Il calore di una casa per chi non ce l’ha

Monfalcone, Largo Marcelliana. Una porta stretta lungo il muro che circonda il complesso parrocchiale; un citofono ed una tabella: il simbolo della Caritas e la scritta ’dormitorio Aristide Vescovini’. Alla sera, prima delle 20, alcuni uomini si annunciano ed entrano per uscirne la mattina dopo verso le 8. Sono accolti in questa struttura che se ne sta quasi nascosta dietro la chiesa della Marcelliana ed è attrezzata per accogliere fino a otto persone. Una piccola casa per chi temporaneamente non ce l’ha. Una piccola casa, porzione e specchio delle contraddizioni del nostro mondo. Recentemente ha vissuto l’esperienza della più grande contraddizione della vita: la morte solitaria, di notte, di un ospite.La mattina del 24 ottobre scorso un giovane pakistano è stato trovato senza vita. Indagini e ricerca della causa della morte sono sono in corso e sarà la magistratura a definire questi aspetti. Chi si prende cura del servizio del dormitorio “sa che questi fatti possono succedere. Fanno parte della vita, ma ciò non toglie la profonda commozione e la compassione per una giovane vita che si è spenta proprio dove si voleva aiutarla ad avere speranza in un futuro migliore”.  E’ proprio per dare speranza a chi è in difficoltà che il ’dormitorio Vescovini’ esiste.Le statistiche dicono che nell’ultimo anno ha registrato un minimo di 77 pernottamenti nel settembre 2019 e un massimo di 155 nel luglio di quest’anno. Perchè la comunità cristiana di Monfalcone e della diocesi isontina ha sentito il bisogno di offrire questo servizio? Chi sono coloro che la utilizzano? Quali storie portano nella loro esperienza? Massimo e Adele sono i due volontari che si prendono cura in loco del funzionamento di questo servizio. Un impegno non da poco, considerando che le norme di comportamento in presenza della diffusione dei contagi da Coronavirus limitano la possibilità di poter contare su altri collaboratori volontari. Incontrarli è facile: alla messa delle otto del mattino alla Marcelliana, Adele sostiene i canti e legge le letture; Massimo prepara l’altare e, come si diceva un tempo, ’serve messa’.

Quali sono i problemi che portano le persone al dormitorio?“La società attuale – dice Massimo – è sempre più selettiva e sempre meno solidale. Venendo meno la rete famigliare e con i rapporti umani sempre più centrati sugli interessi materiali è cresciuto il numero delle persone che per vari motivi vengono a trovarsi emarginate e prive di mezzi di sussistenza”.  “E così – aggiunge Adele – arrivano per tanti motivi: sfratti, separazioni, povertà dovute a perdita del lavoro, a dipendenze dal gioco, dalla droga, dall’alcol. Stranieri in cerca di lavoro o in attesa di documenti. Ci sono anche dei barboni per scelta che accettano l’accoglienza solo nelle notti più rigide”.   

Qualcuno racconta la sua storia?“Con quelli che si fermano un po’ di più – rileva Adele –  si riesce ad instaurare un rapporto di fiducia e allora si aprono in confidenze, ma non sono tanti”.  “In effetti – aggiunge Massimo – le persone più loquaci sono quelle in cerca di lavoro, quasi a voler giustificare l’attuale stato di bisogno. Quelli più chiusi sono i senza fissa dimora  per dipendenze passate o in essere; sono ormai abituati alla solitudine e non cercano l’altro, forse per non provare ulteriori delusioni. Con la convivenza però aumenta la fiducia e con le prime confidenze arrivano le prime richieste di aiuto”.  Ci sono altri che “arrivano solo per dormire – aggiunge Adele – e alla mattina spariscono…”. 

Quali le difficoltà che incontrano?“Le difficoltà sono diverse – interviene Adele – come diverse sono le situazioni in cui si trovano. Quando il problema è economico e le persone sono del territorio intervengono i servizi sociali. Più difficile è l’aiuto a quelli che non hanno residenza e ancora più difficile è per gli extracomunitari in cerca di lavoro”.  “Già – puntualizza Massimo – l’extracomunitario è alla perenne ricerca degli agognati documenti; percorso ad ostacoli che la nostra burocrazia si impegna a complicare. Talvolta sono in attesa di qualche struttura più organizzata, pensata per una accoglienza più duratura, ma anche in questo caso la burocrazia presenta il suo conto. Meno pesante è la situazione del disoccupato. Vediamo che qualche lavoro è ancora possibile nella galassia di aziende del subappalto Fincantieri, ma per loro il grosso problema è la necessità di una residenza stabile a costi contenuti. La situazione che mi pare più preoccupante –  nota Massimo – è quella di chi è senza fissa dimora a causa di dipendenze: stretto tra le regole del dormitorio, la vita di strada senza regola, la poca disponibilità della cosiddetta ’società civile’ ad ascoltare le loro ragioni, li ritroviamo molto spesso al punto in cui li abbiamo lasciati”.    

Da dove vengono?  “Il disagio è democratico – annota Massimo – e colpisce tutti i Paesi, i ceti e le età”. Il registro del dormitorio dice che vengono per la gran parte dall’Africa centrale, dall’Egitto, dalla regione del Maghreb, dall’Asia meridionale. Non mancano però cittadini europei, dell’area balcanica e non pochi sono italiani.

Si spera che un giorno queste iniziative non servano più, ma intanto cosa vi insegna l’esperienza che state facendo?“Mi ha insegnato a non giudicare le persone dall’apparenza. Anche sotto gli stracci c’è un cuore”.  Adele sintetizza così ciò che impara dal servizio al dormitorio, mentre Massimo legge l’esperienza fatta durante il lockdown, quando la limitazione dei movimenti “ci ha costretti a dei rapporti più ristretti e protetti. In tale clima, quasi da colonia estiva – nota Massimo – tutti gli ospiti, di fronte ad un comune pericolo, hanno solidarizzato e dimostrato, se mai ce ne fosse bisogno, che anche il più povero tra i poveri ha sempre qualcosa da dare. L’aiuto portato all’altro, in un ambiente privo di risorse che noi reputiamo fondamentali, svela la vera forza della fratellanza umana. Osservandoli – spiega Massimo – capisco che sono sulla strada giusta. E’ uno stimolo anche per me, è il mio piccolo cambiamento da quando ho sentito quella Voce che mi diceva: seguimi”.   Perchè vi siete presi questo impegno? “Avevo fatto un po’ di esperienza nel dormitorio di Gorizia – ricorda Adele – e così mi è stato chiesto di continuare nella mia città: ho dato il mio consenso. Per fortuna subito mi si è affiancato Massimo. In un dornitorio per soli uomini una mano forte ci voleva. Ora posso dire che nei fatti il responsabile del servizio è proprio lui, io mi occupo di più di documenti e della cassa”. Diverso il percorso che ha portato Massimo a questo servizio: “E’ l’ambiente più lontano che avrei mai pensato per la mia vita, ma come sempre nostro Signore ha i suoi piani. Dopo una tragedia che mi ha colpito ho avuto la Grazia di comprendere che era necessario dare un senso alla mia esistenza. Per caso, ma forse non tanto, mi è stato indicato don Paolo Zuttion, allora direttore della Caritas diocesana. Mi sono rivolto a lui per offrire la mia collaborazione. Il dormitorio di Monfalcone alla fine del 2014 non era ancora nato, ma un paio di mesi dopo don Paolo mi chiamò e mi presentò Adele, la responsabile della nascente struttura. A settembre 2015 avevamo i primi ospiti e l’avventura aveva inizio”.