motivi di questo suo apprezzamento: «a) Fin dall’inizio, mons. Cocolin e don Baldas insistevano che la missione della Chiesa è di natura religiosa, non politico-sociale-culturale-economica […]. b) L’animazione missionaria ha coinvolto molti giovani e poi tutta la popolazione e l’autorità civile […] È stato un movimento di popolo, non un qualcosa che viene dall’esterno, passa e scompare senza lasciare traccia […]. c) Nel tempo della globalizzazione, la missione è globale, totale, universale. […] Dobbiamo imparare anche noi qualcosa dalle missioni e giovani Chiese» (P. GHEDDO, Prefazione, in Gorizia: Episodi della vita della missione 1968-2014, Gorizia 2014, pp. 21-22).

Vorrei infine citare un’ultima e più splendente perla dell’animo di don Giuseppe: la fede esemplare e serena con cui ha affrontato l’ultima malattia e la prospettiva della morte, di cui era consapevole con grande lucidità. Una fede manifestata anche negli ultimi giorni in ospedale. Una fede così non la si improvvisa, ma è frutto di una vita di preghiera, di un intenso rapporto con Gesù, di un affidamento tenero e affettuoso a Maria. Una testimonianza di fede, la sua, che diventa sostegno per chi sente più forte la sofferenza del distacco come la sorella, la cognata, i nipoti e parenti tutti, la signora Maria, i sacerdoti, gli amici e i parrocchiani di sant’Ignazio e tutti coloro che sono legati da vincoli di stima e di conoscenza con don Giuseppe.

Premio di questa fede e del grande impegno missionario di don Giuseppe è quello che anche l’apostolo Paolo attendeva alla fine della vita. Lo abbiamo ascoltato nella seconda lettura: «Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma anche a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione. […] Il Signore mi libererà da ogni male e mi porterà in salvo nei cieli, nel suo regno». Preghiamo allora con fede e con speranza per questo bravo nostro sacerdote in questa celebrazione esequiale, ma chiediamogli anche la sua preghiera dal Cielo affinché la nostra Chiesa, anche in forme nuove, possa sempre vivere uno spirito autenticamente missionario.