Giovani e povertà culturale

Il nostro tempo è quello che ci è dato da vivere, non ne abbiamo un altro quindi è ora e nel contesto in cui ci troviamo, che siamo chiamati a rispondere alle sfide che si presentano. Certamente non è facile stare al passo con i tempi perché gli eventi si susseguono con una repentinità che non lascia molto spazio alla riflessione e il dinamismo incalzante fa procedere velocemente obtorto collo. Tutto è accelerato e, mentre i giovani sono abituati ai ritmi veloci, le generazioni non più giovani, faticano ad abituarsi. Tuttavia, benché questo aspetto sottolinei il gap generazionale, non è il solo e più significativo elemento di frattura tra i due mondi. L’argomento che maggiormente interessa il mondo cattolico è la mancanza di adesione alla fede o, meglio, alla religione.
La principale considerazione che si formula con regolarità all’interno di qualsiasi ambito di discussione a carattere pastorale è la mancanza dei giovani in chiesa e la quasi assoluta assenza alla vita parrocchiale.
Dove sono i giovani? Cosa fanno? Quali sono i loro interessi? Queste le domande più frequenti. La recente indagine condotta da Paola Bignardi intitolata “Cerco, dunque credo?”, dimostra che la fede dei giovani nasce dentro di loro, se viene “imposta” da fuori, allora si allontanano dalla Chiesa. Ed è quello che sta avvenendo in modo evidente e sul quale siamo tutti chiamati ad interrogarci. Rispetto al passato hanno un nuovo modo di credere che trascende le conoscenze trasmesse da altri e si basa soprattutto su una ricerca personale. Agli occhi di chi ha vissuto il proprio percorso di fede coniugando la tradizione con i cambiamenti che la Chiesa ha compiuto negli ultimi anni, risulta complicato decodificare atteggiamenti e manifestazioni che riguardano il mondo giovanile.
Purtroppo il quadro generale fa emergere un divario di preparazione e conoscenza che non ha pari nel passato. Sorretti e aiutati dalla tecnologia, i giovani sono tuttavia sempre meno preparati dal punto di vista culturale, molti hanno conoscenze geografiche deficitarie, il linguaggio è sempre più scarno e piatto, lo spirito critico si riduce a meri stereotipi. Lasciando da parte l’aspetto della fede e della spiritualità, la conoscenza religiosa cristiana è a dir poco inesistente.
Un esempio emblematico mi è capitato di recente durante la partecipazione ad una messa di inizio anno scolastico con una scuola superiore. Silenzio assordante! Nulle le voci di risposta al celebrante, nessuna partecipazione e totale mancanza di riferimenti nel riconoscere le parti liturgiche. Lo scambio della pace è diventata una goliardica occasione del “dammi cinque” e la Comunione un’ammucchiata generale. Uno studente è riuscito a prendere l’Ostia e a passarla all’amico dietro di lui mentre una ragazza l’ha messa in bocca poi l’ha tolta ed era in procinto di buttarla nello zaino al punto che, notata la scena, l’ho fermata e le ho chiesto che cosa stesse facendo. Risposta “Ma cos’è sta roba? L’ho assaggiata e fa schifo, sa di plastica”. “Adesso la inghiotti, poi mi spieghi perché sei andata a prenderla”. “Niente, ci sono andati tutti e ho voluto andarci anch’io”. Non la conosco ma credo sia una brava e buona ragazza come tutti gli altri. Nessuna critica alla persona però questo episodio mi ha creato turbamento. Possibile che una ragazza di 15-16 anni non sappia cosa sia l’Eucarestia? Purtroppo non è un caso isolato perché oggigiorno l’analfabetismo religioso è sempre più dilagante e non si sa come arginarlo.
Non sto parlando di fede.
Allora la mia domanda è: d’accordo che i giovani stanno cercando altre strade ma conoscono quello che stanno lasciando? Hanno approfondito? Si sono incuriositi? Hanno trovato degli adulti di riferimento che li hanno saputi agganciare? È fin troppo banale concludere che manca il sostegno delle famiglie però anche questa domanda è lecita.
Certamente non tutti appartengono a questa categoria,
i giovani che hanno scritto ai padri sinodali esprimendo la loro delusione verso una Chiesa che non ha il coraggio di cambiare, hanno seguito un altro percorso e con grande sofferenza si sono allontanati da una realtà che non comunica loro più nulla. Però sono una percentuale piuttosto ridotta mentre la maggioranza semplicemente non conosce.
Vivere questo tempo significa quindi saper dare delle risposte anche a queste domande che sono inedite perché aprono il dibattito su un orizzonte nuovo: la mancanza di cultura e di conoscenza può essere accettata come un passaggio storico che porterà ad un’evoluzione o ci pone di fronte ad un rischio di involuzione? Quali sono gli strumenti che gli adulti di oggi mettono in atto per contrastare il rischio di questa deriva culturale? Chi lavora in mezzo ai giovani nelle scuole, rimane sbigottito dal loro livello di preparazione sempre più basso e annacquato da lacune ovunque.
Il quadro è preoccupante.
Rischiamo di essere spettatori impotenti trascinati dalla corrente se non affrontiamo seriamente questa povertà culturale che sta trasformando il tessuto sociale portando ad un appiattimento senza precedenti.
Insieme raccogliamo la sfida e facciamo la nostra parte, apriamo tavoli di discussione, troviamo strategie, favoriamo confronti…qualcosa si deve fare, da qualche parte bisogna partire.
Daniela Antonioli, Consiglio diocesano Ac

(foto Calvarese/SIR)