La fragilità necessaria
5 Ottobre 2020
Don Santi Grasso conclude la stesura del suo libro prima dell’irrompere della pandemia, esponendovi la fragilità insita nella storia umana e volentieri allontanata e disconosciuta, se non negata, a favore di irriducibile spinte egocentriche, assolutistiche. Qualche mese dopo, un aspetto di questa fragilità irrompe nel mondo e lo cambia, forse per sempre. Si chiama CO-VID-19, non un collasso cosmico, un devastante incidente planetario, ma un ultramicroscopico organismo, patogeno per la vita. Si chiamerà paura, quella stessa che ci ha portato a sottovalutarne la portata prima, ad accettare costrizioni poi. Ma può richiamare anche responsabilità, amore, condivisione, lontani anni luce da quella preoccupazione di sé che si declina in viltà.E’ così che il libro si rivela profetico, ricerca della parole di Dio nella storia umana: visione profetica come corretta visione del presente.Oggi – dice l’autore – la percezione della fragilità è per un verso superiore, per un altro inferiore a quella del passato, ma la presunzione che ogni forma di fragilità possa essere eliminata fa avvertire molto più acutamente lo scacco a cui essa sottopone gli esseri umani… La fragilità talvolta si estrinseca in forme di male e di peccato. L’accanimento sulle parole “male” e “peccato” ingenera forti sensi di colpa, che facilmente si trasformano in frustrazioni. Ma, prima, entrambi termini estrinsecano il male di vivere…Perché la vita è impervia, frequenti le sue ferite e non definitive le sue rimarginazioni.Le relazioni tra gli esseri umani sono diventate molto fragili, perché ripetono la vulnerabilità delle persone… Ci si deve invece riappropriare del senso di, fragilità della vita, condizione essenziale per vivere un’esperienza di libertà.Umilmente, ammettere l’errore, ambito non solo della sconfitta o della disfatta, ma anche della redenzione. L’ errore è una chance, che invita a scoprire nelle occasioni di fragilità l’ambito della liberazione, del riscatto, della risurrezione. Si può trasformare un tallone di Achille in un trampolino di lancio. Accettare e integrare i propri limiti. Alda Merini di sé dice: “In me l’anima c’era della meretrice e della santa”, e “Più bella della poesia è stata la mia vita”, vita che invece sappiamo sofferta e costretta, ma capace anche di liberazione.L’autore attraversa Antico e Nuovo Testamento per accompagnarci in questo tema. Inizia da GENESI, dove Il rifiuto del limite conduce l’essere umano a uscire dal giardino. Non è una cacciata avvenuta una tantum nella vicenda umana, ma una dinamica che coinvolge incessantemente tutti. Ognuno infatti è posto in un giardino… ma può decidere attraverso le sue scelte di perderlo. L’uscita dal giardino, che drammatizza la mancata accettazione del proprio limite umano, significa la perdita della vicinanza di Dio, che lì abita. Percorre poi i SALMI, che esprimono, con la preghiera, tutti gli stati d’animo umani, anche la fragilità dell’esistere: Sì, è solo un soffio (hebel) ogni uomo che vive. Sì, è come un’ombra l’uomo che passa. Il termine hebel vuol dire soffio, vento, ombra, ma, nel suo significato astratto, potrebbe anche essere tradotto con fragilità.Il salmista attinge a un tema che ha una probabile origine nella paideia greca, secondo la quale la sofferenza è il mezzo con cui Dio fa maturare e crescere gli esseri umani. Noi non possiamo però credere che Dio riservi a ciascuno i suoi beni e i suoi mali, in forma personalizzata. Essi derivano dai molteplici aspetti della vita e dalla sua fragilità… La fragilità non è una svista di Dio, ma è la logica con cui ha creato il mondo. Senza di essa non solo non ci sarebbero la sofferenza e il male, ma nemmeno la crescita o l’evoluzione, le passioni, le emozioni, i sentimenti, la libertà…La vita è in realtà un dramma. L’alternarsi delle diverse esperienze forgia, conducendo l’essere umano verso una personalità matura. La vera negatività sarebbe quella di non evolvere mai.Più avanti, nel dramma di GIOBBE, la percezione di una vita che si svolge in un battibaleno ed è attraversata da drammi spesso irrisolvibili. La consapevolezza che la vita sia pervasa dalla logica della morte porta però alla percezione del suo senso autentico. Insegnaci a contare i nostri giorni e acquisteremo un cuore saggio.Il salmista non chiede a Dio di allungarla o di donargli l’eternità, ma di avere coscienza della fragilità del vivere; ciò avviene solo sapendo contare i giorni, ovverossia cogliendo ogni momento nel suo valore profondo.Qui mi permetto di inserire, di Emily Dickinson, una strofa:E’ un errore di calcolo:”Vien poi l’Eternità”diciamo, come fosse una stazione.Mentre è tanto vicinache mi accompagna nella passeggiata e condivide la mia casaed amico non ho più pertinacedi questa Eternità.Poi, nella contemplazione di un attimo:Per fare un prato occorrono un trifoglio e un’ape -un trifoglio e un apee il sogno!Il sogno può bastarese le api sono poche.perché la poesia può aiutare la teologia ad abitare gli spazi vitali dell’uomo.In QOELET:Non in tutte le esperienze della vita si sa scoprire la presenza di Dio. Il creato non può essere spaccato in due, da una parte le esperienze belle e dall’altra quelle brutte, che non si è in grado di comprendere…Quello che accade è già accaduto e accadrà ancora a un numero sconfinato di persone. L’errore è di Credersi gli unici a soffrire e di conseguenza sentirsi creditori nei confronti di tutti.GESU’:La missione di Gesù messia, riportata dalla tradizione evangelica palesa una salvezza che non è tale se non passa attraverso l’esperienza della fragilità: la morte, che si declina nelle varie esperienze negative riservate dalla vita, può condurre alla risurrezione…Nelle BEATITUDINI, Magna charta del cristianesimo:invita alla traduzione di beati con felici, di poveri con fragili. Se qualcuno non trova il senso della propria vita, in realtà è un grande povero… I ciechi non sono solo i malati, ma sono simbolo di quelli che non riescono ad interpretare la vita.Infine LAZZARO, commento perfetto alle Beatitudini, non è soltanto un messaggio sulla vita oltre la morte, ma un invito a non trascurare le altrui fragilità.Nella sua conclusione, mentre la Letteratura dell’’800-’900 ha estremizzato la fragilità come dinamica esistenziale negativa e distruttiva, la parola di Dio e del cristianesimo fanno della fragilità umana non la condanna, ma il trampolino di lancio della liberazione, della redenzione, della risurrezione. Dio non ha voluto la sofferenza e il dolore, ma ha dato vita ad un mondo limitato e fragile. Se non si riesce ad eliminare qualche aspetto sfavorevole della vita, non significa che non si stia vivendo un’esperienza di salvezza. La lotta consapevolmente evangelica nei confronti di ogni fragilità già la realizza.La vicenda di Gesù è stata una storia di salvezza? La nostra è una storia di salvezza? Domanda retorica la prima, risposta più complessa alla seconda.Qualche riga per capitolo, e nemmeno per tutti, non può, ovviamente, esaurire il libro. Ma dovevano solo presentarlo, lasciando al lettore curiosità e scoperta, in un linguaggio teologico comprensibile, coinvolgente, linguaggio di fede che può vestire tutte le lingue del mondo. E’ un libro che apre una finestra: parole come balsamo o provocazione, parole dette che vivono nella nostra vicenda umana.Nulla posso aggiungere, da voce laica, alle dense argomentazioni dell’autore. Nulla, tranne ricordare la mia, le altre vite, oltre ad un verso del ’68 di A. RichIl campo che hanno bruciato è la cosa più verde e che, per errore, la sabbia, talvolta, può generare perle.C.VeroneseSanti Grasso, “La fragilità necessaria. Occasione o tentazione. frustrazione o redenzione? San Paolo, Cinisello Balsamo 2020
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