La Speranza al centro dei messaggi dell’arcivescovo: “Il Natale va al principio e non imbroglia”
25 Dicembre 2024
Ha parlato di Speranza l’arcivescovo di Gorizia, monsignor Carlo Roberto Maria Redaelli, durante l’omelia nella celebrazione eucaristica “in nocte” nel Natale, unica celebrata a mezzanotte in tutta la città di Gorizia. “La Speranza è la parola chiave del Giubileo indetto da Papa Francesco, utile in questo periodo non semplice. Che speranza abbiamo noi? Ce ne sono tante, dal lavoro alla famiglia alla salute. Così i pastori di Betlemme ne avevano. Ma non avevano solo speranze materiali, perché c’erano anche speranze per la vita eterna. La speranza di un messia, che arriva annunciato da un angelo che ribadisce: “É nato per voi un salvatore”, uno che porta salvezza. Ma che cos’é la salvezza? Penso che i pastori se lo siano domandato”, così il presule.
“Non abbiamo bisogno di una salvezza materiale ma di una che dia un senso a tutta la nostra esistenza, che dia risposta a quello che abbiamo nel cuore, di una gioia e di un amore che sono talmente grandi che abbiamo paura di immaginarli. Il Natale ci richiama a non aver paura, a richiamare una speranza che sia ben più grande e che si manifesterà in pienezza al compimento di tutto”, ha concluso Redaelli.
Celebrazione accompagnata dalla Cappella Metropolitana diretta da Fulvio Madotto e accompagnata all’organo da Marco Colella. La corale ha eseguito, per l’occasione, la “Messa breve per tre voci e assemblea” composta dallo stesso Madotto. Sarà la stessa Cappella metropolitana ad accompagnare le liturgie dell’arcivescovo nelle giornate del 31 dicembre con il Te Deum alle 18 a Sant’Ignazio, del 1° gennaio alle 11 in Cattedrale nella festa di “Maria Madre di Dio” con il canto del Veni Creator e, infine, per l’Epifania, alle 11.30 in Cattedrale.
“Una messa che è stata composta appositamente per consentire alla Cappella Metropolitana un’esecuzione senza grosse difficoltà di organico e rispondere alle esigenze di partecipazione dell’assemblea richieste dal Concilio Vaticano II”, così Madotto che ha approfittato per richiamare la necessità di avvicinare sempre nuovi coristi e coriste alla realtà corale che accompagna le liturgie nella Chiesa Cattedrale di Gorizia.
Nella giornata di oggi, invece, durante la messa del Giorno celebrata nella chiesa di Sant’Ignazio, monsignor Redaelli ha centrato l’omelia sul tema del “perché”, domanda posta spesso dai bambini e che raggiunge ogni età: “circa la fede o, almeno, la religiosità, non mancano ricerche e analisi sul perché per esempio la gente dopo il Covid frequenta meno le chiese o su quale sia oggi la posizione dei giovani verso la fede. Ma raramente si scava più a fondo e ancor più eccezionalmente si arriva a proporre qualche possibile via di soluzione. Davanti a questa situazione forse non sarebbe male tornare ai “perché” dei bambini e non fermarsi nella concatenazione di domande e di risposte finché non si arriva all’inizio. Domandarsi per esempio perché ci sono le guerre, ma anche perché la gente non smette di sperare nella pace. Chiedersi perché c’è tanta cattiveria, ma anche perché ci sono ancora persone che con generosità aiutano gli altri. Interrogarsi sul perché ci sono tante fragilità affettive, ma anche perché nonostante tutto ci sono ancora giovani che si sposano e credono nell’amore. E così via”.
Sono proprio i “perché”, secondo Redaelli, a portarci “al principio: non ci si può fermare a metà strada. E lo dice anche il Vangelo di oggi. Proprio dal momento che c’è questo principio, possiamo avere il coraggio di porci le domande essenziali senza aver paura che restino senza risposta (o forse per questo non ce le facciamo…): perché esiste il mondo? perché sono al mondo? la mia vita ha un senso? per cosa vale la pena vivere? vengo dal nulla e sono destinato al nulla? alla fine vincerà l’amore o l’odio? Quel principio di cui parla l’inizio del Vangelo di Giovanni non è però una realtà astratta e neppure un Verbo di Dio lontano e inconoscibile, perché lo stesso evangelista ci ricorda che «il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi». Il Verbo di Dio è divenuto uomo; è diventato bambino ed è cresciuto come noi (anche Gesù Bambino avrà tempestato di “perché” Maria e Giuseppe…); è vissuto come noi in una realtà intessuta di lavoro, di relazioni, di feste e di lutti, esattamente come la nostra; ci ha parlato di Dio con parole di uomo; ha donato per noi la sua vita quando è stato inchiodato sulla croce; è risorto da morte aprendoci alla speranza; ci ha donato lo Spirito affinché avessimo la vita; tornerà alla fine dei giorni per condurci nel Regno di gioia di Dio. Il Natale ci rivela tutto questo. Non è solo una bella festa da vivere in famiglia, un momento di sosta nella nostra vita frenetica, uno scambio di auguri e di doni. Il Natale va al principio. Non ci imbroglia, non lascia senza risposta i nostri “perché” più impegnativi. Ma anche ci interpella nella nostra libertà e responsabilità: il Verbo di Dio può essere rifiutato oppure accolto. Sta a noi deciderlo”, ha concluso l’arcivescovo.
Ivan Bianchi.
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