Storie di “donne legate da un filo di lana”
19 Maggio 2020
È proprio un filo di lana quello che lega le parole di Gabriella Brumat Dellasorte e le creazioni di Elena Puntin in un’opera che vuole commemorare un’importante ricorrenza: il 2200 anniversario della Fondazione di Aquileia, importantissima città dell’Impero Romano, centro di diffusione del Cristianesimo, via di scambi commerciali e culturali, luogo che ancor oggi offre al visitatore un fascino notevole con la capacità di Gabriella di immergerlo, nella semplicità che la caratterizza, in una storia passata, ma in qualche modo ancor viva al suo presente.Come spesso la storia insegna, è stato un incontro fortuito ad avvicinare Gabriella ed Elena, e il mezzo è stato un materiale antichissimo, a suo modo prezioso, com’è quello della lana, prezioso per le sue implicazioni storiche, mitiche e sociali che si stagliano su un percorso che lega il passato al presente. E il filo che lega Gabriella ed Elena si snoda proprio dall’antica Aquileia e giunge fino all’oggi sia nei testi di Gabriella che nei lavori di Elena in cui rivive un passato che è nostro, che non possiamo tralasciare, né dimenticare. Di ciò sono testimonianza le diverse voci che presentano o introducono in svariati modi il libro, prefazioni che si fanno leggere, perché ognuna riesce a sviscerare un aspetto di spessore del testo.I percorsi delle due autrici sono molto diversi, ma si incontrano in questo libro come per magia, mettendo in evidenza un mondo che non è luce che rimbalza agli occhi di tutti urlando a squarciagola, è altresì un mondo sotterraneo, caratterizzato da una luce fioca e da una voce dolce e melodiosa che fa da sfondo.Questi elementi, però, si fanno strada su quel sentiero che s’impegna a mantenere vive le nostre tradizioni, anche quelle legate alla manualità delle donne della nostra Terra, alla loro capacità di salvare ogni situazione, anche la più terribile, spesso con capacità ancestrali, ataviche, quasi magiche come se compissero degli incantesimi. Incantesimi alle volte intrisi di sofferenza, di impegno, di dolore, ma, anche, del calore tutto femminile che caratterizza l’operato quotidiano di una donna.Ed ecco che da un filo di lana nasce un tessuto, un intreccio di diversi fili che, come sottolinea Angelo Floramo nella sua presentazione, crea un progetto più ampio in cui ogni filo, appunto, trova una sua precisa collocazione, proprio come succede nei magnifici lavori di Elena Puntin che si possono ammirare in quel di Gorizia, ai piedi della salita che porta al Castello, in una città di confine, non casualmente legata da diversi fili a un’Europa passata e presente, stratificata di storia, multietnica e, allo stesso tempo, radicata nelle sue tradizioni.Vita morte rinascita, un epos tutto femminile che spesso vive di quel nostos fatato, un ritorno al grembo materno che aiuta, vivifica, sostiene. Come spesso accade morte e vita si legano e, paradossalmente, ciò che possiamo leggere, trae origine dal ritrovamento di una stele funeraria che fa emergere, a distanza di secoli, la storia di una donna che splende, fa brillare la sua intelligenza, il suo ingegno, come lo definirebbe Boccaccio e che, soprattutto, ha la capacità di elargire questo suo bene, di donare senza chiedere nulla indietroUn personaggio, quello della Trosia Hilara, così come altri che compaiono nei racconti di Gabriella e nelle Crezioni di Elena, che ha molto da insegnare alla nostra società basata sull’apparire, sul vacuum, oserei dire, spesso, sul nulla.Realtà storica e finzione si intrecciano sapientemente all’interno del testo, nei racconti che legano le due autrici, nella ricerca continua, da parte di molti personaggi, di una propria identità, di un’autonomia che possa portare alla libertà. Una libertà che può trovare espressione nell’arte dello scrivere così come in quella della tessitura, dell’artigianalità, entrambe competenze che vengono cullate dalla passione, quella molla che ha mosso l’umanità da sempre.Nulla è lasciato al caso, ogni particolare è ben calato nel contesto, ogni personaggio trova la sua dimensione in un tessuto che non presenta stonature, discromie o, in un’unica parola, disarmonie. Tutto vive in un equilibrio che spinge ad avanzare nel testo, ad accostarsi ad esso attraverso molteplici punti di vista, da quello dello storico, a quello dell’amante di racconti in un percorso tanto sensitivo, quanto intellettivo, stimolante non solo per se stesso, ma anche per una modalità di approccio ai reperti antichi diversa, stimolante, di godimento.Perché osservare un reperto archeologico e accostarsi a esso, non è cosa scontata: il rapporto con il reperto deve smuovere emozioni, deve accrescere in noi il desiderio di conoscere di più, di renderlo parte di noi stessi essendo, esso, un elemento in cui anche noi affondiamo le nostre radici.Leggere questo libro, allora, permette di immergersi in un passato ricco di sensazioni ed emozioni, da cui è difficile uscire o in cui si vorrebbe rimanere per poter godere di esso e di quella concretezza che lo caratterizza, oggi sempre più perduta.Elisa Baldo(Lana e Lanificae – Donne legate da un filo di lana, di Elena Puntin e Gabriella Brumat Dellasorte, ed. Chiandetti)
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