“E mio padre giunse a Gorizia da Vinchiaturo…”/ I racconti di via Caprin 21

Prosegue il racconto di Guido Marziani, affezionato amico di Voce Isontina, goriziano d’origine ma che da diversi anni vive in quel di Rimini.
In quest’occasione condivide con tutti noi i ricordi dell’infanzia e gioventù trascorsa in via Caprin, raccontando delle famiglie che vivevano, accanto alla sua, presso il civico 21.
Il suo racconto continua ora presentandoci proprio la sua famiglia.

A questo punto si può dire qualcosa anche di noi, che occupavamo lo stesso primo piano dei Lovera.
Nostro padre, Tommasino per la mamma, era anche lui capostazione; sua moglie, nostra madre Maria, si occupava a pieno titolo di casa.
La famiglia si completava con quattro figli: Piero, Vittorio, il sottoscritto e Giuliana.
Tra i due primi figli e noi più giovani, correva la differenza di un decennio.
Tutti insieme vivevamo in piena armonia, un ottimo clima casalingo propiziato da una madre che si occupava di noi con molta cura ed affetto. Mamma era una bravissima cuoca: aveva imparato a cucinare a Bovino, in provincia di Foggia, nella cui stazione ferroviaria i suoi gestivano il ristorante.
Una vita familiare tranquilla e serena, che ebbe però un momento critico nei primi tempi di Giuliana, quando la bimba ebbe una grave forma di polmonite che fortunatamente venne superato grazie soprattutto alle attenzioni ed alle cure che mia madre le rivolgeva.
Tornata la tranquillità in casa, mamma potè continuare a svolgere a pieno ritmo il proprio ruolo soprattutto occupandosi di suo marito: ricordo bene come nelle sere in cui lui era in servizio per la notte gli preparava il caffè caldo, che io portavo in stazione. Altrettanto ben presente, mi è la valigetta da lei ordinatamente riempita con un apposito pranzo per il capostazione in trasferta. Veniva consegnata da me al personale del treno che, verso mezzogiorno, avrebbe raggiunto papà quando le sue provvisorie destinazioni lo vedevano assegnato nelle varie stazioni della linea Transalpina.
Da parte mia cercavo di seguirlo anche fuori sede, oltre che andarlo a trovare nel suo ufficio: in questo modo potevo conoscere da vicino il suo lavoro e potevo vedere gl’impianti delle diverse stazioni.
Lo raggiungevo in bicicletta a Gorizia-San Marco, in littorina o in treno nelle località più lontane come Aidussina, Canale d’Isonzo, Salona, Gracova-Serravalle…
Una volta con me venne anche mia madre e ricordo che, proprio in uno dei locali del luogo nei quali ci trovavamo, le venne insegnato come si prepara lo “strudel” secondo la ricetta tipica di quella zona.
Ad Auzza invece, dove papà era stato trasferito per un certo tempo, tutti di casa trascorremmo in vacanza l’intera estate.
Si muoveva mio padre e noi quando potevamo lo seguivamo: i miei, con un ferroviere in famiglia, erano abituati agli spostamenti e la prova più evidente era proprio che da meridionali di origine erano finiti al nord.
Mio padre era nato a Vinchiaturo, poco distante da Campobasso, mia madre a Montaguto in provincia di Avellino.
Nonno Pietro, padre di papà, proveniva però da Roseto degli Abruzzi, ma trovò come moglie una donna del Sannio, nonna Nicoletta.
Insieme diressero un casello ferroviario, sulla linea che da Campobasso va sia a Benevento che ad Isernia.
I genitori di mamma invece non avevano altra provenienza che il proprio paese, ma vissero alla stazione di Bovino, in provincia di Foggia, dove gestirono il ristorante.
Da quelle parti arrivò anche mio padre, già capostazione, e si può capire come alla fine sposò proprio la figlia del ristoratore.
Da militare, come radiotelegrafista era stato spedito in Libia, in occasione della guerra Italo-Turca del 1911-12 e più
tardi, da richiamato, sempre come telegrafista del Genio, partecipò alla Grande Guerra venendo destinato alla stazione-radio di Tolmezzo, in Carnia. Il suo era un impianto, oltre che fisso, anche mobile, così che ebbe l’occasione di spostarsi e conoscere diverse località di lassù.
Perciò, rientrato nel servizio ferroviario, al momento in cui venne invitato a scegliere una stazione per un trasferimento, ne scelse una del territorio che aveva conosciuto durante la guerra: Dogna (paese di cui, peraltro, ancora conserviamo la foto di quando venne colpito da un 420 austriaco, a tetsimonianza della presenza di mio padre lì proprio nei giorni in cui quel fatto accade).
Con il suo mezzo mobile, a suo tempo, deve aver percorso anche il Canale di Dogna, visto che possediamo una foto di Chiout ripresa con la sua macchina fotografica. Immortalò persino il sistema di reticolati difensivi che erano stati messi sulle prime pendici del Montasio!
Dalla stazione di Dogna il capostazione nostalgico venne trasferito a Carnia, sempre sullo stesso percorso ferroviario, ma in uno snodo di maggiore importanza.
Di là partiva, infatti, la linea ferroviaria non statale della “Veneta”, che andava a Tolmezzo e a Villa Santina.
Nella nuova residenza si fermò il tempo sufficiente per veder nascere, nel fabbricato della stazione naturalmente, me nel 1931 e mia sorella Giuliana, nel 1933.
Da lassù, poco dopo, venne trasferito a Gorizia, alla stazione Montesanto.

7. continua