Essere compassione

Tempo fa un giornalista mi chiedeva quale significato deve assumere per le nostre comunità il celebrare una Giornata come quella in cui ormai da otto anni il Papa ci invita a fare attenzione ai poveri.
Credo che per rispondere a questa domanda ci aiuti la nota parabola che noi denominiamo del “buon samaritano”. Essa ci porta a fare un passo ulteriore rispetto alla “regola aurea” dell’amore verso l’altro, espressa negativamente nell’Antico Testamento (e in molte tradizioni religiose (“Non fare a nessuno ciò che non piace a te “, Tobia 4,15) e positivamente nel Vangelo (“Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti”, Mt 7,12, Lc 6,31).
La parabola, infatti, ci fa comprendere che oltre al “non fare” (ciò che è negativo) e “al fare” (il bene), è fondamentale la “compassione”: “Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti? Quello rispose: “Chi ha avuto compassione di lui” (Lc 10,36-37).
Avere compassione anche quando non si può fare nulla: piangere quando alla televisione vedi un bambino ucciso in un bombardamento a Gaza sapendo che umanamente non puoi fare niente o tenere la mano di un malato terminale quando sai che non c’è più niente da fare…
Ecco allora l’importanza di riuscire a recuperare la compassione oggi in un tempo dove- soprattutto nel dopo Covid – sono aumentati il nervosismo, la pretesa, la suscettibilità…
Ma questo non è proprio facile!
Scrive Paolo ai Filippesi: “Abbiate gli stessi sentimenti di Cristo” (Filippesi 2,5). Ed è questo il dono da chiedere al Signore, anche per vivere la prima delle tre vie che papa Francesco ha indicato alla Caritas italiana in occasione del suo 50°: la via degli ultimi.
Gli ultimi sono le persone considerate “scarto” nella società (per usare una terminologia cara a papa Francesco), ma spesso sono i più disponibili ad accogliere il Regno di Dio di chi si considera primo (e molte volte non ha consapevolezza del dono ricevuto: lavorare nella vigna è il premio).
Gli ultimi dovrebbero inquietare i primi, che siamo noi. Dice papa Francesco: “Sono i poveri che mettono il dito nella piaga delle nostre contraddizioni e inquietano la nostra coscienza in modo salutare, invitandoci al cambiamento. Quando il nostro cuore, la nostra coscienza, guardando il povero, i poveri, non si inquieta, fermatevi…, dovremmo fermarci: qualcosa non funziona”.
Verso gli ultimi papa Francesco propone tre atteggiamenti.
Anzitutto la ricerca. Le rilevazioni sulla povertà dovrebbero aiutarci a scoprire chi sono gli ultimi: se però sono fatte come monitoraggio a partire dalla nostra esperienza (in concreto, evidenziando chi si rivolge a noi) rischiano di essere limitate e in qualche maniera di autoconfermarci. Occorre avvalersi anche di altro per scoprire le povertà.
Ma anche impegnare i cristiani a scoprire la “povertà della porta accanto” che può e deve diventare “carità della porta accanto”.
Ci sono luoghi della povertà da frequentare per incontrare realmente gli ultimi: quartieri poveri, case povere, periferie, accampamenti, carceri, luoghi di lavoro (e di sfruttamento) …, ma anche scuole, ospedali, case per anziani, ecc.
Un secondo atteggiamento suggerito da papa Francesco è la misericordia – che è la chiave, mi pare, di tutto il suo pontificato – una misericordia che fa cercare le persone più deboli, si spinge fino alle frontiere più difficili, con due scopi. Anzitutto liberare le persone dalle schiavitù che le opprimono. Vengono qui in mente tra le diverse schiavitù le dipendenze: alcol, droga, gioco, pornografia, ecc.
Anche queste persone sono ultime e spesso con esse le loro famiglie, che subiscono disastri anche economici. Altro scopo è quello di rendere le persone protagoniste della propria vita.
Non è facile e in diversi casi di grave marginalità sembra impossibile. Eppure ci sono dei percorsi e delle possibilità anche solo per offrire dei piccoli segni di libertà.
Ho conosciuto percorsi che hanno portato a piccole autonomie persone con problemi psichiatrici.
Un terzo atteggiamento indicato da papa Francesco è quello di guardare i poveri negli occhi e vedere la realtà con i loro occhi. La prospettiva dei poveri è quella di Gesù e, per rifarci alla parabola del buon samaritano, quella dell’uomo incappato nei briganti e soccorso dal buon samaritano. Se teniamo questa prospettiva come bussola del nostro agire quotidiano, anche la Giornata dei poveri cessa di essere un’obbligata ripetizione annuale e assume un significato diverso.
Come ci indica Papa Francesco anche con la sua ultima Enciclica “Dilexit nos” sull’amore divino ed umano del cuore di Gesù: “Se ci dedichiamo ad aiutare qualcuno, non significa che ci dimentichiamo di Gesù.
Al contrario, lo troviamo in un altro modo. E quando cerchiamo di sollevare e guarire qualcuno, Gesù è li accanto a noi… lavora, lotta e fa del bene con noi. In modo misterioso è il suo amore che si manifesta attraverso il nostro servizio ed è Lui stesso che parla al mondo in quel linguaggio che a volte non può avere parole” (n.214).

+ Carlo Roberto Maria Redaelli, arcivescovo di Gorizia e presidente di Caritas italiana

(Foto ANSA/SIR)