Vittorio Bachelet, le ragioni del perdono
17 Febbraio 2020
Il prof. Vittorio Bachelet – ricordato in questi giorni nel quarantesimo della uccisaione per mano delle Brigate rosse – è stato di casa a Gorizia e, soprattutto, nell’Azione cattolica diocesana. Prima, nel tempo della sua presenza a Trieste, come docente universitario e, poi, in occasione di assemblee ed incontri diocesani dell’ACI. L’immagine che pubblichiamo lo ritrae insieme al maestro Casmillo Medeot e all’Arcivescovo Pietro Cocolin,: una presenza sicura come uno di casa; rinnovata anche dalla partecipazione del figlio Giovanni che, con la sua adesione ad altri momenti della storia di questi ultimi cinquant’anni, ha reso ancora più forte il legame.Una presenza che in tanti evoca intensi sentimenti e una tradizione straordinaria.Quella dell’uomo di studi, del Concilio, del dialogo e dell’impegno nel mondo, della chiesa e della scelta religiosa; in modo specialissimo, della misericordia e del perdono come risposta alla violenza.Erano gli anni ’60 e ’70 del secolo scorso: la tragedia avvenne il 10 febbraio del 1980. Quaranta anni fa. Prima di lui, vittime delle Br e del terrorismo che aveva voluto colpire la corte costituzionale, avevano pagato con la vita in tanti. Giudici, politici, giornalisti, uomini e donne, servitori dello Stato. Il delitto Bachelet era stato preceduto dal delitto Moro dal delitto di Piersanti Mattarella, presidente della regione siciliana; con loro esponenti qualificati del movimento cattolico italiano sono stati chiamati a pagare con la vita la loro testimonianza, il loro servizio e la loro presenza nelle istituzioni che si intendeva distruggere. Un vero disegno per impaurire un Paese e per invitare, a quanti ritenevano di dovere accettare il mandato, a disertare a tutti i livelli l’impegno politico e l’esercizio della democrazia. La personalità del prof. Bachelet era nota come presidente dell’ACI subito dopo il Concilio e autore del rinnovamento degli Statuti di Aci (1969): la grande stagione dell’attuazione del fuoco conciliare nelle strutture della vita della chiesa e della società: l’Azione cattolica – per il numero degli aderenti e la presenza in tutte le chiese e in ogni angolo dei mille campanili della provincia italiana, non poteva che essere il luogo e lo strumento di questa operazione che saldava un nuovo rapporto tra fede e vita, la militanza (nella distinzione) del mondo cattolico nella società e la determinazione di un laicato adulto che, in prima persona, si assume la responsabilità della testimonianza e del servizio.Il travaglio fu guidato con mano sapiente dal prof. Bachelet che passò la mano per assumere incarichi di grande rilevanza nella vita politica e istituzionale. Ricordato dai suoi studente come uomo del dialogo e dell’incontro, ha lasciato in eredità quella sapienza del cuore e quella mitezza della politica e delle istituzioni, insieme con la rigorosità di una moralità che costituiva un punto fermo di una fase di rinnovamento della società e della politica che è stata interrotta con l’orrore delle armi. Un prezzo altissimo di vite umane che però non è stato sconfitto: dal padre Vittorio, al figlio Giovanni – ai fratelli sacerdoti gesuiti, i padri Bachelet, che avevano amici anche a Gorizia – venne una scia di vita: la preghiera di perdono (insieme con la dichiarazione di impegno per chi lavora per la giustizia) e l’opera di incontro con gli esponenti della violenza, hanno avuto successo. Al punto che, quaranta anni dopo si deve parlare “di una scommessa vinta”, quella del coraggio e dell’amore, della misericordia e della fiducia. Non solo: il terrorismo è stato vinto e debellata una stagione che, fondata sulla violenza, puntava sulla vendetta come unica strada per la vita delle persone, per la pace civile e il futuro della società. L’obiettivo stesso del terrorismo è stato sconfitto; e così il metodo e la perversità dell’ideologismo.Grazie alla testimonianza del prof. Vittorio Bachelet, amico di Gorizia e dei testimoni che ne hanno colto la lezione e seguito gli insegnamenti.
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