Oltre le banalità…
14 Aprile 2020
Per noi tutti, piccoli e modesti eredi de “La persuasione e la retorica” del gorizianissimo ed insieme europeo Carlo Michestaedter, si impone l’invito ad andare oltre a tali banalità. In nome della logica, e soprattutto di una fede che non è solo religione come l’eccelso giovane autore conferma; anzi, diventa visione della vita e della storia che egli, proprio nel disperato gesto finale, di mostra di avere in grande conto.In tanti, per un abuso di televisione causato da troppo tempo libero e anche da abitudine inveterata, abbiamo fatto incetta di espressioni così icastiche. Detti concisi che diventano luoghi comuni, retorica a buon mercato che si respira come un narcotico; a volte, per non prendere atto della situazione, pesante e complessa, e per quella scarsa capacità di discernimento, che resta una aspirazione singolare e non un dono ricercato. Per tutti. In primo luogo proprio per gli operatori e per gli strumenti della comunicazione sociale.***Qualche esempio: oltre “andrà tutto bene”, si è ascoltato “state in casa”, in un crescendo tremendoso “sarà una guerra”, “in guerra si combatte”, “il meglio deve ancora venire”, “la democrazia a rischio”, “maledetta primavera”, “niente sarà più come prima”, “l’esperienza non insegna niente”, “Il mondo è interdipendente” … Fino all’ultimo -espresso dal Papa lo scorso venerdì della misericordia in piazza S.Pietro – colto nella sintesi giornalistica e che salviamo per l’autorevolezza che riconosciamo: “Nessuno si salva da solo”. Non è difficile riconoscere la povertà di idee che facilita il ricorso ad una facile ripetitività. Non pochi di questi proverbi e constatazioni, per la verità, risultano validi per tutti gli anni di una vita; tanto più nella situazione in cui ci troviamo, pieni di paura costretti ed asserragliarti fra le mura domestiche, con uno strano senso di colpa per una “punizione” che viviamo come ampiamente meritata; prenderne atto, fa bene. L’energia per rialzarsi -ancora una volta come il coraggio manzoniano- bisogna farsela venire. Non cade dall’alto,come manifestazione di tanta sapienza un po’ pelosa e comunque inconcludente.***Due o tre considerazioni paiono veritiere e dimostrano che la strada della saggezza è lunga: il ricorso ad immagini guerresche e comunque di guerra fonda, appare assolutamente limitante e fuorviante. Termini come battaglia, peggio guerra, nuova guerra e, poi, il ricorso alle diverse armi… oltre a far parte di un bagaglio dove tutto è “storico” e roboante, vanno dismesse e abbandonate. Non sarà, invece, che il vocabolario è povero e consunto e che il ricorso ad immagini violente persegue altri obiettivi? Primo fra tutti quello che inscenare guerre -che per noi sono sempre perse, meno una- o di invitare ad ingaggiare battaglie nelle quali preferiamo sempre mandare gli altri, secondo l’adagio “armiamoci e partite”?Oltre al linguaggio, la retorica rischia di fare un tutt’uno delle sacrosante verità e della tentazione di strumentalizzare ogni cosa. Le certezze, poche anche quelle scientifiche, non possono sopportare l’uso non uguale dei numeri; l’utilizzo dei paragoni esagerati e ad uso di pochi intimi, tradisce. Il risultato è che non ci si capisce più e si inscena una storia senza nè capo nè coda. Tamponi sì, tamponi no, mascherine a tutti o a pochi, in una improvvisazione di ruoli e di linguaggi con ampio ricorso alla lingua inglese per dire cose per le quali la lingua di Dante ha amplissime opportunità e sfumature impensabili. Di chiarezza. Gli slogans possono anche funzionare quando riassumono e sintetizzano; quando sono esagerati non sono un buon inizio e, anzi, diventano un peso in quanto presumono di semplificare quello che è complesso. La complessità -in tutti campi- oggi come ieri e come domani, impone agli esseri raziocinanti ed a tutti di fare uno sforzo di accettazione e di comprensione. Quest’ultima è frutto di lettura adeguata, di utilizzo di strumento corretti di analisi, di pazienza e di cultura. Non certo di quella libresca che serve a poco, quando invece si ha bisogno di un approccio culturale articolato che si esige per (“cercare di”) capire i cambiamenti in atto, soprattutto quelli imposti dalla vita. In nome , finalmente, di un “”Noi e non di tanti “io” autoreferenziali.Comunque, “tutto andrà bene!” Anzi, “il meglio deve ancora venire!”retori di regime non mancano mai nelle civiltà opulente e in quelle in difficoltà, nelle esplosioni di onnipotenza e nella fragilità delle crisi e delle paure. Per noi tutti, piccoli e modesti eredi de “La persuasione e la retorica” del gorizianissimo ed insieme europeo Carlo Michestaedter, si impone l’invito ad andare oltre a tali banalità. In nome della logica, e soprattutto di una fede che non è solo religione come l’eccelso giovane autore conferma; anzi, diventa visione della vita e della storia che egli, proprio nel disperato gesto finale, di mostra di avere in grande conto.In tanti, per un abuso di televisione causato da troppo tempo libero e anche da abitudine inveterata, abbiamo fatto incetta di espressioni così icastiche. Detti concisi che diventano luoghi comuni, retorica a buon mercato che si respira come un narcotico; a volte, per non prendere atto della situazione, pesante e complessa, e per quella scarsa capacità di discernimento, che resta una aspirazione singolare e non un dono ricercato. Per tutti. In primo luogo proprio per gli operatori e per gli strumenti della comunicazione sociale.***Qualche esempio: oltre “andrà tutto bene”, si è ascoltato “state in casa”, in un crescendo tremendoso “sarà una guerra”, “in guerra si combatte”, “il meglio deve ancora venire”, “la democrazia a rischio”, “maledetta primavera”, “niente sarà più come prima”, “l’esperienza non insegna niente”, “Il mondo è interdipendente” … Fino all’ultimo -espresso dal Papa lo scorso venerdì della misericordia in piazza S.Pietro – colto nella sintesi giornalistica e che salviamo per l’autorevolezza che riconosciamo: “Nessuno si salva da solo”. Non è difficile riconoscere la povertà di idee che facilita il ricorso ad una facile ripetitività. Non pochi di questi proverbi e constatazioni, per la verità, risultano validi per tutti gli anni di una vita; tanto più nella situazione in cui ci troviamo, pieni di paura costretti ed asserragliarti fra le mura domestiche, con uno strano senso di colpa per una “punizione” che viviamo come ampiamente meritata; prenderne atto, fa bene. L’energia per rialzarsi -ancora una volta come il coraggio manzoniano- bisogna farsela venire. Non cade dall’alto,come manifestazione di tanta sapienza un po’ pelosa e comunque inconcludente.***Due o tre considerazioni paiono veritiere e dimostrano che la strada della saggezza è lunga: il ricorso ad immagini guerresche e comunque di guerra fonda, appare assolutamente limitante e fuorviante. Termini come battaglia, peggio guerra, nuova guerra e, poi, il ricorso alle diverse armi… oltre a far parte di un bagaglio dove tutto è “storico” e roboante, vanno dismesse e abbandonate. Non sarà, invece, che il vocabolario è povero e consunto e che il ricorso ad immagini violente persegue altri obiettivi? Primo fra tutti quello che inscenare guerre -che per noi sono sempre perse, meno una- o di invitare ad ingaggiare battaglie nelle quali preferiamo sempre mandare gli altri, secondo l’adagio “armiamoci e partite”?Oltre al linguaggio, la retorica rischia di fare un tutt’uno delle sacrosante verità e della tentazione di strumentalizzare ogni cosa. Le certezze, poche anche quelle scientifiche, non possono sopportare l’uso non uguale dei numeri; l’utilizzo dei paragoni esagerati e ad uso di pochi intimi, tradisce. Il risultato è che non ci si capisce più e si inscena una storia senza nè capo nè coda. Tamponi sì, tamponi no, mascherine a tutti o a pochi, in una improvvisazione di ruoli e di linguaggi con ampio ricorso alla lingua inglese per dire cose per le quali la lingua di Dante ha amplissime opportunità e sfumature impensabili. Di chiarezza. Gli slogans possono anche funzionare quando riassumono e sintetizzano; quando sono esagerati non sono un buon inizio e, anzi, diventano un peso in quanto presumono di semplificare quello che è complesso. La complessità -in tutti campi- oggi come ieri e come domani, impone agli esseri raziocinanti ed a tutti di fare uno sforzo di accettazione e di comprensione. Quest’ultima è frutto di lettura adeguata, di utilizzo di strumento corretti di analisi, di pazienza e di cultura. Non certo di quella libresca che serve a poco, quando invece si ha bisogno di un approccio culturale articolato che si esige per (“cercare di”) capire i cambiamenti in atto, soprattutto quelli imposti dalla vita. In nome , finalmente, di un “”Noi e non di tanti “io” autoreferenziali.Comunque, “tutto andrà bene!” Anzi, “il meglio deve ancora venire!”
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