Dad e disuguaglianze

Diversamente da tutti gli anni precedenti, queste date non rappresentano l’inizio di agognate vacanze dopo un lungo periodo trascorso nelle aule con insegnanti e compagni, percepito talora come fatica da cui liberarsi, ma, in genere, come ambito necessario di incontri, scambi di opinione, scherzi, litigi, in una parola, di vita. Aspetti che oggi si ricordano con nostalgia dopo oltre 3 mesi di chiusura delle scuole, mentre si diffonde la preoccupazione per l’avvio del prossimo anno scolastico. Se c’è un’eredità positiva di questa drammatica vicenda è la crescente consapevolezza sul fatto che l’istruzione costituisce solo una parte dell’educazione e che la scuola, nella sua complessità vitale, non può essere sostituita dallo schermo di un computer. E infatti il 23 maggio in tante città d’Italia si sono svolte manifestazioni per rivendicare il diritto alla scuola in presenza. La didattica a distanza (DaD), ribattezzata dell’emergenza o della quarantena, pur necessaria nella fase più acuta della pandemia, non può diventare un modello permanente di scuola. Sui rischi di sottovalutare la centrale importanza della relazione educativa fatta di contatti umani, socialità, rapporti con corpi e oggetti tangibili, si sono levate varie voci, di filosofi, psicologi, pedagogisti, ma anche di molti docenti, genitori e degli stessi studenti. Per quest’anno il Comitato Tecnico Scientifico ha escluso la possibilità di un ritorno a scuola delle classi terminali anche solo per un saluto fra compagni e insegnanti, ma alcuni dirigenti della nostra regione stanno valutando l’ipotesi di realizzare comunque un incontro in presenza, all’aperto, per la consegna delle valutazioni agli allievi di quinta primaria e terza media, mentre gli unici studenti già autorizzati a tornare a scuola sono quelli della formazione professionale: i primi sono stati i ragazzi del Bearzi di Udine. Anche se non è ancora disponibile un quadro complessivo di dati sui costi psicologici e sociali di questa lunga interruzione dell’attività scolastica e sui risultati della DaD, da alcuni riscontri emergono diverse criticità. dalla primaA fine marzo la ministra Azzolina comunicava che la DaD era riuscita a raggiungere più di 6,7 milioni di alunni, il che comunque implica che 1,6 milioni ne restavano esclusi. Nella nostra regione un primo monitoraggio aveva evidenziato 15042 studenti (11% del totale) privi dei mezzi tecnologici per seguire le lezioni on line, numero progressivamente calato a 5039 grazie agli interventi di Governo e Regione per dare strumenti e connessioni a chi ne era sprovvisto. Ma tali numeri, pur importanti, dicono ancora molto poco sugli aspetti sia quantitativi sia soprattutto qualitativi della didattica da remoto. Infatti in parecchi casi le lezioni sono state sporadiche o gli insegnanti si sono limitati all’invio di schede e compiti, senza interagire con gli studenti. Molti docenti hanno dichiarato la loro impreparazione di fronte a questa sfida che non richiede soltanto competenze tecnologiche ma un nuovo modo di impostare la didattica e la relazione educativa. Inoltre dalle poche indagini finora condotte emerge che al 54% dei ragazzi non piace la scuola via web perché manca la presenza fisica di insegnanti e compagni. L’assenza dei regolari orari richiesti dalla scuola ha inciso negativamente sui ritmi sonno-veglia e sulle abitudini alimentari, oltre evidentemente ad aumentare il numero di ore passate su strumenti digitali, che per la maggioranza è più che raddoppiato. Il problema più grave riguarda però la crescita delle disuguaglianze: i ragazzi esclusi appartengono alle fasce più deboli della popolazione; coloro che vivono in famiglie con basso livello economico e culturale faranno più fatica a recuperare; il 36% degli studenti disabili, secondo un sondaggio rivolto ai docenti, è letteralmente sparito dalla didattica a distanza. “La scuola, organo centrale della democrazia”, affermava Calamandrei. Serve una politica coraggiosa e lungimirante che colga nella crisi attuale l’occasione per rimettere la scuola al vertice delle priorità, costruendo una grande alleanza educativa con un piano di investimenti per la ripartenza a settembre. “Fateci tornare a scuola”, si leggeva sui manifesti del 23 maggio: dalla capacità di dare risposte adeguate a questa richiesta dipende il futuro del nostro Paese, la sua possibilità di sviluppo democratico verso una società aperta e inclusiva.  Alcuni dirigenti scolastici hanno rivolto un appello al Presidente della nostra Regione perché siano individuati gli spazi necessari alla riapertura delle scuole. Sarà capace la politica regionale e nazionale di un grande progetto per garantire il futuro delle giovani generazioni e dell’Italia intera?